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La Redazione

 

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Operazione cubicolo

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A cura di Redazione CDC
Il 15 Ottobre 2023
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Di Alceste

Roma, 13 ottobre 2023

Chi diavolo è Klaus Schwab? Da dove viene? Non ne ho idea. Questi personaggi vantano più l’impalpabilità delle evocazioni che una reale consistenza storica. Allo stesso modo ci stiamo ancora chiedendo: chi è stato davvero il mezzo inglese Roberto Speranza? E Giuseppe Conte? Alcune importanti trasmutazioni chimiche, in fondo, necessitano di reagenti apparentemente insignificanti. Schwab non so chi sia e non m’importa saperlo. Più importante la fisiognomica: quelle guance flosce, a esempio, rassomigliano alla colatura di pongo di Jeff Koons. Egli è uno dei latori dell’Indifferenziato; Egli anela, per noi, il cubicolo. E lo avrà. Niente auto, niente passaporto e viaggi, niente lavoro, nessuna scuola, ma solo dottrina; abolizione del codice penale, liberalizzazione droghe, eutanasia, legalizzazione delle parafilie maggiori. E il cubicolo di quindici metri. In cui agire soli. Persino il centro delle città avrà a degenerare in meta ambita e sconosciuta dai novi plebei. I commerci si ridurranno all’essenziale, poiché assorbiti quasi interamente dalle multinazionali, le aule penali svuotate dalle legalizzazioni (nulla è colpa!).
Ma non sarà così, è impossibile! Lo concedo: c’è la minuscola possibilità di un fallimento. Ciò che non si potrà scongiurare, però, sarà la distruzione. Dalla distruzione non si torna mai indietro.

L’Italiano accorto del blog sentirà il dovere di leggere il racconto di Philip K. Dick, Il gioco della guerra (War game, 1959). Ganimede, luna di Giove, ha delle mire di conquista nei riguardi della Terra. Si sospetta che i Ganimediani possano lanciare azioni ostili da un momento all’altro. Uno dei mezzi più subdoli che potrebbe usare il nemico: i giochi per bambini. Per questo motivo, una squadra dell’Ufficio di Importazione sottopone a un esame severo due di essi, prossimi al lancio sul mercato terrestre. Il primo è un imperscrutabile gioco di guerra, l’altro una variazione del Monopoly. L’attenzione dei funzionari si concentra sul complesso war game di cui, tuttavia, non si riesce a stabilire la reale finalità: lo si mette, perciò, in quarantena; il secondo, The syndrome, viene ritenuto un innocuo passatempo e ha via libera. Quando il giocattolaio Joe Hauck porta a casa un prototipo di The syndrome, esso affascina da subito i figlioletti Lora e Bobby. Gioca assieme a noi, papà! E Hauck gioca. Ed esclama: “Ho vinto!”; e invece no, lo correggono i bimbi, qui “bisogna disfarsi dei propri averi. Sei fuori del gioco papà!”. Hauck cerca l’accumulo, ma The syndrome esige l’esatto contrario del Monopoly. Esso, infatti, insegna ai bimbi come “cedere con naturalezza i loro averi [tanto che i bambini, per vincere] davano via le proprietà e il denaro con avidità, in una sorta di trepido abbandono”. Vince chi perde tutto. Non avrai nulla e sarai felice. I Ganimediani, come Schwab, la sapevano lunga: “Dietro di lui, i due ragazzi continuavano a giocare, animandosi sempre di più man mano che le azioni e il denaro cambiavano proprietario … Guardandolo con gli occhi lucidi, Lora disse: ‘È il più bel gioco educativo che tu ci abbia mai portato, papà!‘”.
Occorre indottrinare da subito per avere la certezza dell’assenso poiché anche la rassegnazione può insegnarsi e divenire costume.
Allo stesso modo, i ragazzetti romani di borgata dei Settanta erano devoti al traversone, ovvero all’esatto contrario del tressette. Vinceva chi rifilava i carichi agli avversari totalizzando il meno possibile. Tressette e poker assommano, il traversone dilapida. A posteriori, rinvengo in quella passione ludica un logico correlativo della nostra inferiorità sociale.

Improvvisamente sento berciare dalla camera accanto alcune voci concitate: “Hamas! … Ashkelon!! … barrage di razzi!!! …”. La televisione! E pensare che non l’accendo mai … come ha potuto farlo? Sospetto ch’essa, che da anni mi spia, anche mentre visiono innocui documentari sull’arte del Neolitico, sia ormai posseduta da un’entità capricciosa che vuole recarmi noia. Infastidito dal vociare, irrompo per tacitare l’ordigno. Lo trovo sintonizzato su RAI3, all’ora del telegiornale quotidiano. Sullo schermo immagini di guerra. Guerra, stavolta, israelo-palestinese. E cos’altro, se no? Il telecomando, ovviamente, non risponde agli impulsi. Alberto Angela sentenzierebbe che sono esaurite le pile, ma – ne ho quasi la certezza – ormai si comanda da sola. Infatti, nonostante pigi l’off della tacitazione elettrica, Ella persiste nel frignare. Che voglia dirmi qualcosa? Scendo a patti e m’assiedo. Sullo schermo l’inviata della RAI, acronimo di Radio Audizioni Italiane, si conduole con i colleghi da Roma d’una terribile esperienza: la stanno bombardando.

Lei e i collaboratori. Se ne stavano tranquilli tranquilli a cicalare di neonati decapitati quando … è proprio qui che risalta l’ineducazione di tali bifolchi di Allah … quando l’han fatta oggetto di terroristici proietti … lei e l’hotel … anzi: l’hotel … e quindi lei, che Hamas la Goracci Lucia non sa manco chi sia … dopo una serie di compunte, e preoccupatissime chiacchiere (come stai? … sto bene, sto bene …), parte il drammatico reportage … “C’hanno sorpreso in strada … abbiamo cercato un riparo … abbiamo cercato di fuggire dalla città sfruttando quegli istanti tra un cessato allarme e il lancio successivo … ci stavamo recando all’Hotel Regina ed è proprio quell’albergo che è stato colpito … abbiamo cercato una via di fuga fuori di quella trappola …”; seguono le terribili immagini: traballanti … et pour cause ché c’è il barrage missilistico … ecco Lucia rimpiattata dietro una colonna di cemento mentre stringe a sé, come un pargolo amatissimo da cullare, il personal computer … le urla disperate … nel cielo limpido s’intravedono i fumi di qualche mortaretto … Fuorigrotta fa di meglio e però qui c’è Hamas, il mortifero Hamas che decolla bimbi ebrei… con i soldi di Netanyauh? E fors’anche senza il permesso di Netanyauh … s’odono grida in inglese, poi la sirena, latrice d’immedicabile angoscia, … la voce fuori campo di Lucia: ecco il secondo attacco, di geometrica potenza: “Il tempo che ci separa dalla salvezza è di pochi secondi!!”, sentenzia, mentre l’emulo di Lars von Trier immortala la propria ombra caracollante sulla parete … Il tono della cronista con l’elmetto è distaccato, e non ammette repliche nella propria sentenziosità gnomica: ho ragione, voi torto, se negate siete degli infedeli alla causa. “Dio maledica Hamas!!” sbotta, intanto, un sopravvissuto assieme alla moglie … e poi, sempre l’inviata: “Chiediamo come uscire da questa trappola … un altro attacco ci sorprende mentre proviamo a uscire …”: che sia il terzo attacco? Stavolta senza sirena, un attacchino, forse, privo di barrage: “Troviamo riparo tra le colonne di un condominio …”; ed ecco il quarto, di attacco, la gente va carponi … inquadrature da Blair witch project … si percepisce distintamente un “Come on”, poiché anche ad Ashkelon parlano la neolingua universale, non sia mai che qualcuno non comprenda la portata della tragedia lì or ora  inverantesi … poi, d’incanto, tutto s’acquieta … la tempesta d’acciaio rifluisce, i borborigmi della ferocia si smorzano nel cielo di compattezza cristallina. Finalmente: “Ora è finita”.

I profughi della RAI trovano scampo a Tel Aviv, non sappiamo in quale hotel o struttura ricettiva. Sarà maggiormente degna del Regina di Ashkelon, noto per la triste arietta spartana (internet ad alta velocità gratuito, vasca idromassaggio, sauna, bar/lounge, spiaggia, camere insonorizzate, aria condizionata, cassaforte, angolo cottura, frigorifero – prezzi modici)? Non ci tengano in ansia i notabili della RAI, informino il popolicchio.

Voi direte: sei una carogna, non credi a nulla. Ma non è così. Io ci credo. Certo, ho sghignazzato per tutto il tempo, ma ciò ha una cagione precisa che, se avete un attimo di tempo, vi illustrerò. È che la menzogna, ripetuta sistematicamente e incessantemente, snerva implacabile i recettori empatici. Da trent’anni, almeno, la menzogna è strutturale. Si è cominciato con i falsi morti di Timisoara e non ci si è più fermati. L’omarino attuale crede a tutto. È nella sua natura di omarino confidare nel sistema. Qualche scettico prova a forsennatamente analizzare ogni fatto e dichiarazione, ma si trova al punto di partenza: non sa se è la verità a essere distorta o la menzogna ad assumere parvenza di verità. Inutile soppesare, discriminare o fare ricorso a ideologie contingenti come liberismo, fascismo, statalismo, nazismo, guerra dei sei giorni, ebraismo … per spiegare, rintuzzare, bilanciare colpe … queste chiavi non aprono nulla o, se lo fanno, celano un labirinto ulteriore. Si deve, perciò, rigettare tutto, aggrappandosi all’unica isola rimasta: la logica aristotelica.

Si deve ragionare, posando reveremente sul ghiaccio la questione capitale: a cosa serve la guerra? Serve a distruggere il Nemico e a definire noi stessi contro il Nemico. Da quanto non abbiamo la guerra in Europa? Ottant’anni? Per tale motivo non sappiamo più come definirci o dire chi siamo e qual è il nostro compito sulla terra, a parte qualche vago spetezzo pacifista. La guerra viene portata esclusivamente contro chi non ha ancora aderito alla poltiglia della dominazione ultima, la Monarchia Universale: guardate la successione delle distruzioni: sono state annessioni di fatto alla Monarchia. Est post-comunista, Jugoslavia, Afghanistan, Mesopotamia, Armenia. Perché coloro che hanno promosso queste annessioni dovrebbero scatenare un conflitto mondiale che risveglierebbe le coscienze? Hanno impiegato secoli per recare una pace che ha neutralizzato l’Europa e svirilizzato l’uomo e ora dovremmo vedere Parigi in fiamme? Israele e Persia sono due scogli da frantumare. Come ciò avverrà è indifferente. Si potranno prevedere due stati, Israele e Palestina? Rivoluzione edonista in Persia? Perché no. Sono i punti d’arrivo che contano, la maniera di arrivarci potrà essere diritta, tortuosa o irti di massacri. Ma ci si arriverà o, almeno, tenteranno di arrivarci. Pensate: annettere ideologicamente Persia e Israele! Ci rendiamo conto della portata dell’operazione? Gerusalemme e la Mesopotamia! Di fatto si chiuderebbero i giochi. L’Arabia è già andata, la Russia andrà, i Cinesi sono dei mercanti e alle truppe rosse che contrattaccano in nome dello Spirito non ci crede nessuno. Non dico che sia tutta una farsa, la gente muore, i popoli soffrono, ma la tendenza fondamentale del nostro tempo rimane irresistibile. Qualche anno fa licenziai un post in cui prevedevo la fine della favola dell’Olocausto e una presidente donna in Israele. Natalie Portman che stringe la mano al leader di Hamas mentre la stella di Davide e la bandiera palestinese garriscono dolci ai venti del deserto. Non sarebbe questo un evento auspicabile da Klaus Schwab? La chiusura, definitiva, del cerchio? E della garrota?

Sì, ho riso per tutto il tempo del servizio della valorosa Lucia Goracci. A denti stretti. Si tratta di disperazione, infatti. In tutta la mia vita, che ora volge al termine, mi son sempre sentito “In hilaritate tristis, in tristitia hilaris”, secondo la massima di quel venduto di Giordano Bruno. Così, senza merito: son fatto in tal modo e basta. E ho sempre ricordato che “Il cuore dei saggi è in una casa in lutto/e il cuore degli stolti in una casa in festa”, come si legge nelle Ecclesiaste (7, 4), due righe citate da Sant’Ambrogio nel suo libello contro l’usura. Che pochissimi hanno letto. E se l’hanno fatto, non l’hanno capito. Perché Ambrogio fu santo, quindi un individuo totale e totalitario. In ciò risiede la follia dei Santi ovvero dei Guardiani. Egli sapeva che la fede, come la guerra, esclude, e definisce. Non esistono transazioni, o vie di mezzo. Non si scende a patti per sminuire la perfezione.

La chiusura definitiva del cerchio coinciderà con la distruzione totalitaria del passato. I bambini, se nasceranno ancora, lo faranno in vitro, espulsi da placente d’acciaio, né maschi né femmine, e nuovi alla terra. Basti vedere il finale del profetico Generazione Proteus (Demon seed, 1977) del profetico Donald Seaton Cammell (1934-1986), altro rampollo dell’albero della dissoluzione controculturale degli anni Sessanta: c’è tutto, con chiarezza ialina: guardate come è partorita l’androgina e bellissima creatura del Nulla, più convincente del figlio delle stelle di Clarke e Kubrick.

Mi chiedo quando si comincerà ad abbattere i monumenti, questi grumi simbolici della sopraffazione: l’arco di Tito, con quelle figurazioni scioccanti, o la chiesa di San Paolo. Immaginare il bulldozer nei pressi del Colosseo sembra una boutade, ma, di fatto, il bulldozer è già lì. Lo presagisco, i segni ci sono, ma la gente ama trastullarsi col panorama che gli permettono di osservare, non certo con ciò che si cela dietro atti apparentemente insignificanti, che tutti equivocano addirittura come condivisibili. Tremila anni di storia se ne andranno al macero per il sogno di qualche massoneria psicopatica. E non sarà colpa dei ricchioni, degli ecologisti, dei radicali, degli ebrei o dei musulmani, di maltusiani o yankee suprematisti: questi son solo mezzi di un sentire distorto e folle che pare inevitabile nell’essere umano. Ricchioni, negrieri e vegetariani ora servono; attuata la distruzione non serviranno più. L’uomo è settato per l’autodistruzione e gli eventi contingenti solo mascherano questa discesa nel maelstrom da cui non vi sarà più ritorno. Se una configurazione complessa viene distrutta è impossibile recuperarla. Per questo ho sempre affermato che l’Italia è sacra cioè intangibile e che i santi, noi, dovremmo vigilare su di Essa. Ma il gorgo mulina sempre più vorticosamente, la Bestia risale da vie dimenticate dell’animo primordiale, s-catenata, pronta a ghermire.

Esiste un partito più idiota della Lega? Non credo sia possibile. Ignoranza, arroganza e infantilismo servile si danno la mano in una giga di immane e tetragona stupidità. Non si fermano mai, la rilanciano continuamente. L’unico serio è un tal Giorgetti che si prepara a impersonare un Draghi più realista di Draghi dando l’impressione della benevolenza. Il resto del partito è impostato sul fallacismo ovvero su quel sentimento anarcoide tipico di certe regioni semianalfabete del Nord ferme al crollo delle Torri Gemelle.
Premessa 1: le Twin Towers le hanno tirate giù quelli con il turbante (id est, nella loro testa, tutti quelli che professano una religione diversa dall’andare a messa la domenica a Pizzighettone: indonesiani, arabi, ugandesi e marocchini si miscelano, nelle ridotte del loro encefalo, a un tipo preciso e perfido immaginato col cammello e un coltellaccio da fumetto sotto il thawb);
Premessa 2: noi siamo superiori perché abbiamo Michelangelo e Raffaello e, quindi, la libertà e la cultura; loro al massimo hanno Omar Khayyam.
Sillogismo conclusivo: dobbiamo rifiutare il burqa.
Oriana Fallaci, giornalista e scrittrice, ovvero scrittrice perché giornalista, filò tale zucchero da luna park all’indomani del settembre 2001 riscotendo, da noi, un successo strepitoso. Non solo nelle vendite, bensì nella creazione di un immaginario sottoculturale che permane tutt’oggi, buono per il ciarpame sociale che tutti coinvolge, dalla coatta tatuata di periferia all’ordinario di Sociologia Spicciola di Fossombrone di Mezzo.
I media di destra, peraltro, anche quelli indipendenti, sono imbevuti da tali castronerie da illetterati. I lettori li giocano come polli da osteria.

Sì, i maomettani sono dei tagliagole: infatti decapitano i neonati. Per il legaiolo ideale, una platea ben più ampia della percentuale di elettori della Lega, questa è una verità indiscussa. Si somma, tale sentimento, al filoebraismo trasversale della borghesia nordica che oramai dilaga senza freni mercé la resa del clero italiano ai fratelli maggiori. D’altra parte il rimpianto Silvio Berlusconi, epitome definitiva del Bauscia, circoncise il TG5 per ventotto anni (su trentuno) a soli due direttori.

Il generale Roberto Vannacci, citando involontariamente un post di Alceste, dapprima illude quel vario serraglio digitale che si crede dissenziente, poi si fa fotografare mentre scalcia l’onda del mare (blu, sempre più blu) mostrando la palma del piede. L’offesa al mondo islamico è patente. Rientro nei ranghi? Ma Egli non deve rientrare in nulla poiché non si è mai spostato. La rivistina su cui appare il Nostro è la mondadoriana “Chi”, diretta da un brillante uranista, e di larga diffusione popolare. Quale popolo? In gran parte lo stesso che vota Forza Italia, Lega e dintorni ed è soggiogata dal fallacismo. Se c’è da far finta di combattere una guerra, occorre reclutare nuovamente i minchioni dell’Enduring Freedom che, dopo vent’anni, potrebbero avere i pregiudizi arrugginiti sui barbari con lo straccio in testa.

Forse mi sbaglio. Tendo a vedere dappertutto una manipolazione costante. Eppure poco, ormai, è ciò che appare. Lo SPID, a esempio, e la burocrazia tutta. Chi gestisce questi labirinti dell’inutile, dai più alti funzionari all’ultimo dei travet, crede ch’esso sia parte della grande transizione digitale. E, invece, nella mente dei reali ideatori, non è che uno dei sistemi per scoraggiare, sopprimere e distruggere il commercio; e la vitalità economica e la creatività. Altro esempio: i cinghiali. Perché ripopolare con una specie non indigena le nostre campagne? Una specie infestante poiché assai più prolifica, e i cui elementi sono massicci e difficili da contenere? Per scoraggiare i piccoli proprietari e distruggere le coltivazioni in loro possesso. Da quando tali mostri scorrazzano liberamente, intangibili (non toccateli! … è un reato! … assassini!), è impossibile tenere un orto o coltivare alberi da frutto e la vite. Neanche i costosissimi circuiti elettrici li tengono a bada. Il piccolo proprietario, residuo di quell’italianità che ancora intratteneva un rapporto fecondo con la campagna, rinuncia; decine di migliaia di ettari inselvatichiscono in fretta. Presto le multinazionali ne faranno un boccone, naturalmente in modo indiretto, tramite latifondisti prestanome. Anche le università agrarie e le Regioni stanno mollando. Le spiagge, invece, andranno a bando. Gli Italiani, insomma, devono essere cacciati con fare sistematico dalla propria Patria, ed entrare senza fiatare nei cubicoli: come stranieri in terra straniera.

Mi ricordo, sì, mi ricordo … Giovanna Botteri ai tempi del Covid … inviata in Cina, nientemeno … Maglioncino nero, cibreo depressivo-angosciante. Mai una volta le venne in mente di intervistare un funzionario o un politico cinese. Alle sue spalle il panorama di grattacieli, illuminati finestra per finestra, a confermare l’idea platonica di grattacielo che abbiamo assimilato in un secolo di grattacieli hollywoodiani illuminati finestra per finestra. Seguirla tutte le sere con quell’abitino iettatorio mentre srotolava il breviario dell’apocalisse, era come mettersi dell’acido sotto la lingua; il mio spirito si distaccava dalla carne immaginando l’inimmaginabile: che quei grattacieli non fossero altro che un fondale di cartone dietro cui Mario il barista s’affacendava recando rustici e Aperol. Vedete, a volte, come una coscienza sporca come la mia possa distorcere la verità. È che quei grattacieli li associavo al poster di un funzionario apicale di Tecnocasa presso cui cercai di lavorare nei primissimi anni Novanta. Egli, giovane e incravattato (al tempo lo eravamo tutti, me compreso), ci tenne a farmi sapere che aveva il titolo di terza media preso come privatista; così, per sfregio nei confronti miei e del mondo, e per esaltare la propria carriera folgorante nell’ambito di quei sensali del mattone che, lentamente, avevano scalzato Gabetti e Toscano. Si godeva ancora lo Spirito dei Tempi della Milano da Bere, e dello yuppismo; la scrivania ingombra da due telefoni epilettici per decine di spie luminose, a gloria dell’interconnettività di chi comanda e, però, ha il privilegio di non rispondere, alla Gianni Agnelli, la costosa meridiana multifunzione al polso, le lucide scarpe di pelle nera che inguinavano una coppia di quarantacinque, ne testimoniavano inoppugnabili la superiorità nei confronti dell’interlocutore, cui, però, incredibilmente, si concedevano preziosissimi minuti per l’illustrazione delle benemerenze (allora non esistevano curriculum) ch’egli avrebbe poi severamente ponderato. Alle sue spalle New York; con le torri di Oriana ancora in piedi; una New York serotina, dolce, pullulante di luci, i fari delle automobili colti in lunghe scie bianche e rosse, the skyscrapers con i riquadri-finestra accesi a mezzo: lì pulsava la vita economica, sembrava dire l’immagine, e, soprattutto, l’efficienza; l’efficienza che si richiede a un elemento del capitalismo d’assalto, foss’anche un agente in erba. Velocità, precisione, amabilità; un pizzico di menzogna, ovviamente, il lubrificante degli affari; il cliente è il cliente, da rispettare, ammaliare e truffare allo stesso tempo dacché una parete era sì muffosa, ma solo se vista con gli occhi dello sprovveduto: in realtà un’occasione da non perdere soppesando il rapporto qualità/prezzo … ah, quanti insegnamenti da quell’omettino di nemmeno trent’anni di cui faticavo a scorgere un qualsivoglia respiro spirituale. Eppure è qui, è questo qui … mi dissi sovrappensiero mentre tale ex Italiano cacarellava il baedeker del perfetto agente traendo, lo vedevo a occhio, una particolare forza, di pura magia simpatica, proprio da quel quadretto kitsch, compendio, simbolo e incitamento a più produrre, a più guadagnare … avvalorando, suo malgrado, l’etica protestante e lo spirito del capitalismo, nella versione da colonia, beninteso, ch’egli aveva naturalmente e trionfalmente assimilato e a cui tutto riconosceva, persino la scura Fiat Croma che parcheggiava ostentatamente nel cortiletto a scherno delle Pande dei sottoposti, quasi tutti pezzenti, ma in grisaglia … a parte la segretaria chiappe d’oro, debitamente muta, che si moveva disinvoltamente tra l’intonsa macchina da scrivere e il bar. Assentii a tutto, spiegando, poi, che rinunciavo addirittura al fisso e che mi sarei licenziato (o meglio: avrei alzato i tacchi) se non avessi venduto due unità nel primo mese, così, da solo, senza portafoglio clienti, senza scrivania e senza telefono. Il sottile baffetto di sinistra del Nostro si mosse impercettibilmente (questo mi vuole fare le scarpe?) giacché anche i predatori infimi vantano una certo talento nel riconoscere i simili. Mai diagnosi fu più errata. Me ne fregavo altamente, come sempre, di tutto e tutti, figuriamoci di una testa di minchia come lui, capofila delle migliaia di teste che avrei collezionato sino a oggi. Rifilai un monolocale a una coppia di sposini e due autorimesse a un trippone che gestiva una ferreteria. In tre settimane. Riscossi e non mi presentai più.

Il baffetto non lo rividi. Sarà ancora vivo? Il destino mi destinò, spietato, altri baffetti. Circola, da qualche tempo, un video dell’onorevole Massimo D’Alema: in costume aneddotico, stavolta. Si era nel 1996, rimembra il nostro Don Diego de La Vega, la Volpe, quando, in pieno governo Prodi, andai qui e lì, lì e qui, e mi resi conto che il Parlamento italiano contava meno di nulla poiché la finanza internazionale teneva le nazioni per il collo. Al desk Italia della Merryll Lynch, a esempio, continua El Zorro, tre ragazzetti, di cui due negri, sovraintendevano alle discese e alle risalite della lira e della Borsa secondo le chiacchiere dei politici … dichiarazione a favore della multinazionale: giudizio benigno; contrario: e vai con lo spread … e i tre bambocci godevano di ampia facoltà di manovra, peraltro … eh sì, ridacchia, allora mi resi conto … capito? Allora si rese conto … nel 1996 … come se il governo Prodi l’avessero votato gli Italiani … e non Merryll Lynch … è che quando uno ha nel sangue la recitazione, non c’è riparo … i micchi della controinformazione al blowjob della rivelazione postuma ingoiano tutto … il Parlamento italiano non conta nulla … e cosa contava il 2 luglio 1987 quando venne eletto deputato proprio il nostro Maximo? E, se proprio nulla contava nel 1996, perché non dirlo al popolicchio? Anzi, perché il nostro Don Diego de La Vega continuò la propria carriera sino ad aprire i cieli d’Italia ai bombardamenti della Serbia, nel 1999? Lui e il vicepresidente del Consiglio Sergio Mattarella? Perché?
Quando smise il Parlamento italiano di rappresentare l’Italia?
A questo posso rispondere io, Vostro Disonore: da subito. Forse vi fu qualche personalità che a ridosso delle due guerre, ebbe l’audacia di credere ancora nell’illusione … e però i parlamenti postmoderni rassomigliano ai nidi abbandonati di passero … eccoli lì, vuoti e sfilacciati, alla mercé del cuculo che ne prende possesso e vi depone le proprie uova … lo Stato Italiano è da decenni un esoscheletro disseccato di cui sopravvivono formalmente le sole funzioni repressive: fisco e polizie. Il resto è occupato dal parassita di cova … e dalla credulità dei sudditi … si possono raccontare tutte le storielle che si vuole … se si accetta di entrare in quel cimitero di democrazia si è inevitabilmente consapevoli e corresponsabili dell’inganno …

In Germania avanza la destra! Avanza, ma non sfonda! Avanza, però … Certo, non sfonda … E quando sfonderà? Mai. L’avanzata delle destre è come la percentuale d’ascolto di Sanremo: avanza sempre, di anno in anno, ma sempre quella è. Anzi, forse decresce. E però ci dicono che sale, di trionfo in trionfo, di sera in sera, di anno in anno, di cialtrone in cialtrone. La prima serata, la seconda, la terza, il gran finale … ‘sti dieci milioni di presunti melomani, sempre quelli, tanto che oramai li si conosce per nome, vengono impastati farina e uova ogni febbraio dell’anno: onde sfornarli in gloria d’ascolti … i telegiornali echeggiano: record d’ascolti! Nel 1994, 1995, 2001, 2002, 2013, 2018! … se fosse vera tale escalation saremmo a sessanta milioni di telespettatori, anzi di più: al 110% d’ascolto … a fronte di una diarrea melodica senza precedenti … l’ultimo stornello divertente che ebbi a ricantare fu “Hop hop somarello trotta trotta che il mondo è bello …” … la canzone più bella, forse, quella del compagno Pierangelo Bertoli, nel 1991 … Il miccus suffragans, però, crede a tutto: alla destra che avanza, al trionfo degli ascolti, alla croce che cambia i destini del Paese e soprattutto (questo è INDISCUTIBILE) al fenomeno per cui i voti vengono regolarmente sommati e cartesianamente elaborati dall’apparato statale sino a un’onesta traduzione in veritiere percentuali di rappresentanza … prestidigitazioni da Giucas Casella cui solo un cretino 2.0 può recar fede.

Il micco digitale, infatti, crede che i suffragi siano libera espressione del singolo … una favola rosa difficile da scardinare. Il voto libero assomma, forse, al 20-30% … il resto sono pacchetti mafiosamente controllati da partiti, sindacati, corporazioni e organizzazioni criminali. Tutto questo nel migliore dei casi. Ci son poi da considerare i brogli sistematici. I geopolitici hanno mai studiato le complesse formalità che sovraintendono al sedicente voto libero e democratico? No? Certo, perché non le conosce nessuno, figuriamoci loro. Gli studenti aspirano a divenire brillanti specialisti d’oncologia, nefrologia, neurologia; o pediatri, oftalmologi e chirurghi vascolari. Ma la merda, signori, la studiano solo rarissimi eretici. La merda ci è sconosciuta. Eppure per Feuerbach tutto va in merda, compresa l’anima. La merda, secondo gli illuministi neri, sostanzia il mondo; Democrito andrebbe riscritto, stronzo per stronzo, e però una verità siffatta, così evidente, la si rifiuta … ricordate l’incipit dell’imperatore di Bertolucci? I dignitari andavano subito a rovistare le breccole mattutine del bimbo celeste … ma i Cinesi son gente mediocre, meticolosa e accorta, mica come i giocatori di Risiko della Kamchatka.

Fosse per me voterei solo due volte: per indicare il Presidente della Repubblica e il mio giudice. Sindaci, presidenti di Regione, Presidenti di Provincia, assessori, consiglieri e il vario ciarpame che vi gravita d’attorno è inutile quanto dannoso e va sostituito con tecnici d’alta scuola d’amministrazione. Non dovrebbero esserci difficoltà visto che i tecnici piacciono molto. Il Presidente, certo: rappresenta l’Italia. E i giudici poiché da loro dipende la nostra testa. Chi metterebbe il capo nel buco della ghigliottina? Nessuno, credo. I procuratori eligendi si presentano con un programma d’azione indicando i reati da perseguire con maggiore efficacia; eletti, sceglieranno una squadra che, in caso di non rielezione, andrà sciolta. E cosa faranno quei poverini, in tal caso? Vadano a fare l’avvocato, il direttore d’hamburgeria, l’elettricista.

Ho usato il termine “stronzo” sebbene odi la coprolalia. È che sto leggendo Il libro mio, serie d’annotazioni biografiche del sommo pittore Jacopo da Pontormo (Jacopo Carucci, 1494-1557). Pontorme rientra nell’attuale comune di Empoli. Il diario registra alcune scabre memorie dell’artista negli ultimi anni di vita, quand’era impegnato negli affreschi della basilica di San Lorenzo in Firenze, oggi perduti. Pontormo, maestro del grande Agnolo Bronzino, è individuo ipocondriaco, risentito, misantropo; a volte si nega persino agli allievi. Scrive delle proprie malattie, di quello che mangia e caca; di soldi e tempo meteorologico; e d’arte: intesa quale compito artigianale da recare avanti con meticolosità. Leggere tali righe stente e di squallida lapidarietà, conoscendone il lavoro, provoca una leggera vertigine.
A caso:

Mercoledì mangiai dua huova nel tegame …
giovedì mattina cacai dua stronzoli non liquidi, e dentro n’usciva che se fussino lucignoli lunghi di bambagia, cioè grasso bianche …
lunedì feci quello braccio di quella figura di testa che alza …
martedì e mercoledì feci quel vechio e ‘1 braccio suo che sta così …
adì 15 di marzo cominciai quello braccio che tiene la coregia, che fu in venerdì, e la sera cenai uno pesce d’uovo, cacio, fichi e noce e once 11 di pane …
sabato Batista è venuto per tucti e’ colori macinati e penegli e olio
domenica … desinai con Bronzino e la sera a hore 23 cenarne quello pesce grosso e parechi picholi fritti che spesi soldi 12 … e la sera cominciò el tempo a guastarsi ch’era durato parecchi dì bello senza piovere …
adì 7 in domenica sera di genaio 1554 caddi e percossi la spalla e ‘1 braccio e stetti male e stetti a casa Bronzino sei dì; poi me ne tornai a casa e stetti male insino a carnovale che fu adì 6 di febraio 1554

Ma cosa vuole dirci con tale scheletrito elenco? Solo che la tradizione italiana questo è. La genialità si tramanda per vie oscure e l’istruzione vi entra solo in parte. Si tratta di educazione, invece, e disciplina. Sono i cenacoli, le conventicole, le botteghe, gli studioli a essere importanti, e il rapporto iperuranio fra maestro e allievo. Sempre. Perciò ebbe ragione l’Uranista Bolognese a parlare di genocidio italiano. Recidere queste fila, disseccare la creatività, farà sì che il Paese decisivo si spenga; inghiottendo l’Occidente intero e le sue diramazioni; il mondo. Sono nazionalista? Ma qui è proprio dell’esatto contrario che si parla!

Ti ricordi … ti ricordi … quando a scuola ci insegnavano che l’Italia  divisa in staterelli era inferiore alle grandi nazioni europee, che già da tempo avevano goduto della rivoluzione colorata e si costituivano quali temibili potenze? Certo, mi ricordo. Maledetta Italia, tutti aborigeni seminudi con la clava e quei despoti ignorantissimi assisi sul marciume dei loro troni infecondi! Maledetta Italia, ancora divisa in staterelli! Gli staterelli, gli staterelli! Che un decimo delle Marche abbia prodotto più arte e conoscenza di intere nazioni non era cosa da rivelare alle nostre fragili menti di cardellini … le Marche … Ancona … la marca anconetana  … ministro Crosetto, Lei sa perché le Marche si chiamano così? Ministro Piantedosi, può nominarci tre architetture quattrocentesche prodotte nelle Marche che tutto il mondo, silenziosamente, ci invidia?

Interagisco quotidianamente con paraguaiani, filippini, peruviani, bengalesi, ma non con gli Italiani. Gli Italiani sono scomparsi dal panorama produttivo. Incontro solo vecchi, storpi, pazzi e malati cronici. E il minuscolo patriziato amministrativo foraggiato con l’erario: impiegatuzzi stitici, gendarmi bradipeschi, netturbini scansafatiche. Come si regga ancora in piedi il Paese è inconcepibile logicamente. Evidentemente l’Usura non ha ancora chiuso il rubinetto. Anche il settore privato sembra frollato per benino. A volte non comprendo proprio di cosa si parli. Tutti vogliono il briefing … democratico, non sia mai … per de-cidere … in base al programma … suddiviso in step … inviato per mail … a cui ognuno potrà apportare modifiche …  costruttive, beninteso … onde concrescere a più alti esiti … che, però, non si vedono mai … gli alti esiti, intendo … come mai si vedrà la relazione finale con i positivi apporti … perché gli apporti vanno persi nello spam, causa antivirus aziendale, o una mail è disabilitata o il sistema intranet è saltato oppure il cloud s’è inghiottito – inspiegabilmente – le cicalate digitali d’un mese intero …

Il digitale fa paura al Potere! Il Potere poteva prevedere tutto tranne il digitale! La rivoluzione passa per Twitter! Come no, gli tremano le gambe … i migliori li hanno fatti fuori tutti proprio gli alternativi, a cominciare dal Pedante … Marco della Luna non viene mai citato pur essendo stato il primo a coniare la felice espressione “governo zootecnico”, il veterano Blondet è oramai circondato dagli arrampicatori digitali, abili a creare fuffa video … perché comprendere è aspro e rivela ciò che non vorremmo ci si rivelasse; il tifo, invece, rilascia gradevolmente i muscoli sfinterici.

La guerra è sempre una sconfitta, borboglia Borboglio I. E San Pio V? Doveva lasciare che a Vienna e Roma aprissero ristorantini di tabbouleh.

Nei bestiari medioevali la pantera, accoccolata al centro di fresche radure, apre le fauci. Il suo alito profumato si effonde d’attorno. Lepri, conigli, tassi, ammaliati, seguono irresistibilmente la via di quegli effluvi; quando si rendon conto dell’inganno è troppo tardi: la tigre scatta fulminea, e li divora. Anche l’allettante felino della modernità, la tigre, in agguato nelle foreste della notte, sbrana le prede: “Quale mano fu abile a torcerti i tendini del cuore?“, s’interrogherà William Blake; il quale si domanderà ulteriormente: “Chi creò l’Agnello creò anche te?“. La risposta di Thomas Eliot arriva un secolo più tardi: “Nella gioventù dell’anno venne Cristo la Tigre … La Tigre balza nel nuovo anno. Ci divora [Us He devours]”: Egli, infatti, ora è Giudice.

La Murgia, Raimo (Veronica), Piccolo, Veronesi, Scurati, Lagioia … ecco i vincitori del nostro tempo. Altri vincenti, loro pari, li trattano pure da intellettuali, tanto da chiedergli opinioni, e pareri, sull’attualità e la storia … Da parte mia li considero di gran lunga inferiori agli sceneggiatori di “Topolino”. Nel numero 887 del 28 novembre 1972, a esempio, la prima storia è Pippo e il cappello magico. Le prime tavole sono ambientate nella sede della Tetrannica, “la casa editrice della monumentale omonima enciclopedia”; alcune deliziose parodie sono il pezzo forte dei numeri di quegli anni ancora felici. Alla Tetrannica sono in ambasce gravissime: un collaboratore, Flip Lapin, s’è accorto, infatti, con apprensione, di aver tralasciato una voce. E quale? Coniglio. “Di solito”, afferma l’agitato quanto sussiegoso direttore, “la gente nelle enciclopedie cerca parole come: anturio, carcarodonte, lunula, platelminti, nittizione … termopolimeri, calastra, endice …”, per cui, della sparizione del comune coniglio, nessuno s’è accorto … Sì, negli anni Settanta a un bimbo poteva capitare di tenere in mano un fumetto che elencava parole come “nittizione” e “carcarodonte”. E “anturio”. Il sottoscritto, a esempio, rimase folgorato da Paperino che, in una storia, rivolgendosi sprezzantemente allo zio, usava il termine “tetragono”. Certo, erano altri tempi; tempi di altri Italiani, irripetibili, e oggi scomparsi.

A Roma si prepara minuziosamente il cubicolo. Aumento del biglietto ATAC, prossima privatizzazione di larghi settori comunali, fascia verde integralista e centinaia di migliaia di pezzenti costretti a piedi. Pali e paletti, segnali e segnalini mobili che avvertono del prossimo off limit già ingombrano la città a ridosso delle periferie. Qualche settimana fa un automobilista in zona Trionfale, altezza scuola Nazario Sauro, spostò uno di tali stolidi VERBOTEN per parcheggiare meglio. “Ahò, s’è messo lì d’impegno ah ah ah … ma lo sai chi era?”, mi fa un vecchio conoscente. “No. Il sindaco?”. “Ah ah ah, quello c’ha la scorta che je parcheggia … no, era Alberto Angela!”. “Non abita in un palazzetto a Monteverde?”. “Macché, abita dalle parti mie. J’ho pure strillato, ma nun m’ha sentito! Che forte che è … proprio bravo, come su’ padre! … ma servono ‘ste zone verdi? … boh, me pare n’artra fregatura!”. Ah, il popolicchio.

L’unica etica che conosco e che posso chiedere di rispettare: contrastare il Caos e l’immane transizione della Totalità nel Caos più abietto: il Nulla. Una nascita è già un’eccezione, uno sberleffo celeste, il miracolo. Voi stessi, mentre leggete queste righe, riordinando i vostri pensieri, lo siete; persino io ne vengo coinvolto, quale artefice di tali modeste impressioni.

Di una nascita narra anche Jacopo Pontormo, nell’Adorazione dei Magi.
Un italiano, nel 1522, strappa al Caos questi pochi centimetri quadrati di pittura, che permangono, ancora, fra di noi, a miracol mostrare. Ecco la Nascita del Dio, somma vittoria della Luce e della Definizione sull’Informe. E la Bellezza, quale regolatrice del Giusto. La folla degli adoranti scende come le acque d’un ruscello, forse a prefigurare il Giordano, disponendosi dinamicamente di fronte al Dio Bambino.
Ma è la parte superiore, spesso inosservata, a costituire la mia personale meraviglia. Rivedendola, a volte, son preso da un moto di commozione e furia. Quegli edifici nobili, sulla destra, le torrette, le delicate sfumature di bruno a sancire le consistenze dell’altura, e gli alberi, più scuri, stagliati contro il cielo, a costituire i toni più freddi di contro ai panneggi in primo piano: primari che s’animano luminosi sfaccettati in nuances innumeri: i gialli, i rossi e, più rari, gli azzurri.

Questo dipinto è inesauribile, come l’Italia.
Al Potere rimangono due vie: o distruggerlo, poiché la sua sola esistenza è un pericolo, o annichilire il nostro apprezzamento nei confronti d’esso.
Per scongiurare la seconda evenienza ho deciso di scrivere queste ultime righe.
Serviranno? Forse no, ma come uomini-libro, ovvero quali transeunti ordinatori del Caos, abbiamo il dovere di usare anche tali minuscoli accorgimenti al servizio della memoria; e di ordinare volgari parole e bit in segreto accordo: a più alte armonie.

Di Alceste

Fonte: https://alcesteilblog.blogspot.com/2023/10/operazione-cubicolo.html

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