DI SLAVOJ ZIZEK
La settimana scorsa, Judith Butler, filosofa americana e teorica del gender ha partecipato all’organizzazione di una conferenza, apparentemente molto tranquilla, a San Paolo, in Brasile. La Butler potrebbe essere conosciuta per il suo lavoro sul transgender, ma questa conferenza “The Ends of Democracy” non aveva nulla a che fare con il suo lavoro sul gender. Malgrado tutto, una folla di manifestanti di destra si è radunata davanti al luogo dell’evento e ha bruciato un’effigie della Butler, urlando “Queimem a bruxa!” (“Che si bruci la strega!”).
Questo strano incidente è l’ultimo di una lunga serie, che dimostra che oggi la differenza sessuale viene politicizzata in due modi che si ricollegano tra loro: la fluidificazione transgender delle identità e la conseguente reazione conservatrice.
In effetti, la famosa descrizione delle dinamiche capitaliste nel Manifesto comunista di Karl Marx e Friedrich Engels dovrebbe essere integrata dal fatto che il capitalismo globale ha visto che sessismo unilaterale e ristrettezza mentale diventano sempre meno attuali. E questo, anche nel campo delle abitudini sessuali, “tutto quello che è residuo del passato si scioglie nell’aria e tutto quello che è santo viene profanato”. Sarà perché il capitalismo tende a sostituire la normale eterosessualità di sempre con una proliferazione di identità e/o orientamenti sessuali instabili che cambiano continuamente?
Oggi celebrare “minoranze” e “marginalità” è la posizione predominante nella maggioranza delle persone, persino degli estremisti di destra che – con il loro terrore per il politically correct dei liberals – si presentano come protettori di una minoranza messa in pericolo. Oppure di quei critici che attaccano il patriarcato come se questo occupasse ancora una posizione egemonica, ignorando ciò che Marx ed Engels scrissero più di 150 anni fa, nel primo capitolo del summenzionato volume: “la borghesia, ovunque abbia preso il sopravvento, ha messo fine a tutte le idilliache relazioni feudali e patriarcali”. Ma questo è ancora ignorato da quei teorici della cultura di sinistra che focalizzano le loro critiche sull’ideologia e sul patriarcato.
E allora cosa dovremmo fare con questa tensione? Ci dovremo limitare ad appoggiare la fluidificazione delle identità transgender, pur rimanendo critici sui loro limiti? Ma ora sta venendo fuori un terzo modo di contestare la tradizionale forma di identità di genere – con le donne che hanno cominciato a parlare della violenza sessuale maschile. Detto questo, tutta l’attenzione mediatica di cui sta godendo questo evento, non dovrebbe distrarci da quanto stia realmente accadendo: e si tratta nientemeno che di un cambiamento epocale, di un grande risveglio, di un nuovo capitolo nella storia dell’uguaglianza.
In questo momento, viene messo in discussione e criticato quel metodo che ha regolato le relazioni tra i sessi per migliaia di anni. Il movimento di protesta ora non è più solo di una minoranza LGBT + una minoranza, ma è diventato di una maggioranza, quella delle donne. Quello che sta venendo fuori non è una novità, è qualcosa che abbiamo sempre saputo (almeno vagamente) e che non eravamo in grado (o che non eravamo disposti e pronti) ad affrontare apertamente: le centinaia di modi con cui vengono sfruttate sessualmente le donne.
Le donne stanno ora tirando fuori quel lato oscuro, rimasto nascosto nelle proteste ufficiali fatte su uguaglianza e rispetto reciproco, e quello che stiamo scoprendo è, tra le altre cose, quanto sia stata ipocrita e unilaterale la moda che ci ha spinto a criticare l’oppressione delle donne nei paesi musulmani: quindi, ora dobbiamo confrontarci con la nostra realtà di oppressione e sfruttamento delle donne.
Come in ogni sconvolgimento rivoluzionario, troveremo tante “ingiustizie” e “ironie”. Per esempio, dubito che atti deplorevoli e osceni fatti da Louis CK, saranno messi sullo stesso piano di un vera violenza sessuale, ma ripeto tutto questo non dovrebbe distrarci dal puno focale e dovremmo invece concentrarci sui problemi che ci attendono.
Sebbene alcuni paesi si stiano già avvicinando a una nuova cultura sessuale post-patriarcale (basta guardare l’Islanda, dove oltre due terzi dei bambini nascono fuori dal matrimonio, e dove nelle istituzioni pubbliche le donne sono più degli uomini), uno dei compiti più importanti è, in primo luogo, la necessità di cercare di comprendere cosa stiamo guadagnando e cosa stiamo perdendo con questo sconvolgimento del modo di corteggiare le donne che abbiamo ereditato. Perché si dovranno scegliere delle regole nuove per evitare di cadere in una sterile cultura di paura e di incertezze.
In effetti, alcune intelligenti femministe hanno notato molto tempo fa che se tentassimo di immaginare un corteggiamento politicamente corretto, saremmo molto vicini alla firma di un vero e proprio contratto di mercato. Il problema è che sessualità, potere e violenza sono molto più intimamente intrecciati di quanto possiamo aspettarci, tanto che anche elementi o atti che consideriamo di brutalità possono mischiarsi al sesso, vale a dire possono diventare parte della libido – dopotutto il sadismo e il masochismo sono forme di attività sessuale. Di conseguenza, una sessualità purificata dalla violenza e dai giochi di potere può benissimo finire per diventare una sessualità desessualizzata.
Nuove sfide
La prossima tappa sarà assicurarsi che questa bolla che si sta gonfiando non resti limitata solo alla vita pubblica di ricchi e famosi personaggi pubblici, ma che si diffonda e che penetri nella vita quotidiana di milioni di normali persone “invisibili”. E l’ultimo (ma non il meno importante) punto sarà cercare di comprendere come collegare, questo risveglio delle donne, alle lotte politiche ed economiche, cioè come impedire che si appropri di questo risveglio l’ideologia liberale occidentale, come altro modo per riaffermare le nostre priorità. Bisognerà fare uno sforzo perché questo risveglio non si trasformi in un altro caso in cui la legittimazione politica si basa sullo status di vittimismo del soggetto.
Non vi sembra che – oggi – la caratteristica fondamentale della soggettività sia quella strana combinazione che vede, da una parte, un soggetto libero che è l’ultimo responsabile del proprio destino, e dall’altra un altro soggetto che invece dichiara il suo status di vittima di circostanze al di fuori del proprio controllo? Non vi sembra che ogni contatto con un altro essere umano sia vissuto come una potenziale minaccia? Se l’altro fuma, se l’altro mi lancia uno sguardo avido, se l’altro mi urta: questa logica vittimizzante oggi è universalizzata, andando ben al di là dei casi standard di molestie razziste.
Basta ricordare la crescente industria finanziaria che si è messa in moto per richiedere il risarcimento-danni, dall’affare dell’industria del tabacco negli Stati Uniti, alle rivendicazioni finanziarie delle vittime dell’Olocausto a quelle dei lavoratori-forzati nella Germania nazista, fino all’idea che gli USA debbano pagare agli afro-americani centinaia di miliardi di dollari per tutto ciò di cui sono stati privati durante la passata schiavitù. Questa nozione di un soggetto inteso come vittima irresponsabile, implica l’estrema prospettiva narcisistica da cui ogni incontro con l’altro può apparire come una potenziale minaccia per il precario equilibrio immaginario del soggetto; in quanto tale, non è il contrario, ma, piuttosto, un supplemento intrinseco del soggetto liberalmente libero.
Oggi nella forma predominante dell’individualità, l’affermazione egocentrica del soggetto psicologico paradossalmente si sovrappone alla percezione di se stessi come vittima delle circostanze.
Due sfaccettature
In un albergo di Skopje dove sono stato di recente, la mia compagna ha chiesto se si può fumare in camera. La risposta che ha ricevuto dal receptionist è stata unica: “Ovviamente no, fumare è proibito dalla legge. Ma troverà un posacenere in camera, quindi questo non è un problema. “
Ma questa non è stata l’ultima delle sorprese: quando siamo entrati in camera, effettivamente sul tavolo c’era un posacenere di vetro, e sul fondo del portacenere c’era dipinta l’ immagine di una sigaretta con un grande cerchio rosso ed una linea diagonale che indicava “divieto”. Quindi non si trattava del solito giochetto che fanno gli alberghetti, dove discretamente dicono che, anche se è ufficialmente proibito, puoi fumare con la finestra aperta o qualcosa del genere.
Quindi, la contraddizione (proibito-permesso) è stata accettata apertamente e poi cancellata e trattata come se non esistesse nessuna contraddizione, il messaggio era: “è proibito, ma si fa così”. Tornando al risveglio del pensiero che è in atto, il pericolo è che, allo stesso modo, l’ideologia della libertà personale si combini senza sforzo con la logica della vittimizzazione (con una libertà silenziosamente ridotta alla libertà di far emergere il proprio status di vittima), rendendo così superflua una radicale politicizzazione emancipatrice di questo risveglio, trasformando la lotta delle donne in una serie di combattimenti locali – combattimenti contro il capitalismo globale, contro le minacce ecologiche, per una democrazia diversa, contro il razzismo, ecc.
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