Nel desolante panorama di quella che fu la la scena del rock “indipendente” italiano, spicca maestosa la figura di Giorgio Canali, già chitarrista dei CSI negli anni ’90 ed oggi attivo assieme ai Rossofuoco. Mentre i suoi omologhi si allineavano obbedienti alle regole del governo, rinunciando, alla resa dei conti, ad esercitare il mestiere che dava loro da vivere (se c’è un settore che può considerarsi già resettato è quello della musica dal vivo), Giorgio Canali è rimasto coerente con le premesse della sua indole anarchica, dando alle stampe “Venti”, album registrato due anni fa in pieno lockdown, all’interno del quale urla, graffia, vomita il suo dissenso contro il pensiero unico pandemico, ben sapendo che questa presa di posizione lo avrebbe isolato all’interno di quell’ambiente. Egli fa quello che ci si aspetterebbe da un artista, manifestando innanzitutto la sua indipendenza e la vocazione a rincorrere il mai come ora sfuggente orizzonte della libertà. Tanti degli altri “ribelli”, invece, si sono rivelati solo aspiranti cortigiani del reame dello spettacolo, cinici mestieranti, mercenari di bassissima lega. Fra le venti tracce di questo disco destinato a restare come testimonianza di questo lungo tramonto della civiltà, si segnalano “”Dodici”, “Morire perché”, “Viene avanti fischiando” e, soprattutto, “Nell’aria”, la dolente canzone-manifesto postata qui sotto, di cui si riportano alcuni versi:
Continui appelli in mondovisione
A isolare i terroristi che divergono d’opinione
Occupazione militare e delazione per il bene comune
Dai, che si arriva alla temperatura di ebollizione delle rane
E nell’aria mille cremazioni e ciminiere a milioni
Turiboli laici delle santissime società per azioni
E l’ultimo alito di disobbedienza civile
Sepolto con le museruole in un unico grande funerale