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La Redazione

 

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Martin Heidegger, l’oblio dell’Essere ed il dominio planetario della Tecnologia: “Ormai solo un Dio ci può salvare”

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A cura di Redazione CDC
Il 11 Giugno 2023
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Martin Heidegger, l’oblio dell’Essere ed il dominio planetario della Tecnologia: “Ormai solo un Dio ci può salvare”

Martin Heidegger

Di Belisario per ComeDonChisciotte.org

Sono trascorsi 47 anni dalla morte di Martin Heidegger (26 maggio 1976), uno dei maggiori filosofi dell’intera storia della filosofia, e nessuno è fino ad ora, purtroppo, riuscito a continuare il suo pensiero. Pensiero costantemente incompreso, sminuito, o intenzionalmente diffamato, grazie anche alla sua notevole complessità e difficoltà, che ne ha enormemente limitato l’ autentica comprensione e diffusione. Urge aiutare Heidegger – ed al tempo stesso coloro che non lo conoscono – rendendo il suo pensiero, per quanto possibile, comprensibile.

 

L’Europa dello scorso secolo ha originato due eventi che hanno profondamente alterato la sia conoscenza e la percezione del mondo, sia il pensiero e la storia del pensiero filosofico occidentale: la fisica quantistica di Werner Heisenberg e la filosofia di Martin Heidegger. I due eventi o fenomeni hanno in comune diversi aspetti, tra i quali un tratto che non appare nè causale e nè secondario, quello della loro notevole difficoltà di comprensione per il cd “uomo comune”.

La conoscenza e diffusione del pensiero di Martin Heidegger – al quale questo saggio è dedicato – ha sofferto enormemente a causa di tale difficoltà. Heidegger, oltre a dare per scontato che il lettore abbia una rilevante conoscenza della storia della filosofia occidentale, è infatti molto difficile da comprendere, al punto che perfino parecchi studiosi e saggisti che gli hanno dedicato analisi e monografie – specie provenienti dalla tradizione della filosofia della scienza Anglo Sassone – ne hanno, in alcuni casi incredibilmente, capito molto poco. Ma non è solo la difficoltà ad ostare: l’altro problema è la notevole problematicità del suo pensiero, e sotto svariati profili, non ultimi di natura storica e politica.

I nemici – filosofici e non – di Heidegger sono molteplici ed agguerriti, primariamente – ma non solo – provenienti dalla tradizione positivista della filosofia della scienza, predominante nel mondo Anglo Sassone. I citati – per esempio i seguaci di Karl Popper – non hanno mai avuto interesse alcuno alla diffusione del suo pensiero, sistematicamente incompreso, frainteso, sminuito, vilipeso o condannato.

Cosa quindi si può fare per aiutare il pensiero di Martin Heidegger? E per aiutare al tempo stesso coloro che non lo conoscono o non lo hanno compreso?

Il miglior servizio che gli si potrebbe fare è continuare a pensare nel suo solco, ma francamente lo scrivente non è in grado, ed in ottima compagnia: fino ad oggi nessuno è stato in grado. Dibattere ulteriormente con i cd filosofi della scienza – quelli che “se il pensiero non è falsificabile, allora non è verificabile, e allora non è scientifico e quindi non ha senso“ – è ormai una completa perdita di tempo.

Ecco che il miglior servizio che gli si possa fare appare, allora, quello di renderlo comprensibile all’ “uomo comune”, dotato almeno di una buona formazione logica e filosofica. E’ l’intento del presente saggio: solo renderlo comprensibile: basta e avanza.

Essere e Tempo

Nella sua opera principale “Essere e Tempo”, pubblicata nel 1927 (1), Heidegger parte dal concetto di Essere, o dal “problema del senso dell’Essere in generale”, che ha un suo senso ed autonomia, e non si esaurisce nel senso dell’essere degli enti (cose, vegetali, animali, uomini).

In ogni problema, è possibile distinguere: a) ciò che si domanda; b) ciò a cui si domanda; c) ciò che si trova domandando.

Gli enti sono tanti e diversi: cose, vegetali, animali, uomini, ma l’unico ente che può vantare un rango primario, che può fungere da interrogato, è l’Uomo, in quanto unico ente originariamente aperto alla comprensione dell’Essere.

Ora, nell’ intera storia del pensiero metafisico, per alcune migliaia di anni, da Parmenide e Platone fino a Hegel e Nietzsche, l’ Essere è stato concepito come mera o semplice presenza. L’Essere è, e basta.

Ma l’Essere non è la mera o semplice presenza: è, invece, e si rivela o “esiste” nel Tempo, e deve conseguentemente essere discusso e compreso nel Tempo. Qui assistiamo ad uno dei primi rovesciamenti heideggeriani rispetto alla storia della metafisica, ossia al capovolgimento del rapporto Tempo-Storia. L’Essere non “diventa” temporale perchè “sta” nella Storia, e quindi “si storicizzerebbe”, ma esiste storicamente perchè è temporale. Non è la storiografia a collocare la storicità dell’Essere e dell’esserci umano, ma la storicità costitutiva dell’Essere e dell’esserci umano a fondare la storiografia.

Perchè per qualche millennio l’Essere è stato concepito come semplice o mera presenza, e non come essere nel Tempo? Cosa ha precluso il pensiero dell’ Essere, o cosa ha causato l’oblio dell’Essere?

Come vedremo più avanti – e si tratta di un passaggio fondamentale del pensiero heideggeriano – sia il secolare oblio dell’Essere che il tardivo pensiero dell’Essere, ossia il fatto che l’Essere sia finalmente giunto a pensarsi, non sono casualità accidentali – eventi che sarebbero potuti accadere prima, per mera chance – ma attengono all’ Essere stesso, come un destino: eventi che ineriscono all’Essere stesso, ed attraverso i quali si rivela.

L’essere dell’ Uomo è l’esistenza umana, o l’essere-nel-mondo (Dasein). L’Uomo è un poter essere, un progetto o una possibilità vivente che si rapporta al mondo.

Ma come l’Essere non è mera presenza, così il mondo non è la mera somma delle cose o enti. Il mondo viene prima delle singole cose o enti, perchè è la condizione affinchè le singole cose siano. Senza il mondo – e la sua mondità – le cose non potrebbero esistere o darsi come tali. Secondo il famoso esempio, una brocca, ossia un oggetto che raccoglie e versa l’acqua, tale è in un mondo in cui esistono acqua, laghi e fiumi; diversamente, non potrebbe essere “una brocca”.

E le cose, o gli enti, sono innanzitutto strumenti, ai quali l’Uomo si rapporta e che l’Uomo utilizza.

Senonchè per alcuni secoli, la filosofia ed il cd senso comune hanno ritenuto che la realtà autentica delle cose o enti fosse quella che si coglie obiettivamente, ossia in una logica obiettiva, quella propria della scienza e della matematica.

In realtà, l’analisi obiettiva degli enti è solo un modo di manifestarsi della strumentalità, ossia una condizione per la loro utilizzabilità come strumenti. Esempio: l’analisi obiettiva di un principio chimico attivo ne consentirà la strumentale trasformazione in un farmaco.

Ma l’essere-nel-mondo dell’Uomo non è un fatto solo intellettuale, non attiene solo al mero “cogito ergo sum” cartesiano o alla presunta “ragion pura” kantiana. L’essere-nel-mondo dell’Uomo è sempre, al tempo stesso, una dimensione affettiva. La dimensione affettiva non è un “incidente” che attenta al cd intelletto “puro”. Entrambe le dimensioni, affettiva ed intellettuale, dell’esistenza o dell’essere-nel-mondo risentono della condizione primaria della deiezione, o dell’essere-gettati-nel mondo. Nasciamo, ossia siamo tutti gettati-nel-mondo, da una determinata famiglia, in un determinato punto dello spazio e del tempo. Le condizioni di tale deiezione concretano quella che Heidegger denomina “tonalità affettiva”. La nostra comprensione del mondo si colloca sempre all’interno di una determinata situazione affettiva (gioia, dolore, noia, rabbia, angoscia, e indifferenza – tonalità affettiva tanto quanto le altre, etc). Il cd “soggetto o intelletto puro” non può esistere, l’Uomo è sempre un soggetto deietto o “tirato” nel mondo – nessuno ci ha chiesto se volevamo nascere – ed un progetto che si proietta in un punto fisico, nel mondo che il Tempo gli ha aperto.

Nel suo essere-nel-mondo, con la sua propria tonalità affettiva, l’Uomo interagisce con il mondo innanzitutto per come il mondo stesso si offre, ossia secondo l’opinione comune: pensa innanzitutto quello che si-pensa, in conformità al “si dice” del senso comune. Le opinioni del senso comune non si condividono tanto perchè verificate, ma principalmente in quanto comuni. Il senso comune, infatti, varia notevolmente secondo le epoche storiche e secondo le culture nazionali: basta osservare gli ultimi 30 anni in Occidente.

In quanto innanzitutto gettata nel mondo del “si dice”, l’essere-nel-mondo o l’esistenza umana si presenta originariamente come inautentica. L’ esistenza inautentica è costantemente esposta al dominio della chiacchiera, della curiosità e dell’equivoco. Ma l’esistenza inautentica – attenzione – non deve essere disprezzata come “inferiore”, perchè è la condizione di partenza, necessaria, affinchè a partire da essa possa svilupparsi l’esistenza autentica, segnata invece da una vera o autentica apertura agli enti, oltre il “si dice”, e dalla capacità dell’Uomo di appropriarsi di sè , di pensare gli enti e di progettarsi in base alla sua più propria possibilità.

Il progettarsi dell’esistenza autentica secondo Heidegger suppone, necessariamente ed al tempo stesso, l’accettazione e l’anticipazione della morte. Il progetto dell’esistenza umana tale è in quanto temporalmente limitato dalla morte. Solo la piena, profonda accettazione della temporalità dell’esistenza, e ipso facto la coscienza, accettazione e anticipazione della morte, renderebbe l’esistenza autentica, e quindi libera di realizzarsi. E’ questo un concetto o un passaggio molto delicato sotto diversi profili del pensiero di Heidegger. La dimensione dell’esistenza autentica appare originalmente minoritaria.

Come l’esistenza autentica parte dall’esistenza inautentica, così la verità nasce dalla non verità, o dal nascondimento originario che precede il disvelamento di ogni ente.

Heidegger contesta il concetto di verità come mera conformità o esattezza (come in una misurazione o in un calcolo): come l’Essere non è mera presenza, ma è nel Tempo, la verità non è l’esattezza: è tutt’altra cosa, ossia un processo, il superamento dell’ originario nascondimento, è il non nascondimento o il disvelamento che rivela ogni ente nella sua realtà. Come quando dopo le prime impressioni si inizia a conoscere una persona, o le proprietà di un oggetto…..Similmente alla luce che illumina le cose, e le libera dall’oscurità , o dal nascondimento o mistero originario.

Le opere successive

“Essere e Tempo” è un’opera interrotta o incompleta, priva della terza parte, che avrebbe dovuto intitolarsi Tempo ed Essere. La ragione dell’interruzione è stata, secondo Heidegger, addirittura l’insufficienza del linguaggio filosofico ereditato dalla tradizione metafisica occidentale.

Che l’Essere finalmente, e dopo millenni ci parli e si riveli – attraverso Heidegger!- e che Heidegger non sia riuscito a proseguire non per sua carenza o colpa ma, addirittura, a causa dell’ insufficienza del linguaggio filosofico formatosi in alcuni millenni, sono affermazioni apparse a molti come essenzialmente megalomani, e come tali da molti trattate. L’accusa di megalomania, messa in questi termini crudi, apparirebbe credibile. Senonchè, chi ha studiato ed ha almeno parzialmente compreso Heidegger, ha invece percepito il suo sforzo continuo per elaborare un nuovo linguaggio filosofico (la mondità del mondo, etc), fino a percepire autenticamente la mancanza di nuove forme e categorie concettuali e linguistiche atte ad esprimere il suo pensiero.

Nelle sue diverse opere successive, Heidegger si è quindi concentrato sul linguaggio e sulla poesia.

L’analisi del linguaggio parte dal concetto di strumento, o degli enti come strumenti. In quanto costituito in funzione di qualcos’altro, lo strumento ha il carattere del rimando o del rinvio: al materiale di cui è composto, alle persone che lo usano, alle sue sembianze, al suo uso specifico. Ma lo strumento resta primariamente fatto per un determinato uso, e solo secondariamente per manifestare rimandi o rinvii.

Nel segno, e nel linguaggio, il carattere del rinvio non è accidentale ma costitutivo: il segno non ha infatti altro uso se non quello del rinvio. Heidegger si sofferma molto sulla natura e sul senso del linguaggio, ed ugualmente sul pensare poetico, come un sentiero utile per cercare di superare l’insufficienza del linguaggio filosofico formatosi in alcuni millenni di pensiero metafisico.

Ma è alla storia della metafisica occidentale ed all’avvento del dominio della Tecnica planetaria che Heidegger dedica il maggior sforzo, in una visione di una profondità sconvolgente, ancora oggi non solo incompresa, ma anche, se non soprattutto, intenzionalmente occultata e rifiutata.

La fine della metafisica

Nella “Introduzione alla metafisica” del 1935 (2), secondo Heidegger il pensiero metafisico occidentale, per due millenni, da Parmenide e Platone a Hegel e Nietzsche, nel limitarsi a concepire l’Essere come mera presenza atemporale, ha sempre risposto alla seguente, apparente, domanda: perchè l’Essere, e non il Niente? Domanda apparente, perchè la domanda reale non è stata “perchè l’Essere e non il Niente”, ma “perché l’ ente o gli enti e non il Niente”.

Il Niente, nell’apparente domanda originaria, non viene pensato o elaborato, ma trattato come una mera condizione antitetica al presunto Essere, inteso come mera presenza.

Ma in realtà il Niente (no-ente) attiene all’ente, ed a tutti gli enti, che hanno un inizio ed una fine, ma non attiene all’Essere, che nella domanda così formulata, ipso facto viene nascosto o si nasconde.

L’Essere trascende il Niente (“niente di ente”) come assenza dell’ente; l’ Essere permette invece agli enti di apparire.

Espresso in termini più chiari e semplici, la dialettica Essere e Niente, così erroneamente formulata, attiene agli enti, che hanno tutti un inizio ed una fine, ma non attiene all’ Essere, perchè l’Essere è proprio ciò che permette agli enti di apparire e perire.

La storia del pensiero metafisico occidentale avrebbe scambiato l’Essere per un ente (infatti contrapposto al Ni-ente), e si sarebbe quindi dedicata a trovare l’Ente Supremo o Massimo, al quale ricondurre tutti gli altri: il Dio ebraico, il Logos di Eraclito, l’Idea di Platone, l’Energia di Aristotele, il concetto assoluto e/o lo Spirito Assoluto di Hegel, la Volontà di Potenza di Nietzsche…. ma sempre di enti si tratta, con la conseguenza del nascondimento o oblio dell’Essere.

Ma – attenzione – questo nascondimento o oblio dell’Essere verificatosi in due millenni di storia del pensiero metafisico NON è qualcosa di accidentale, ma la sua Storia e/o Destino. E sopratutto – passaggio fondamentale dell’ontologia heideggeriana – non è qualcosa che si è svolto obiettivamente, davanti a noi: la storia dell’Essere e del suo oblio è la nostra storia, la storia dell’Uomo quale UNICO ente aperto alla comprensione dell’Essere.

Non c’è alcun modo di scindere la storia dell’Essere dalla storia dell’Uomo quale unico ente aperto all’Essere, e/o tra un soggetto ed un oggetto: le due storie non sono separabili.

La storia della metafisica occidentale e dell’ oblio dell’Essere, da Parmenide e Platone, passando per Cartesio, Leibniz, Kant e Hegel, si compie e finisce con il nichilismo di Nietzsche. Nietzsche concepisce l’essere dell’ente come mera “volontà di potenza”, ossia un qualcosa che vuole null’altro che sè stessa, un puro volere senza un autentico “voluto”. L’Essere, erroneamente concepito come mera presenza, in un certo senso morirebbe, non a caso insieme all’idea di Dio, erroneamente concepito quale Ente Supremo, e quindi insieme alla morte di Dio.

Con la fine della metafisica, la fine della ricerca dell’ Ente Supremo e la morte di Dio, si è definitivamente smarrito il senso dell’Essere, e l’Uomo si troverebbe “errante tra gli enti”.

Ma è proprio questo “errare tra gli enti” che paradossalmente, rivelerebbe l’assenza dell’Essere……..

L’Essere si rivelerebbe da e nella sua assenza, lasciandoci una via di scampo per finalmente riconoscerlo.

Il dominio della Scienza, e della Tecnica planetaria, è in realtà un destino?

Morta la metafisica ed occultato in modo estremo, attraverso il nichilismo, il senso dell’ Essere, l’errare tra gli enti è, e rappresenta, il dominio della Scienza. L’essere dell’ errare tra gli enti è ridotto alla cd obiettività, al “risultato” o al “prodotto” che si raggiunge nel laboratorio scientifico. Il dominio della Scienza sta diventando il dominio della Tecnica, o Tecnologia, come organizzazione totale.

I sistemi metafisici dell’Ottocento (Kant, Hegel, Marx, etc) erano una organizzazione totale a livello solo teorico, e sopratutto ancora distinguevano tra una realtà apparente o empirica ed una cd realtà “vera”, quale illustrata nei loro sistemi. Lo scarto, ancora esistente in quei sistemi, tra realtà apparente o percepita e realtà “vera”, in ultima istanza rifletteva almeno il ricordo di quella che Heidegger chiama la “differenza ontologica”, la differenza tra l’Essere e gli enti.

Ma l’organizzazione totale della Scienza nella Tecnica non è più un mero fatto teorico, e si è concretata come ordine materiale del mondo. La metafisica è morta, ma al tempo stesso si è compiuta nella Tecnica e nella strumentalizzazione generale del mondo. La metafisica è morta perchè non ha più alcun “oltre” (meta in Greco), ed il pensiero è diventato tecnico.

Le domande sono: perche’ l’ oblio dell’ Essere? Qual’ è il suo senso? In base a quale principio la Tecnica non avrebbe un senso nella storia dell’Essere e dell’Uomo? Qual’ è il senso della Tecnica?

Secondo Heidegger, la Tecnica o Tecnologia– nel lungo percorso dal primo, rudimentale coltello scolpito da una roccia dall’Uomo primitivo, fino all’ Internet dell’ Uomo contemporaneo – ha un senso o è un destino per l’Uomo, senso o destino che non sarebbe ancora stato pensato, e che non può non essere legato all’oblio dell’Essere.

L’ obiettività del mondo della Scienza e della Tecnica…..ma siamo così sicuri che la Natura che cerchiamo attraverso la Scienza e la Tecnica, si esaurisca in ciò che troviamo? Il fatto che il corpo umano risponda alle leggi della biologia e della medicina, ridurrebbe ed esaurirebbe l’ essenza dell’Uomo alla biologia?

Come, e perchè continuare a far finta di dimenticare che la stessa Scienza ha da tempo dissolto l’oggettività scientifica, a partire dal principio di indeterminazione di Heisenberg?

Secondo il noto esperimento, per osservare una particella subatomica occorre illuminarla. Ma poichè l’illuminazione, sbattendo contro la particella, la devia, quello che vediamo non è la posizione della particella, ma la collisione, con la conseguenza dell’impossibilità di stabilire la posizione della particella, prima della sua collisione con il raggio di luce necessario per osservarla.

La posizione della particella prima del raggio di luce è quindi un inosservabile, perchè ciò che è osservabile è, letteralmente, solo la collisione della particella con le condizioni dell’osservabilità.

Quindi a livello microfisico l’osservazione altera la realtà osservata (senza il raggio di luce, la particella non avrebbe deviato dalla sua traiettoria)……………

E come se non bastasse, abbiamo quindi una natura osservabile ed una natura non osservabile.

E chi o cosa ci garantirebbe che le leggi scientifiche fissate da e per gli osservabili valgano anche per gli inosservabili? E chi o cosa ci garantirebbe, quindi, che la natura che si osserva sia la stessa che non si osserva, o che si nasconde nell’inosservabilità?

Proprio niente e nessuno, ma casomai proprio il contrario: infatti la fisica quantistica, nata dalla microfisica, è ben diversa e sotto infiniti profili inconciliabilefa letteralmente a pugni – con la fisica newtoniana dell’universo come il grande orologio. E senza gli strumenti che hanno consentito l’osservazione microfisica, non avremmo mai scoperto la fisica quantistica, ai tempi di Galileo e Newton inosservabile.

La Tecnica ed il dominio planetario della Tecnica sarebbero un destino ancora non chiarito, di fronte al quale Heidegger appare inquieto, preoccupato e perfino spaventato, al punto da riparare, in un certo senso, nell’analisi del linguaggio e della poesia.

L’inquietudine e lo spavento di Heidegger di fronte al dominio planetario della Tecnica – da lui letteralmente profetizzato negli anni 30, con diversi decenni di anticipo – è ciò che lo ha portato ad alcune note dichiarazioni, che lo hanno esposto alla pubblica condanna e censura. Dichiarazioni e formulazioni che richiedono necessariamente l’inquadramento storico e politico della sua vita, o del suo “essere-nel mondo”.

Heidegger ed il Nazismo

Molti, se non la maggioranza, dei lettori del presente saggio, ignoravano l’opera di Heidegger, ma già sapevano -il si dice -che si trattava di un filosofo ritenuto tanto importante quanto incomprensibile, sul quale, secondo molti, grava l’accusa di aver sostenuto il Nazismo.

L’accusa non è peregrina. Heidegger aderì esplicitamente al Nazismo, a partire dal famoso discorso del maggio 1933 su “L’autoaffermazione dell’Università tedesca” (3) e da altri discorsi e documenti come Rettore dell’Università di Friburgo. Alle dimissioni dal Rettorato presentate nell’aprile 1934 non seguì da parte di Heidegger alcun distanziamento, nemmeno indiretto, dal Nazismo. Nè gli attacchi nei suoi confronti provenienti da Walter Gross, direttore dell’Ufficio Razziale del Partito Nazista o, nel 1937, dalla rivista culturale settimanale delle SS, “Das Schwarze Korps”, nell’articolo intitolato “Gli Ebrei Bianchi nella Scienza” (4), valgono ad accreditarlo come non Nazista. Il Nazismo, come il Fascismo, fu un movimento politico nel quale diverse anime e componenti si disputavano il predominio anche ideologico. Lo stesso antisemitismo era oggetto di dibattito, accuse ed insulti – tra i quali quello, frequente, di “Ebreo onorario” – tra coloro che lo fondavano biologicamente e coloro che lo ritenevano primariamente spirituale, culturale o comportamentale. Le frange naziste più estreme o integraliste, riconducibili alle SS, attaccarono ripetutamente non solo Heidegger, ma anche Heisenberg (per i riferimenti alla fisica ebraica dell’ebreo Einstein), Carl Schmitt e tanti altri esponenti del periodo, come noto poi storicamente accusati di aver aderito al Nazismo. In termini italiani o fascisti, c’erano da una parte i Farinacci e i Preziosi, e dall’altra i Gentile ed i Bottai, ed un attacco violento da parte dei Farinacci o Preziosi non era certo sufficiente ad accreditare il bersaglio come non fascista, specie analizzato ex post. Himmler, Heydrich e le SS erano una componente estrema molto rilevante, ma non avevano il monopolio assoluto della visione nazista.

Dopo le dimissioni dal Rettorato, Heidegger continuò l’attività accademica, con opere e lezioni. Terminata la guerra, nell’ambito della capillare opera di denazificazione, Heidegger (tralaltro vittima per alcuni mesi di un esaurimento nervoso) fu interdetto dall’insegnamento, al quale fu riammesso solo nel 1951. Nella famosa intervista (5) al settimanale tedesco Der Spiegel nel 1966 (intitolata “Ormai solo un Dio ci può salvare”), pubblicata solo dopo la sua morte nel 1976, Heidegger fornisce una spiegazione per nulla convincente, ed anzi elusiva ed ambigua, della sua adesione al Nazismo, ambiguità che aveva agevolato la prosecuzione del dibattito tra gli studiosi: tra coloro che – forse anche al fine di salvare il suo pensiero – avevano scelto di considerare l’adesione al Nazismo come un compromesso essenzialmente opportunistico e carrieristico, e coloro che invece avevano sempre reputato Heidegger un Nazista.

I Quaderni Neri

La pubblicazione dei Quaderni Neri, nel 2014 (6), ha chiuso seccamente il dibattito, almeno per l’onesto giudizio. Nei Quaderni, una collezione di note e riflessioni personali, Heidegger si rivela non solo Nazista, ma anche chiaramente antisemita. Le varie formulazioni non lasciano scampo. In un passo, si legge che: “vivendo in accordo al principio della razza, gli Ebrei hanno promosso il ragionamento in base al quale sono stati attaccati, e così non hanno il diritto di lamentarsi quando quel ragionamento è stato usato contro di loro dai Tedeschi che hanno promosso la loro propria purezza razziale” .

L’Olocausto sarebbe stato “autoprovocato” dalla mentalità manipolatoria, calcolante e speculativa degli Ebrei, che in termini metafisici, si sarebbero “autoannientati” – si legge in altri passi, che sorvolano in modo assoluto e totale su qualunque remota sembianza di responsabilità morale.

I tanti che – marxisti in prima fila, anche in Italia – già odiavano Heidegger per ragioni filosofiche o politiche, hanno quindi cercato di liquidare interamente la sua filosofia alla luce del suo evidente, innegabile antisemitismo metafisico, giungendo ad affermare che secondo Heidegger “l’oblio dell’Essere è imputabile agli Ebrei”, affermazione ed accusa integralmente falsa, che cerca di ridurre e svilire l’intera filosofia di Heidegger al suo antisemitismo.

Ma Heidegger aveva letteralmente previsto tutto questo…..La pubblicazione dei Quaderni Neri, ossia della prova incontestabile ed evidente del suo Nazismo ed antisemitismo, per disposizione di Heidegger, avrebbe dovuto accadere solo alla fine della pubblicazione di tutte le sue opere, e si è infatti verificata solo nel 2014. Heidegger sapeva perfettamente che, ove fosse stato etichettato come Nazista ed antisemita già dal 1945, la sua opera filosofica sarebbe stata immediatamente espulsa dai programmi liceali ed universitari occidentali, e conseguentemente ridimensionata come “minore” e/o messa all’indice. E’ anche in tale ottica che si può collocare l’evidente ambiguità della sua intervista del 1966 (pubblicata postuma nel 1976).

Arrivati al 2014, dopo 69 anni dal 1945 di inclusione della sua filosofia nei programmi liceali ed universitari occidentali, nonchè del notorio uso e soprattutto abuso della sua opera da parte di pensatori accettati o “politicamente corretti” quali Sartre, Derrida, Foucault, etc, la retromarcia in questione è diventata praticamente impossibile: non lo si può spacciare per un filosofo minore.

In sostanza, Heidegger con i Quaderni Neri ha voluto dirci chiaro e tondo, 87 anni dopo Essere e Tempo, 69 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e 38 anni dopo la sua morte, di essere stato Nazista e antisemita. Ci ha lasciato un brutto conto, e ci tocca affrontarlo.

Il “conto” di Heidegger

Il “conto” lasciatoci da Heidegger è difficile e delicato da affrontare. Nessuno o quasi – e certo non lo scrivente – si azzarda infatti a negare l’essenza criminale dell’Olocausto. Come non finire costretti a gettare il pupo insieme all’acqua sporca? Nell’opinione dello scrivente, andando dritti incontro alla riflessione ed all’analisi di uno dei passi più contestati del suo pensiero, la famosa dichiarazione resa in una conferenza a Brema nel 1949, che provocò una serie tale di condanne ed insulti da indurre Heidegger a richiudersi in un silenzio extra accademico durato fino all’intervista al Der Spiegel del 1966. Secondo quella dichiarazione (7):

L’agricoltura è oggi industria alimentare meccanizzata, che nella sua essenza è lo stesso della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, lo stesso del blocco e dell’affamamento di intere nazioni, lo stesso della fabbricazione di bombe all’idrogeno”.

Cosa ha voluto dire, Heidegger? Bisogna innanzitutto risalire alla visione dell’alterazione del rapporto con la Natura determinato secondo Heidegger dalla Tecnica, o Tecnologia.

L’antico “sapere” o Techne preindustriale si sarebbe limitato all’armonico dispiegamento delle energie della Natura: il mulino o la navigazione a vela che usano il vento, l’irrigazione e la diga che imita il fiume ed il lago. La Tecnica o Tecnologia moderna, specie a partire dalla rivoluzione industriale, avrebbe invece trasformato la Natura in un fondo a disposizione, dal quale accumulare ed estrarre risorse ad infinitum. Il dispiegamento delle forze della Natura, in armonia e sotto la guida della stessa Natura, sarebbe stato sostituito dall’accumulazione e disposizione delle risorse della Natura.

In tale visione, Heidegger appare riconnettersi chiaramente allo storico movimento Blut und Boden (Sangue e Terra), sorto in Germania nel 1800 e poi ripreso – non inventato, come falsamente argomentato – dal Nazismo: la visione della relazione vitale tra popolo e terra, nel rispetto della Natura, alterata e corrotta da industrializzazione e urbanizzazione.

La critica di questo nuovo rapporto abusivo nei confronti della Natura da parte di Heidegger – un uomo che negli ultimi decenni della sua vita trascorse svariati periodi di mesi in uno chalet di montagna intenzionalmente privo di energia elettrica e con cucina a legna – sembra a tutti gli effetti una critica – prima che della Tecnica o Tecnologia – della stessa industrializzazione, a partire dall’ agricoltura industrializzata.

E’ difficile, almeno per lo scrivente, seguire integralmente Heidegger in tale logica tanto romantica quanto manichea ed in tale impianto ideologico – parzialmente visibile nell’odierna ideologia Verde. Per esempio, l’elettrificazione – una conquista dell’industrializzazione – nasce infatti dalla produzione, accumulazione e distribuzione dell’energia elettrica – che non appena lasciata “libera” si scaricherebbe nella Terra – e dalla sua accumulazione come fondo a disposizione…..appare impensabile condannare tout court l’accumulazione e disposizione, e la stessa industrializzazione, come è impensabile rinunciare all’energia elettrica.

Ma non fu sotto il sopraesposto profilo che l’affermazione di Heidegger fu condannata – al punto da indurlo ad un silenzio extra accademico durato fino all’intervista del 1966 – ma bensì l’asserita, oscena equiparazione tra industrializzazione dell’agricoltura e l’Olocausto. E qui la condanna risulta quanto meno sommaria: infatti, Heidegger non aveva menzionato solo l’Olocausto, ma anche il “blocco e affamamento di intere nazioni” e ”la fabbricazione di bombe all’idrogeno”. A ben riflettere, letteralmente mancano i bombardamenti a tappeto sulle popolazioni civili, ma possiamo tranquillamente considerarli come implicitamente inclusi, insieme alle tre citate categorie.

Di cosa stiamo parlando, quindi? Della morte come procedimento di massa, industriale e tecnologico.

Sul piano propriamente agricolo e alimentare, per secoli i contadini hanno ucciso il pollo, il maiale o il vitello, per alimentare la famiglia, la comunità, il villaggio. L’organizzazione si è evoluta nei mattatoi, ma sempre in una ottica artigianale, che non eliminava l’esperienza diretta e personale del dare la morte. Quando nell’antichità o nel Medio Evo – pre industrializzazione – l’esercito vincitore decideva di sopprimere interamente l’esercito perdente, doveva procedere a dare la morte con mezzi artigianali, necessariamente lunghi e penosi.

Poi un bel giorno è arrivata la catena di montaggio, e l’organizzazione industriale e meccanizzata della produzione di cibo: esempio, la Tyson Foods americana, in cui migliaia di polli sfilano sul tapis roulant che li decapita, squarta ed impacchetta – automaticamente. Il passaggio dalle uccisioni artigianali dei polli da parte dei contadini al tapis roulant della Tyson Foods attiene ovviamente alla produzione alimentare, nello specifico di proteine di carne di pollo.

Ma non si tratta, al tempo stesso, di uno strumento, o di un modello? E a cosa rinvia tale modello?

Se la meccanizzazione e industrializzazione vengono utilizzate per uccidere polli e produrre carne di pollo, non resta ipso facto aperta la possibilità di “esportare” il modello ad altri ambiti?

I polli della Tyson Foods, grazie alla Tecnologia, sono ridotti ad una “commodity” o merce, prodotto, o derrata. Ed il modello si è certamente affermato in altri ambiti.

Come uccidere più nemici possibile? Ecco la mitragliatrice (Prima Guerra Mondiale), e i soldati cadono a file, proprio come birilli. I Tedeschi non danno adeguate garanzie post novembre 1918? Blocco navale ed embargo alimentare, e farli morire di fame (circa mezzo milione di morti, 1918-1919). Gli Ebrei tramano contro la razza ariana? Campi di concentramento e camere a gas: l’Olocausto (1943-45). Tedeschi e giapponesi non si arrendono? Bombardamenti al napalm ed al fosforo (Amburgo, Dresda, Tokyo, etc, 1943-45), con un totale di 2 milioni di civili morti (Hiroshima e Nagasaki incluse). I Russi stanno per dichiarare guerra ed invadere il Giappone (7 agosto 1945)? Bombe atomiche su Hiroshima (6 agosto 1945) e Nagasaki (9 agosto 1945), così’ il Giappone si arrenderà immediatamente e non sarà diviso dagli USA con l’URSS, come l’Europa. I comunisti Nord Coreani non si arrendono? Si bombardano sia le centrali elettriche che le dighe (1950-53), generando una catastrofe ambientale e umanitaria esponenziale, con oltre un milione di civili morti.

I Vietnamiti non si arrendono? Bombe al napalm sulla popolazione, con oltre un milione di civili morti. L’Iraq di Saddam non si piega? Embargo alimentare e sanitario dichiarato dal Presidente Clinton e dall’ONU, con mezzo milione di bambini morti per mancanza di antibiotici, anestetici e perfino di aghi chirurgici. Gli Iracheni non si arrendono nella seconda invasione dell’Iraq (2003-2006)? Bombardamenti a grappolo ed anche al fosforo (Falluyah), con oltre 700.000 civili morti.

C’è proprio una profonda differenza tra i polli della Tyson Foods e le vittime di cui sopra? Ovvio, si tratta di esseri umani, ma sono tutti ridotti a commodities, prodotti o merci da sopprimere agevolmente ed in massa, grazie al “provvidenziale” intervento della Tecnologia.

Heidegger afferma che la ratio tecnologica che considera qualsiasi ente — e quindi anche l’Uomo — alla luce della sua mera disponibilità, inevitabilmente porta al lager, all’embargo o al bombardamento, in cui alla fine anche l’Uomo viene ridotto a niente altro che una commodity da distruggere: dai bimbi gasati ad Auschwitz a quelli bruciati vivi o dilaniati a Amburgo, Dresda, Tokyo, Hiroshima, ed in Vietnam e in Iraq, tutte vittime ugualmente innocenti.

Dove stiamo andando?

Giunti alla fine di questo saggio, risulta agevolissimo comprendere perchè un genio come Martin Heidegger – che già negli anni 30 dello scorso secolo aveva previsto il dominio planetario della Tecnica o Tecnologia – è accuratamente evitato dalla mainstream culture, o dal “si dice” del senso comune, specie Anglo Sassone: “E’ difficile e astruso, ed anche nazista ed antisemita”……
Eppure il dominio planetario della Tecnologia – che negli anni 30 dello scorso secolo sembrava una ipotesi paranoica ed apocalittica – oggi è un fatto assolutamente banale e scontato, un classico della chiacchiera, al bar o dal parrucchiere. La triplice globalizzazione: economica, tecnica e scientifica….

Pensiamo ad Internet: cos’è, la Tecnologia che si autorganizza in un sistema neuronale planetario? Il trionfo dello spirito oggettivo hegeliano? Quando siamo connessi – wired – con pc e cellulari, siamo soggetti connessi ad un oggetto, Internet? O è Internet che si connette con noi, meri terminali viventi?

Facilissimo rispondere che come individui, siamo soggetti connessi ad un oggetto, anche perchè tutti decidiamo se e quando connetterci o no: it is a free choice, American style!
Ma il piccolo problemino è che – guarda caso – almeno in Occidente, non è più possibile disconnettere Internet in quanto tale: verrebbe giù tutto o quasi, dai servizi basici alla borsa dei “valori” (azionari).

Oops… but, but…. ma allora l’Uomo è obbligato a ricevere la chiamata di Internet, o della Tecnologia….. “Ma l’abbiamo deciso noi umani….” “Ma ne siamo proprio sicuri?” O la distinzione tra soggetto ed oggetto è alla fine secondaria, se non apparente?

Ed in ogni caso verso dove? Un futuro alla Terminator?
Ma senza guardare al futuro distopico – ci sono già Hollywood e Netflix per banalizzarlo nel nuovo si dice del senso comune, con pop corn e Coca Cola – pensiamo solo il presente.

Fino a 30 anni fa – pre Internet e cellulari – in Occidente, per gestire ed elaborare la propria insoddisfazione e volontà di cambiamento, era necessario incontrarsi e discutere, ed eventualmente agire e protestare: anche nelle piazze! Adesso, dal pc di casa o dal cellulare, perlopiù ci sfoghiamo su Internet, e la nostra insoddisfazione e rabbia si compie e resta lì, “diventa virtuale”….. ci si sfoga su Internet, e poi a nanna!

Così su Internet può sembrare che la maggioranza sia virtualmente arrabbiata, ma poi le urne elettorali non dicono lo stesso e nelle piazze a protestare realmente non si vede tanta gente……come si spiega il gap?…Forse un nuovo, reale movimento di opposizione potrebbe partire bandendo o limitando esponenzialmente la comunicazione elettronica: o ci si incontra e ci si parla, o niente….potrebbe essere un esperimento interessante……

Ma tornando sul punto: siamo coscienti di questo nuovo rapporto tra reale e virtuale, dettato dalla Tecnologia? La cd intelligenza artificiale è appena all’inizio, in uno stato embrionale.

I mutamenti virtuali stanno sostituendo i mutamenti reali? Ed i mutamenti virtuali, sono effettivamente mutamenti quanto i reali? O sono il mero spettacolo o la parodia o l’antidoto del mutamento reale, mediato dai mass media? Senza i mutamenti virtuali, i mutamenti reali sarebbero stati o sarebbero gli stessi? Ecco un altro inosservabile…..

La Tecnica o Tecnologia, nel lungo viaggio dal coltello scolpito da una roccia dall’Uomo primitivo fino ad Internet, è un Destino? Se è un Destino dell’ Essere e dell’essere-al-mondo dell’Uomo, l’abbiamo veramente scelto? Siamo in grado di pensarlo? O si sta affermando indipendentemente dal nostro pensiero, perchè non riusciamo nemmeno a pensarlo?

Martin Heidegger è morto il 26 maggio 1976 – purtroppo molto prima del regno di Internet. Siamo nel 2023, sono trascorsi 47 anni e nessuno – nessuno – è ancora riuscito a continuare il suo pensiero.

Forse aveva ragione: “Ormai solo un Dio ci può salvare……………

Di Belisario per ComeDonChisciotte.org

11.06.2023

Martin Heidegger, l’oblio dell’Essere ed il dominio planetario della Tecnologia: “Ormai solo un Dio ci può salvare”

Martin Heidegger

NOTE E BIBLIOGRAFIA

(1) Essere e Tempo, Martin Heidegger, traduzione dell’originale tedesco Sein und Zeit del 1927 di Pietro Chiodi, Longanesi 1970. Si sconsiglia il lettore privo di basi filosofiche dall’avventurarsi nella lettura diretta dell’opera senza una previa, adeguata introduzione al pensiero dell’ autore, quali, in lingua italiana, Introduzione a Heidegger di Gianni Vattimo, Laterza 2008, o Invito al pensiero di Heidegger di Umberto Galimberti, Mursia 1986, o Heidegger e il nuovo inizio di Umberto Galimberti, Feltrinelli 2020.

(2) Introduzione alla metafisica (1935), Martin Heidegger, traduzione italiana, Mursia 2014

(3) L’autoaffermazione dell’università tedesca (1933), Martin Heidegger, traduzione italiana, Il Nuovo Melangolo 1988

(4) Per un approfondimento in materia, vedasi “Il Terzo Reich e la fisica tedesca” https://sito01.seieditrice.com/chiaroscuro-nuova-edizione/files/2012/04/V3_U6_ipertesto-C.pdf

(5) “Ormai solo un Dio ci può salvare”, Martin Heidegger, intervista del 23 settembre 1966, pubblicata dal settimanale tedesco Der Spiegel dopo la morte di Heidegger, il 31 maggio 1976, traduzione italiana, Ugo Guanda Editore, 1976

(6) Quaderni neri, Martin Heidegger, a cura di Peter Trawney, traduzione italiana, pubblicati in diversi volumi dal 2018, Bompiani

(7) Conferenze di Brema e Friburgo, Martin Heidegger, 1949 e 1957, traduzione italiana, Biblioteca Filosofica, Adelphi 2002

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