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La Redazione

 

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“Non siamo frasi fatte, abbiamo dentro poesia”. Intervista a Vincenzo Costantino, il più amato poeta italiano nel mondo

Per Vinicio Capossela è un compagno di sconfinamenti, per Simone Cristicchi un maestro, per Dan Fante il più grande poeta italiano vivente, ma per tutti noi lui è Cinaski
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A cura di Sonia Milone
Il 3 Maggio 2024
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di Sonia Milone per Comedonchisciotte

Poeta e scrittore milanese tra i più amati in Italia e all’estero, Vincenzo Costantino, detto Cinaski, ha pubblicato un libro a quattro mani con Vinicio Capossela, “In Clandestinità” (2009, Feltrinelli); varie raccolte di poesie come “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare” (con prefazione di Dan Fante, 2010, Marcos y Marcos), “Non sembra neanche dicembre” (2013, Round Midnight edizioni), “Nati per lasciar perdere” (2015, Marcos y Marcos); “Il più bello di tutti” (2019, Marcos y Marcos); la raccolta di racconti “I miei poeti rock” (2021, Hoepli). Ha inciso, inoltre, un disco di poesie musicate: “Smoke. Parole senza filtro” (2012, Gibilterra edizioni).

Nel 2016,  insieme a Vinicio Capossela, porta nei teatri italiani il recital di musica e poesia “Accaniti nell’accolita”; nel 2013, con Simone Cristicchi, lo spettacolo “Gentaglia”; nel 2018, con Paolo Rossi, “Storie di giorni dispari”.
Numerosissime le sue performance di letture musicate  con tanti altri artisti quali  Mannarino, Francesco Arcuri, Mell Morcone, Raffaele Kohler, Folco Orselli, Michele di Toro, Edda, Alessandro “asso “ Stefana, ecc.

È presidente di giuria del “Premio Fabrizio De Andrè”, fondato da Dori Ghezzi, per la sezione Poesia. È docente presso la scuola di musica Cpm di Milano dove insegna drammaturgia musicale e scrittura dei testi.

Incontro Vincenzo Costantino Cinaski nel suo “ufficio”, un bar in Porta Romana a Milano, perchè lui in mezzo alla gente ci sta sempre, a osservare, a scrivere, a respirare il “profumo di glicine e cherosene” della città. Cinico e ipersensibile al contempo, lucido come pochi altri scrittori oggi, rifugge le facili verità, le “frasi fatte” scritte su di noi e che, troppo spesso, noi stessi iscriviamo dentro di noi inconsapevolmente. Solo la poesia, forse, è in grado di sfuggire agli apparati di cattura del sistema e lui è lì, sulla linea di confine che separa il bianco e il nero, a scavare a mani nude parole vere e dure come le pietre.

Sono colpevole di aver sognato
di averci provato
di provarci ancora
sempre
di averci provato in tempi non sospetti
quando la poesia era un lusso di periferia
roba da lottatori sconfitti.
Sono colpevole di arrivare in anticipo
e di andarmene in ritardo
sono colpevole di amare la scrittura più di ogni altra cosa.

(da “Il più bello di tutti”)

 

Da trent’anni fai uscire la poesia dai libri per farla sgorgare nei teatri, nei locali, nei bar, con reading ad alto impatto emotivo. In una società dove cresce sempre di più l’isolamento delle persone, chiuse in casa attaccate al cellulare, tu inviti la gente ad uscire, a condividere, a fare comunità, oltrepassando la frontiera che divide la lettura individuale, privata e silenziosa dalla fruizione dal vivo, ad alta voce, pubblica della poesia. Come mai non riesci a startene seduto sul divano (“occidentale”, tanto per citare un tuo amico) a scrivere e senti il bisogno di andare in giro a “spacciare” poesia in ogni angolo del Paese come un aedo d’altri tempi? Come è nata questa ispirazione?

Sul divano ci sto benissimo a scrivere e a guardare la tv. Come hai premesso, io credo molto nella tradizione orale perchè è da lì che proveniamo. Se ci pensi le gesta eroiche sono state cantate prima che scritte da un cieco che suonava la cetra e cantava le gesta eroiche del pelide Achille. E poi i trovatori francesi. Mi definisco più troviere, trovatore, che poeta perchè secondo me i poeti non esistono, abbiamo solo la certezza che esista la poesia.

La funzione nostra in qualità di scrittori è quella di provare a restituire quello che riusciamo a percepire in maniera più sensibile. Ecco se esiste un talento degli scrittori buoni e bravi è quello di avere una maggiore sensibilità che non è dovuta solo alla scolarizzazione ma di percepire quasi immediatamente il momento poetico e l’emozione poetica. Allora in quel caso si ha il dovere di provare a restituirla.

Per questo vado in giro, tutto quello che riesco a sentire va restituito ai luoghi. Percepisco un’emozione a Milano ma non è detto che sia uguale a Caltanisetta, allora vado a Caltanisetta a restituire quell’emozione che non è targata Milano, l’emozione non ha patria, come la poesia, che non ha patria e non ha padroni. Per questo vado in giro, è una forma di restituzione, affidandomi alla tradizione orale che è quella in cui credo di più.

Però per comunicare occorre prima scriverle le cose e poi la leggerle.e la lettura è un campo che andrebbe studiato bene perchè la lettura non espressiva atta alla comunicazione è fondamentale che non sia scolastica. Non basta una bella voce o la dizione perchè la lettura attoriale non comunicherà mai l’emozione che è nata mentre scrivevi quella cosa per cui esistono le regole grammaticali: la virgola è un momento di respiro, i due punti sono un momento di sviluppo più lungo, l’esclamativo ha una funzione, l’acapo non è una cosa che va a caso. Acapo è un momento in cui si riesce a comunicare anche con il silenzio.

Per cui leggere seguendo le regole grammaticali che ti insegnano a scuola diventa una cosa talmente naturale se ti insegnano bene che non hai bisogno di essere un attore, l’attore non sa leggere la vita, legge un copione ma la vita non ha copione, anche l’emozione non ha copione. Bisognerebbe insegnare anche a come comunicare le cose.

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Concordo pienamente. Il sentire apre una dimensione che riguarda la fisicità intera e non solo la vista. Nel momento in cui ci vogliono sostituire con l’Intelligenza Artificiale è importante riscoprire la corporeità, la sensorialità, la sensualità anche della voce…
Infatti, come conseguenza dei tuoi numerosissimi reading, nel 2012 incidi un disco di poesia, “Smoke, parole senza filtro”, in cui, oltre alle versioni musicate di alcune tue poesie, alla cover de “Il poeta” di Bruno Lauzi e a due omaggi a “Where have all the flowers gone?” di Pete Seeger e “Bird on a wire” di Leonard Cohen, scrivi e canti anche una vera e propria canzone “Il re del bar” (qui). Come ti è venuta l’idea di fare un disco di poesie? Mi sembra che sei stato il primo a farlo…

In Italia credo si. Negli Stati Uniti era già uscito qualcosa e anche in Francia. Ti dico la sincera verità: quando ho deciso di fare il disco, vedevo molti musicisti o pseudo tali scrivere libri. Allora mi sono detto fra me e me “ma se questi provano a scrivere un libro e le loro canzoni mi fanno cagxxx, io posso provare a fare un disco, a fare un’invasione di campo, al massimo farò cagxxx come loro”.

Però non era solo un disco di poesie perchè ho inserito alcune cover cantate delle canzoni che ho amato di più nella vita, ho scritto una canzone intera, sia la musica che il testo, nata da una poesia “Il re del bar” che ora è finita nel disco di Tonino Carotone (qui) perchè lui la ha reincisa nella sua versione ed io ne sono felicissimo, Tonino è un amico, ci conosciamo da tanti anni.

Mi interessava coinvolgere alcuni amici e alcune voci che accompagnassero musicalmente le letture e ho spedito le poesie che avevo scelto a nomi di riferimento amichevole come Simone Cristicchi, Vinicio Capossela, Folco Orselli, Edda dei Ritmo Tribale, un musicista classico come Michele di Toro. Io gliele ho mandate nude, solo lettura e ognuno di loro ha vestito le mie parole semplicemente ascoltando la mia lettura. È stato un lavoro di squadra, di condivisione soprattutto. Mi è piaciuto tantissimo. Ha venduto anche bene, per essere il primo disco di uno scrittore non è stato male.

La dimensione musicale per me è sempre stata complementare con la parola. Musica e parola si accompagnano bene quando poi qualcuno come Leonard Cohen è bravo a farle sposare diventano matrimonio. Lui ha avuto molte amanti a livello letterario per cui non è detto che non ne faccia un altro magari lavorando di più sulla musicalità, sul testo musicale, sulla canzone. È stata un’esperienza che mi è piaciuta molto, devo ammetterlo.

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Un’altra frontiera che hai scavalcato è l’intreccio fra le arti. Infatti, hai lavorato spesso con Vinicio Capossela, Simone Cristicchi, Paolo Rossi, Mannarino e tanti altri artisti, portando in tournè spettacoli di monologhi, canzoni e letture a più voci. Hai aperto una strada che, però, non molti hanno poi seguito. È questo a parere tuo il futuro della poesia? Credi che per sopravvivere la poesia dovrà essere intrecciata con le altre arti?

Io me lo auguro perchè la sinergia fra viaggi e sensazioni simili crea una nuova forma di comunicazione.
Quella tra me e Simone è nata in tempi in cui Simone non era la persona che è adesso. Adesso ha una dimensione più mistica, ha incontrato strade diverse, molto più interiori. Oggi verrebbe fuori qualcosa di diverso. Quello rimane a testimonianza di mondi che ci sono appartenuti e ci appartengono ancora.

Così come con Vinicio. Ci siamo conosciuti che eravamo molto più giovani e gli amori erano diversi rispetto a quelli di ora. Lui ha riscoperto molto la sua radice, la terra, io ho riscoperto una forma di semplicità quasi canonica che mi soddisfa. Non ho più la rabbia che avevo dentro 30 anni fa.

Con gli altri miei compagni di viaggio che sono stati tantissimi…Con Mannarino abbiamo giocato molto su personaggi, con Bobi Rondelli ci siamo diverti a fare un piccolo tour insieme dove ci siamo confrontati spesso sull’idea di poesia che a lui spaventa tantissimo. Lui per me è un poeta naturale ma non crede di esserlo e questa cosa mi faceva incazxxx. Abbiamo fatto anche delle grandi litigate su questo…è una persona dal cuore grandissimo. È l’ultimo livornese ciampiano rimasto.

Anche io mi sento molto ciampiano, viviamo di ciampitudine, altro personaggio che mi piacerebbe analizzare bene e rimpiango di non avere conosciuto. La complementarietà fra parola e musica è fatta di nomi che prima diventano amici e poi provano a comunicare insieme.

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E queste interazioni, forse, hanno portato te a sperimentare la canzone e magari Vinicio a scrivere libri. Se non sbaglio, il suo primo libro è “In clandestinità” che avete scritto insieme per Feltrinelli.

No, era nato prima un altro suo libro che si intitola “Non si muore tutte le mattine”. Ci conoscevamo già da anni, tutte le chiacchierate notturne fatte anche a casa sua in cui veniva fuori di tutto: racconti, poesie, ecc. Lui prendeva appunti continuamente…

 

Me le ricordo bene quelle serate, sembrava di stare nei caffè parigini degli anni ’20…

Sembrava un periodo poco italiano ma molto milanese perchè, se ci pensi, ancor prima, gli Scapigliati a Milano hanno creato una scuola anche se è stata pressochè dimenticata. Ma la nostra, quando facevamo il Caravanserraglio, è stata una Scapigliatura vera e propria, ci sentivamo davvero degli Scapigliati senza saperlo e anche un pò crepuscolari.

 

Indimenticabile il “Caravanserraglio”, il movimento musical-letterario che hai fondato nel 2001 con quella “sporca (mezza) dozzina” di artisti e musicisti come Folco Orselli e Flavio Pirini. Era in continuità con la tradizione milanese di Gaber, Jannacci, Cochi e Renato, Bruno Lauzi, Massimo Boldi, ecc. o sbaglio?

In realtà non abbiamo voluto quell’eredità perchè ne eravamo lontani. L’unico forse vicino era Jannacci per frequentazioni di luoghi, soggetti e tipo di vita da raccontare. Però non erano dei riferimenti perchè non avevano lasciato molto dietro di loro, è un discorso molto lungo e magari non in questa sede.

I riferimenti nostri non c’erano, era un momento completamente nuovo per noi. Non era il Derby che era sostanzialmente cabaret su cui, poi, si sono intersecate altre forme d’arte, più verso il cinema o la televisione però. Noi eravamo dei cani sciolti, dei “cani scossi” (nda noto gruppo musicale del Caravanserraglio)

 

Il “Caravanserraglio” è stato una fucina di talenti…

Si, abbiamo generato anche lì, soprattutto nel mondo femminile

 

Anche nel mondo maschile: tanti cantanti, tanti attori, tanti comici, oggi famosissimi, che lavorano in teatro, al cinema, in TV.

Si…Anche lì, sinergie e complementarietà. C’era il Caravanserraglio e il laboratorio di cabaret Scaldasole con ragazzi come Gianluca De Angelis, Geppy Cucciari, Debora Villa, Katia e Valeria, Gianmarco Pozzoli, Stefano Chiodaroli, ecc. Loro venivano a trovare noi, e noi andavamo a trovare loro.

Poi è arrivato Zelig che ha fagocitato quel laboratorio ed è diventato un’altra cosa ma fino a che siamo riusciti a collaborare insieme si raccontava una città che erano 100 città. Era un tipo di collaborazione che oggi non esiste più.

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A proposito, quanto è cambiata Milano?

Che sia cambiata è evidente, che sia un male non lo so. Nel senso che è giusto che le città cambino nel corso degli anni perchè rimanere fermi a sè stessi non produce nulla. La cosa che mi fa male è che la sto vedendo morire anzichè crescere, sta morendo di nostalgia.

Tu stessa hai appena citato dei nomi, ma spesso i dinosuari si fanno vivi e non fanno del bene a questa città. I tributi sono sempre per gli stessi, che sia Gaber o Fo, ma se uno è vivo non gli fanno nessun tributo.
Paolino Rossi meriterebbe un tributo vivente, eppure…Con Paolo siamo come fratelli, io so come lavora, quanto legge, qual è il suo pensiero, aldilà che faccia ridere tanto, ha una linea filosofica che non è indifferente. È capace di portarti in scena Pirandello come se fosse il maggiore dei filosofi facendoti ridere.

Questa città a volte è avara di gratitudine perchè si è fermata al secolo scorso nella gratitudine. Quello che è venuto dopo non lo hanno più preso in considerazione…È venuto a mancare lo scouting, è venuta a mancare la voglia di approfondimento, la curiosità da parte degli addetti ai lavori.

Finchè sono ancora fresche le ceneri dei dinosauri che hanno reso grande questa città si vive ancora di quello. Li chiamo dinosauri in senso benevolo, ovviamente. Come loro vivevano magari d’altro di prima, come chi ha vissuto di Moliere. È normale avere un riferimento passato però bisogna anche stare attenti a cosa succede vicino o davanti a noi. Io l’unico riferimento che accetto è Cesare Pavese.

 

Ecco stavo proprio per chiederti quali sono stati i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento?

Cesare Pavese su tutti. C’è un libro che non smetterò mai di leggere.Ho traslocato due o tre volte (da un piano all’altro, mi sposto sempre in verticale non in orizzontale) e c’è sempre una copia de “Il mestiere di vivere” in bagno, una copia in salotto, una copia in camera da letto…e sono in un bilocale!

 

E, alla fine, hai imparato a vivere?

No, è un mestiere che non finisce mai di creare esami. Pavese è un mio grande riferimento letterario. Poi appena sotto ci sono tutte le curiosità che mi hanno affascinato negli anni. A 14 anni ho scoperto Charles Bukowski che mi ha insegnato alcune cose. A 14 anni tutti vorrebbero essere Bukowski perchè è affascinante, perchè sei giovane e pensi di essere immortale. Per me era un vecchio che, intanto, era riuscito a invecchiare, la mia ambizione era non morire giovane.

E poi c’è una cosa che mi ha raccontato Dan, il figlio di John Fante, con cui siamo diventati molto amici, abbiamo passato del tempo bellissimo insieme, era un pò più grande di me ed io lo chiamavo zio, così come lui chiamava zio Bukowski.

Mi ha raccontato che quando il padre stava già male e Bukowski andava a trovarlo a casa sua a Los Angeles. si è reso conto che se non fosse stato per Bukowski – per Dan, anch’esso scrittore, il cui riferimento era Hubert Selby Jr. – che come romanziere non era eccellente (eravamo d’accordo sia io sia Dan che era un pessimo scrittore di romanzi) ma a livello di poesia…che era la sua ambizione vera, lui voleva essere un poeta non fare il poeta, (la differenza fra fare ed essere è sostanziale)…

Stavo dicendo, è Bukowski che ha aperto una strada alle generazioni successive più della Beat Generation che non ha aperto nessuna strada dal mio punto di vista. Ha sdoganato la parola parlata sul marciapiede, ha sdoganato quel “dirty realism” di cui adesso tutti si riempiono la bocca, ha reso nobile la parolaccia, quella che per tutti prima era volgarità ma lo ha fatto perchè la strada parlava in quel modo e se la sai scrivere e non è gratuita…

Dopo la generazione di Dan e la mia non ha più avuto paura a scrivere “cazxx” in una poesia o a parlare di amplessi perchè anche quelli sono una vera emozione poetica quando la vivi come emozione. Tanto sai riconoscere il cretino che scrive atteggiandosi o millantando una durezza di vita che non ha perchè poi la mamma gli rimbocca le coperte o gli paga l’affitto.

Invece, certe situazioni che abbiamo vissuto sulla nostra pelle io, Dan o lo stesso Bukowski, ci hanno dato la possibilità di scrivere quello che sentivamo pensando che fosse poesia, perchè lo aveva già fatto lui. Ed era vero. Bukowski ha dato alla sua generazione e alla mia la certezza che fosse poesia. La poesia non è solo tramonto, albe o uccelli che cinguettano.

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Mi viene in mente quando con Vinicio Capossela hai portato nei teatri l’omaggio proprio a John Fante.

Si, l’idea è venuta alla Marcos y Marcos che era la casa editrice che pubblicava John Fante e che pubblica le mie poesie. Era vicina alla casa dove allora abitava Vinicio e ogni tanto andavamo a trovare gli editori con cui eravamo diventati amici.

Una sera la Marcos y Marcos aveva organizzato la presentazione di un libro di John Fante, c’era Vinicio al pianoforte ed era previsto un lettore che, però, all’ultimo, non se l’è sentita e mi ha chiesto di andare a leggere io…La serata è venuta talmente bene che la casa editrice ci ha proposto di fare un tributo a Fante…Ricordo ancora il cognome di quello che ci ha organizzato il tour, Cardone, che è anche un personaggio della commedia napoletana.

E quindi abbiamo girato un pò di città riscuotendo successo e, tappa dopo tappa, gli spettacoli diventavano sempre più personali, inserivamo anche cose nostre perchè i passaggi di alcuni libri di Fante ci riguardavano, erano radice nostra, Il “Vecchio angelo” che si ricollegava a Bukowski, “La confraternita del Chianti”, il vino… Ho cominciato a scrivere più frequentemente cose mie e, infine, siamo arrivati alla nostra pubblicazione e alla lettura pubblica delle mie cose. Andavo a farla nei bar milanesi, nei buchi dei Navigli, nelle bettole…

 

Sempre sulla scia di questo filone fra musica e poesia, hai pubblicato “I miei poeti rock”.

È stata una bella intuizione di un giornalista musicale che mi è molto caro, Ezio Guiatamacchi. Un giorno pubblicai un mio racconto breve, lui lo lesse e lanciò l’idea di scriverne altri raccontando chi avevo incontrato.
Eravamo in lockdown e questo libro è stata la mia maniera di uscire di casa perchè mi sono riconnesso con tutti i viaggi che avevo fatto, gli incontri che avevo avuto, ma non solo quelli reali, anche quelli virtuali. Quanta gente è entrata nella nostra vita per una canzone! Questo viaggio è iniziato così, personaggio per personaggio, poi ha preso una dimensione costruttiva che mi piaceva, li ho divisi per i cinque sensi.

Alcuni cantanti che ho incontrato davvero sono viaggi che mi hanno segnato in modo particolare, altri mi hanno segnato per episodi anagraficamente distanti. Johnny Cash è stato con me a Copenaghen suo malgrado, Tom Waits è stato con me nel mio primo furto di una macchina…

 

Cioè?

Ehhh, devi leggere il libro…Col Califfo ho passato due belle notti, ho incontrato Shane McGowan, cantante dei Pogues, che è appena scomparso e altri meno conosciuti come Daniel Johnston che è entrato nella mia vita grazie ai Nirvana, a Kurt Cobain, infatti li ho collegati anche se non lo ho conosciuto direttamente.

E tanti altri, anche italiani. Per me De Andrè è diventato Don Gallo, per scrivere di De Andrè ho dovuto raccontare Don Gallo. Gabriella Ferri oggi quasi dimenticata per me è stata molto importante come presenza… E tanti altri come Patty Smith che ho avuto la fortuna di incontrare davvero…

I (miei) poeti rock - Vincenzo Costantino, in arte Cinaski, ci racconta ...

Accidenti che vita…

C’è un festival in Piemonte, “Collisioni”, e lì mi sono fumato una sigaretta con Paul Auster fuori dal balcone. Lui era il mio mito, “La trilogia di New York”… A tavola vicino a me c’era Michael Cimino…

 

Perchè hai viaggiato tanto?

No, da fermo, dal divano…ah ah ah! Questi li ho incontrati al festival dove andavo periodicamente. Sono andato con Mannarino a fare un tributo a Woody Guthrie. E l’anno prima ero lì con Simone Cristicchi per un altro nostro tributo non mi ricordo neanche più a chi…

Ne sono successe tante. Una volta c’è stata persino un’interrogazione comunale a Recanati su di me e su Simone Cristicchi …Ricordo che la mattina mi arrivò il messaggio di Simone: “abbiamo svoltato, siamo nella cronaca nera”. Simone mi aveva invitato a leggere alcune mie cose a un festival che si chiamava Lunaria dove lui doveva fare un concerto.

Ho letto una delle mie prime poesie, “Scuola di vita, scuola dovuta” tratta da “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare”. Quando da ragazzino dovevo fare la Comunione a San Giuliano Milanese chiesi al mio Don Gallo personale, che è esistito davvero e si chiamava Don Carlo, citando Plutarco che avevo appena studiato: “Don Carlo a chi devo confessare i miei peccati, a Dio o agli uomini?”. Lui mi rispose “A Dio”. Ed io “Ma io ci posso parlare da solo, non ho bisogno dell’intermediazione, di qualcuno che si metta in mezzo”. Le espressioni infantili erano ben diverse…Don Carlo disse: “Ma se ci devi parlare, ci parli”. Ed io: “Allora Don Carlo si levi dal c… che me la vedo io”. Da qui è iniziato “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare”.

Recitai questa poesia a Recanati, ma non avevo fatto caso che la prima fila a sinistra era tutta occupata da ecclesiasti, che si sono alzati indignati e a carovana sono usciti. Dopo di me Simone parte con “Genova brucia”, una canzone che aveva scritto sui fatti del G8 di Genova. Allora si alza la parte destra della prima fila che era tutta occupata dalle forze dell’ordine ed esce…Il giorno dopo “come è possibile che un fatto del genere accada nella città del Poeta, Recanati!!!”. Insomma, interrogazione comunale…

Nessuna descrizione della foto disponibile.

 

All’interno di “Smoke”, uscito nel 2012, hai inserito quel brano meraviglioso che è “La caccia ai lupi” (qui), una delle canzoni più importanti di Vladimir Vysotsky, che tu stesso canti e di cui hai fatto l’adattamento italiano. Perchè hai scelto questa canzone?
E’ una canzone che mi ha segnato tanto e soprattutto lui, Vysotsky, è un personaggio di cui mi sono innamorato, un uomo che è stato suicidato, non si è suicidato…da chi lo possiamo immaginare…Viveva in Francia con Marina Vlady e ha sempre cantato la sua realtà, il suo modo di vedere le cose, non necessariamente solo quelle politiche.

“Caccia ai lupi” è una canzone contro la guerra, contro tutti i tipi di guerra. Puoi identificarli i lupi con chi vuoi, ora ad esempio con…vabbeh non lo diciamo che diventano discorsi anche noiosi per certi versi…
C’era già una versione tradotta non mi ricordo da chi e cantata da Eugenio Finardi. Però non mi soddisfaceva e allora ho provato a farla mia, come faccio con le canzoni quando le canto, e ho preso una traduzione diversa, fatta da un ragazzo di Firenze, un anarchico, e l’ho riadattata alla mia vocalità e al mio modo di arrangiarla.

Quando l’ho voluta nel disco ho voluto una chitarra scordata, suonata da Fabio Mercuri, perchè Vysotsky usava una chitarra non accordata, voleva che fosse così, come una chitarra appena trovata per strada. Il suo modo di cantarla con questo vocione pieno.

 

Lo avresti fatto anche oggi, inserire un artista russo nel tuo disco?

Beh, certo. Sono cose che vanno aldilà…Il mio problema è che non sono mai sceso a compromessi con nessuno. Non ho potuto inserire “La caccia ai lupi” nella primissima edizione del disco perchè non era ancora arrivata l’autorizzazione di Marina Vlady e del figlio di Vladimir Vysotsky a cui spettava l’ultima parola.

Quando la vedova del grande artista russo ha risposto…Se ti facessi leggere la mail, mi ha scritto che “è la versione più bella che abbia mai ascoltato!”. E’ stato il mio Oscar, il mio Grammy personale, perchè detto dalla moglie di Vysotsky…

LA CACCIA AI LUPI - VINCENZO COSTANTINO - YouTube

“La caccia ai lupi”, arrangiamento di F. Arcuri e V. Costantino, tromba R. Kohler, chitarra F. Mercuri

 

Hai fatto una cosa eccezionale, perchè c’è lui ma ci sei anche tu…E per me quella è una canzone sulla libertà in generale, contro le persecuzioni, tutti i tipi di persecuzione.

La sento scorrere dentro ogni volta che la canto. Ne faccio mille versioni, c’è la versione più tranquilla, una più punk, una più aggressiva…

E pensa che c’è un museo in Polonia dedicato a Vysotsky che ha voluto il disco, che ora è lì in un museo a Varsavia. Anche un fold dagli Stati Uniti ha voluto acquistare il disco sapendo che c’era questa canzone. Ho detto che gli spedivo la canzone ma ha voluto a tutti i costi acquistarlo.Forse quando sarò morto probabilmente qualcosa succederà…

 

Sicuramente, sai come succede, aspettano che uno muoia…Guarda Alda Merini come l’hanno trattata in vita, lasciata sui Navigli a morire quasi di fame e ora che non c’è più le hanno persino dedicato un film sulla Rai. Anche tu corri seriamente il rischio che ti dedichino un film…

Ah, ah, impossibile, non riusciranno mai a trovare l’interprete giusto…

 

Il poeta romantico Percy Shelley affermava che “i poeti sono i non riconosciuti legislatori del mondo” perchè chi controlla le parole controlla il mondo. Chi controlla le parole oggi?
Anche alla luce della Cancel Culture che avanza cancellando pezzi di storia della letteratura e manipola i testi di mostri sacri come Shakespeare, Dante, Mark Twain, Harper Lee, Roal Dahl, Kipling e Conrad…

Abbiamo capito ormai da anni che il Politicamente corretto non è neanche censura, non puoi neanche definirlo così e non è neanche più trasgressione se usi il Politicamente scorretto, è solo una guerra tra poveri. Scrivi le parole che conosci, le conoscono anche quelli che provano a censurarle, altrimenti non le censurerebbero. È il peso, la funzione che si dà alla parola. La parola è libera, non c’è verso di ingabbiarla perchè se non la lasci vivere in un libro vivrà sulla strada. Quando io andrò pubblicamente a leggere un libro censurato lo lkeggerò per intero.

C’è una canzone molto bella di De Andrè che tutti cantano persino nei falò in spiaggia pensando che sia una bella storia d’amore ma è, in realtà, il racconto di uno stupro. Nella stesura originale c’è un passaggio che è feroce, ma feroce davvero, che non gli hanno lasciato mettere. Ma la prima volta che la cantò dal vivo, alla Bussola di Viareggio, la cantò in versione integrale di fronte alle facce attonite dei presenti, non si aspettavano una cosa del genere.

La grandezza di quell’uomo è stata riuscire a mettere lo stupro in musica con la morbidezza musicale che aveva lui ed è riuscito a raccontare una storia che oggi si canta anche in un momento di gioia, e non perchè è riuscito a sdrammatizzare la storia ma perchè è riuscito a raccontarla in maniera così delicata che se la gente leggesse e ascoltasse un pò di più capirebbe che è la storia di uno stupro e ci penserebbe un pò di più prima di cantarla perchè hai bevuto quattro birre.

Per cui ti dico non ho paura della Cancel culture o della censura. La parola non deve neanche fare le rivoluzioni, deve essere semplicemente libera di viaggiare. È chi ne beneficia che ha la potenza di farne qualcosa.

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Si, certo, però il mio timore è che gli scrittori inizino ad autocensurarsi. Ad esempio, alcune case editrici hanno assunto l’esperto di Politicamente corretto per prevenire la censura.

Dipende dalle case editrici. Io ad esempio ho la mia famiglia che è la casa editrice Marcos y Marcos che mi lascia sempre grandi libertà. Il mio primo titolo “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare” lo abbiamo messo nel titolo. È vero che non erano ancora i tempi di Politicamente corretto e scorretto però la ristampa è stata fatta nel 2021 e il titolo è rimasto quello.

Secondo me l’autocensura dipende dall’artista che deve avere la forza di prendere una posizione se serve, non deve pensare solo alle vendite e fare il libro in un certo modo perchè non sei tu, non ti stai raccontando tu, ti stai raccontando in funzione di…E’ un compromesso che molti accettano, la maggior parte perchè è difficile vivere di scrittura…

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In ogni caso, fuori dal mercato ufficiale in cui sappiamo bene come vengono selezionati gli artisti, esiste un territorio pieno di poeti, di musicisti e di voci libere, tu ne sei l’esempio vivente. In un tuo spettacolo hai detto che “il popolo è manipolabile ma la gente no”.
Tu che incontri spesso le persone, come sta la gente oggi? Te lo chiedo perchè la visione potrebbe essere pessimista, quella di un popolo completamente ingegnerizzato, analfabetizzato, divanizzato e rimbambito dalla tv e dalla musica orrenda che ci circonda.

Senza generalizzare, il nostro paese è malato di meteorismo e dissenteria. Meteorismo nel senso astronomico perchè si producono volti, voci, che hanno durata breve. Dissenteria perchè la maggior parte delle cose che scrivono sono cagxxx

Questa è una malattia che è talmente Nazipop che la gente oggi ci si riconosce immediatamente. È la modalità di fruizione odierna, in posti come Spotify si ascolta un pezzo per quindici secondi, poi si passa ad un altro, ma senza ascoltare veramente. La gente non dice vado ad ascoltare un concerto, dice vado a vedere un concerto e fra vedere e ascoltare c’è una differenza sostanziale.

Quelli che vengono a vedere me negli spazi piccoli, perchè io amo gli spazi intimi, non voglio le adunate meglio l’intimità di 50 persone massimo 100, non li ho mai visti accendere il telefonino, sono educati all’ascolto ma non perchè il target è alto o basso, ma perchè sono abituati a leggere, ad ascoltare, ma non solo a leggere me. Non so se sia una nicchia, se lo è, io sono una gran testa di nicchia…

Esiste una parte di Paese che ha voglia di queste cose, il problema, anche in questa parte di nicchia, è che spesso è un atteggiamento di posa: io sono acculturato, tu no, io questa cosa la capisco, tu no…Diventa un’altra gara tra poveri di mente. Io sono per l’entusiasmo naturale, per l’istinto, se una cosa ti piace ti piace a prescindere da dove la stai ascoltando, da chi la stai ascoltando. Io riconosco cose belle anche in un musicista che non ho mai amato come Nino d’Angelo, ad esempio, però poi ho visto alcune cose che ha fatto e sono notevoli. Non ho preconcetti.

 

La cosa più difficile è evitare i preconcetti sia nel conformismo sia nell’anticonformismo.

Esatto, sennò viaggiamo per griffe, per brand, pensando che una cosa sia una garanzia perchè l’ha fatta Armani.

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Dove possiamo venire ad ascoltarti?

Il 15 maggio sarò a Milano al Cafè Bandini con “Après-coup”; il 28 maggio a Como con “Saluto a Sinead e Shane”; il 6 giugno a Orsago (TV); il 7 e 8 giugno a Pertosa (SA); il 12 giugno di nuovo a Milano al Cafè Bandini; il 28 giugno a Bertinoro (FC) il 28 giugno ad Ascoli Piceno, a Villa Fortezza

Sta finendo

La stagione della neve sta finendo
come sta finendo il giorno delle lunghe ombre
dietro gli scarichi delle auto
mentre trasportano la miseria
dell’abitudine e l’assenza di curiosità.
Sta finendo
l’idea di guardare senza toccare con mano,
di ascoltare la voce della persuasione
dal televisore, unico referente di coscienza.
Sta finendo
la stagione dei famosi un quarto d’ora,
della gloria vana senza pietà,
della fuga dal proprio futuro.
Sta finendo
l’amaro calice dell’indulgenza,
l’odore di passerella e piccioni,
il sapore di ferro e tabacco della movida,
la fiducia nell’ignoranza,
e l’arroganza dell’idiozia.
Sta finendo
la pazienza,
il bicchiere è colmo
e il colmo è che oggi non ho voglia di bere.

(da “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare”)

 

di Sonia Milone per Comedonchisciotte

 

FONTI

Le cento città , poesia di V. Costantino, musica di Vinicio Capossela, da “Smoke”
Sera di pioggia, poesia di V. Costantino, musica di Cristiano Cristicchi, da “Smoke”
Sta finendo, poesia di V. Costantino, da “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare”
Il re del bar, musica e testo di Vincenzo Costantino, da “Smoke”
Il re del bar interpretato da Tonino Carotone
La caccia ai lupi da Smoke
Gentaglia spettacolo con Simone Cristicchi
Accaniti nell’accolita, spettacolo con Vinicio Capossela
Spettacolo con Folco Orselli
Reading con Vinicio Capossela
Reading poesie  fra cui “Annoiato” dedicata a Pier Paolo Pasolini
Vincenzo Costantino e Vinicio Capossela presentano “In Clandestinità”
Cinaski con Geppy Cucciari e Capossela in “Splendida cornice”, RAI 3, puntata 22/2/2024
V. Costantino e V. Capossela al Cafè Bandini

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