di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Il camaleonte è un rettile noto a tutti per la sua abilità nel cambiare pelle e pare proprio che in Mario Draghi, spesso assimilato a questa specie arboricola nelle caricature dei vignettisti, questo processo sia già in atto da tempo.
Negli ultimi anni, pur mantenendo fede alla sua missione, ovvero quella di tenere in vita la moneta euro costi quel che costi; Mario Draghi non ha fatto mancare l’occasione di far uscire dalla sua bocca – parte di quel volto enigmatico che mai lascia trasparire la minima emozione – parole contrarie a quello che è stato invece il suo totale sostegno a tutte quelle misure di politica economica lacrime e sangue intraprese dai governi europei e da lui direttamente quando ha ricoperto la carica di governatore della Banca Centrale Europea, che hanno portato sofferenza estrema nelle nazioni e tra i popoli del vecchio continente.
Mario Draghi pur tirando sempre dritto per la strada indicata dai padroni del mondo, molto raramente ha prestato la sua faccia alle gigantesche e madornali frodi in fatto di economia e moneta, come invece si sono prestati a fare molti suoi colleghi e tutt’ora si prestano economisti e stampa main-stream. Anzi, di fronte a domande specifiche, sia di natura popolare quali la creazione monetaria che tecnica come ad esempio l’origine dei saldi del Target 2, SuperMario, non è mai uscito fuori dai binari della Verità.
Pensate un po’, già nel 2019 in piena era di austerity e con la credenza planetaria che i soldi fossero finiti, Draghi in un intervento pubblico ebbe addirittura la faccia tosta di sostenere che era giunta l’ora di prendere in considerazione teorie economiche come la Modern Monetary Theory (MMT).
Sì, avete capito bene, Mario Draghi – quello che ha fatto mancare i soldi alla Grecia facendola precipitare nel baratro delle precarietà e della mortalità infantile, quello che si è affrettato a rendere non trasferibili i crediti fiscali (moneta fiat) in Italia per impedire una creazione di denaro senza debito da parte del Tesoro, quello che per anni ha distribuito sofferenze senza che fossero necessarie ai popoli europei, solo per mantenere in vita la moneta coloniale dei suoi e dei nostri padroni – addirittura, già cinque anni fa si fece sponsor della Teoria di Warren Mosler, che predica l’esatto opposto in fatto di deficit, moneta e debito pubblico, rispetto a quanto Draghi stesso sostiene e porta avanti da sempre con i suoi incarichi istituzionali.
Ma veniamo all’odierno, di acqua sotto i ponti ne è passata da quel 2019, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, passando per l’inflazione fino ad arrivare al nuovo mondo multipolare dei BRICS la cui influenza geopolitica è stata notevolmente potenziata dal vero e proprio fallimento delle sanzioni imposte alla Russia che hanno visto come primo promotore e ferreo attuatore proprio Mario Draghi.
I BRICS che ormai se ne sbattono sempre più del dollaro, una globalizzazione pressoché ridotta al solo mondo occidentale ed un Patto Atlantico sempre più in crisi d’identità, che potrebbe addirittura dissolversi qualora Donald Trump arrivasse nuovamente alla Casa Bianca, sono tutti eventi ti una tale portata che mettono l’Europa dell’euro targata Draghi di fronte alla immediata necessità di cambiare pelle.
E Draghi non ha perso tempo nel vestire i nuovi panni del Keynesiano convinto, rispolverando i suoi studi giovanili con il professore Federico Caffè, poi da lui rinnegati per asservire chi avrebbe soddisfatto la sua sete di potere. Una trasformazione, quella odierna, indispensabile per presentarsi diverso e più angelico alla guida della barca rappresentata da una Unione Europea che sta andando sempre più alla deriva.
E’ stato pochi giorni fa a Washington, durante la 40esima edizione della NABE Economic Policy Conference, che il nostro ex premier ha mostrato i suoi nuovi panni; un approccio innovativo per affrontare le sfide economiche globali, enfatizzando addirittura l’importanza della cooperazione, laddove fino ad oggi per lui è esistita solo la dittatura della Finanza.
Draghi torna prepotentemente sotto i riflettori, sottolineando l’urgenza di adottare nuove strategie politico-economiche in risposta alle sfide imposte dalla globalizzazione. E dopo aver messo in luce come l’apertura dei mercati globali abbia trasformato radicalmente le economie mondiali, elevando gli standard di vita (non certamente nei paesi dove lui ha governato, ndr), allo stesso tempo confessa i molti dilemmi che tale ordine economico si è lasciato dietro di sé.
La globalizzazione ha permesso a numerosi paesi di integrarsi nell’economia mondiale, riducendo significativamente i livelli di povertà, con la Cina che negli ultimi quarant’anni ha visto uscire dalla povertà circa 800 milioni di persone. Tuttavia, questo processo non è stato privo di complicazioni, confessa Draghi. La flessibilità delle regole commerciali ha spesso favorito interessi a breve termine a discapito di valori liberali come democrazia e libertà, mettendo in luce la vulnerabilità dell’ordine economico globalizzato.
Parole belle e significative se non fosse per altro che a fronte di un popolo quello cinese che ha visto migliorare le proprie condizioni di vita, di contro la povertà che si produceva da loro è stata importata proprio dove ha governato Draghi.
La percezione di un gioco truccato – continua Draghi – in cui posti di lavoro vengono delocalizzati mentre governi e aziende rimangono indifferenti, ha alimentato la richiesta di una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione. La pandemia di COVID-19 e la guerra in Ucraina hanno esacerbato la consapevolezza dei rischi legati alle catene di approvvigionamento globali, spingendo verso una riconsiderazione delle strategie economiche.
Draghi usa parole dolci per giustificare la deflazione salariale e la diabolica azione speculativa senza freni, derivante dal mondo globale da lui stesso pensato e messo in atto, arrivando persino a sostenere che: “la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali, ma li ha anche indeboliti all’interno dei Paesi che ne erano stati i principali sostenitori”.
Rivoluzionare la politica economica è l’imperativo di Mario Draghi, i deficit pubblici saranno più alti, afferma usando addirittura l’imperativo su un tema che lui stesso ha bandito per decadi. E mentre i governi dovranno quindi concentrarsi sugli investimenti, le banche centrali di contro dovranno lavorare sulle aspettative di inflazione, sapendo bene che non hanno gli strumenti per farlo.
Draghi quindi, propone un cambiamento radicale nella politica economica, sottolineando l’importanza di prepararsi a shock di offerta più frequenti e intensi, derivanti da conflitti geopolitici e cambiamenti climatici. La politica fiscale dovrebbe assumere un ruolo più centrale, con investimenti pubblici mirati a ridurre le disuguaglianze e promuovere una crescita sostenibile.
Per garantire stabilità e crescita, è fondamentale adottare un mix di politiche che includa bassi costi del capitale e regolamentazioni finanziarie flessibili. Draghi sottolinea l’importanza di un coordinamento tra politiche, che, pur mantenendo l’indipendenza delle varie autorità, permetta di affrontare efficacemente le sfide attuali.
Insomma tutto quello che non abbiamo fatto fino ad oggi sbagliando, a partire dai deficit dei governi per finire al coordinamento delle politiche monetarie e fiscali tra Tesoro e Banca Centrale, lo dobbiamo fare da domani ma con l’assurdità che a metterlo in pratica sarà sempre la stessa persona.
Un giorno Mario Draghi morirà, sempre che appartenga alla categoria degli umani, mi chiedo quale sarà il futuro dell’umanità intera senza quest’uomo di cui pare proprio non si possa fare a meno?!
di Megas Alexandros