COSA È E COME USCIRE DALLA TRAPPOLA
DI ALBERTO CONTI
Cosa sia la moneta lo definiamo noi
usandola, accettandola con tutto il paradigma bancario impostoci, dalla
creazione alla gestione successiva, istante per istante, centesimo per
centesimo.
La moneta vigente rispecchia i tre
miti occidentali del nostro tempo: crescita, mercato e guerra.
Superare questi falsi miti significa
poter riprogettare la moneta futura, come moneta della libertà, al
contrario di oggi. In altre parole moneta, economia, tecnologia devono
tornare ad essere strumenti al servizio dei popoli, non più altari
sacrificali. Quest’obiettivo rivoluzionario emerge proprio dalla gravità
della crisi, che lo rende improcrastinabile, perché quando è troppo
è troppo. Se non si inverte ora la direzione di marcia, oltre i limiti
già raggiunti si intravede solo la catastrofe, il nulla irreversibile.La moneta è lo strumento realizzato
per stimolare e regolare l’economia di scambio, ma non è una realtà
naturale data fuori di noi, va costruita e lo si può fare in tanti
modi diversi, a seconda degli obiettivi da perseguire. Oggi la volontà
dominante che determina le forme della moneta non è una volontà democratica,
al contrario è una volontà tecnocratica interpretata dai signori del
denaro, dalle minoranze che lo usano per controllare i popoli e le loro
economie, appropriandosene di quantità spropositate, in un circolo
vizioso di arricchimento e dominio, di accumulazione di denaro e potere,
che si autoriproducono reciprocamente in un processo circolare.
Lo dimostrano clamorosamente i fatti, a posteriori:
- Il divario tra minoranza
ricca e maggioranza povera si accresce in modo esponenziale all’interno
di ogni paese, a cominciare dagli USA stessi. Le classi medie spariscono.
- Il divario reddituale tra
paesi ricchi e paesi poveri aumenta allo stesso modo.
- Il divario tra moneta circolante
nell’economia reale e moneta risparmiata all’interno del circuito
finanziario del risparmio gestito aumenta nello stesso modo esponenziale.
Questo spiega l’esplosione dei debiti di massa, privati e poi pubblici,
corrispondenti ad altrettanti crediti concentrati nelle poche mani di
ricchi, superricchi e smodatamente ricchi.
È dal trattato di Bretton Woods del
1944 che sostanzialmente esiste una moneta unica globale che detta l’agenda
del nuovo ordine mondiale dopo la seconda guerra mondiale. Una moneta
così fasulla che ha cambiato la propria identità ufficiale nel 1971,
senza che ciò provocasse alcuno sconquasso sui mercati finanziari,
anzi accelerando progressivamente la propria espansione quantitativa,
attraverso cicli sempre più esasperati di bolle speculative destinate
a scoppiare, cavalcati dalle solite mani forti, fino a prefigurare ultimamente
un’immane deflagrazione finale che giustificherà la rifondazione
del nuovo ordine mondiale con relativo paradigma monetario, sul quale
incombe lo spettro del controllo e del condizionamento totalizzante
della popolazione reso possibile dall’uso delle nuove tecnologie.
La tecnica asservita alla finanza da rapina ha già svuotato quasi del
tutto il ruolo della politica, finendo così per negare l’autodeterminazione
dei popoli, in forme sempre più estreme e paradossali rispetto ai principi
dichiarati.
Millenni di evoluzione del diritto
e delle istituzioni pubbliche stanno per essere cancellati nella sostanza
dallo strapotere eversivo di questa cattiva moneta, trasformata in catene
per popoli schiavizzati.
Perciò ora s’impone una moneta
del tutto nuova, veramente sovrana, che sia strumento di libertà, uguaglianza
e fratellanza, esattamente gli ideali della rivoluzione francese, sacrificati
in questa parentesi storica ad un’economia dello sviluppo di massa
drogata dall’allucinazione della crescita infinita.
L’euro stesso è una dimostrazione
di una scala delle priorità sbagliata, che finisce per ammazzare i
popoli anziché promuoverne il progresso civile: prima la moneta unica
e poi, forse, l’Europa unita, col risultato che dopo solo un decennio
la moneta rischia già di scoppiare e disintegrare il processo d’integrazione
europea, altro che “unione nel patto di stabilità”!
Ma visto che di tecnica ci vogliono
far morire, vediamo un po’ di tecnica della moneta, per capire
e sopravvivere a questa follia globalizzata. Perché una cosa è certa,
con questi talebani del liberismo alla guida del treno senza meta finiremo
per schiantarci. Dobbiamo imparare a guidarlo tutti insieme questo treno
verso la meta che vogliamo noi, perché nessun “unto dal Signore”
ci potrà salvare. L’ultimo scandalo del “MES SpA”, l’indecente
“fondo salva stati” secondo la definizione di Monti, è emblematico
di ciò che ci aspetta se non saremo noi a decidere. La Grecia è sì
un caso scuola, ma di come questi tecnocrati ci vogliono ammazzare.
In buona fede e a loro insaputa? Questa è una domanda la cui risposta
è del tutto irrilevante di fronte all’importanza vitale di come rivoluzionare
il paradigma monetario per uscire sani e salvi dalla trappola di una
moneta siffatta.
“Capire il debito pubblico”: http://www.youtube.com/watch?v=1Z2U1LptrI4
A tutt’oggi non può esistere alcuna
valuta virtuosa sotto l’ombrello del dollaro, fino a che la valuta
americana sarà riciclata in petrodollari, commodity e bond americani
esportati in tutto il mondo. Anche lo yuan, il franco svizzero e lo
yen sono costretti a svalutare e inflazionare per mantenere le rispettive
competitività. Il dramma è che il dollaro è diventato uno schema
di Ponzi destinato al collasso.
Fino a quando le politiche monetarie
della FED e le geopolitiche del Pentagono saranno in grado di rinviare
questo collasso, senza provocare iperinflazione o guerra totale?
La degenerazione della moneta di riferimento
in schema di Ponzi non dipende tanto dalla struttura bancaria privatizzata
a guida centrale, che pure si è dimostrata funzionale a tale schema,
quanto dalle politiche di deregulation sulle transazioni finanziarie,
un vero cancro del paradigma monetario.
La cartolarizzazione del debito, l’ingegneria
finanziaria delle obbligazioni strutturate, l’emissione di CDS
senza copertura e la loro separazione dal sottostante sono alcuni degli
elementi d’instabilità sistemica, nati dal movente cronico di massimizzare
le rendite parassitarie ed ingigantire il patrimonio finanziario, accumulando
rischi enormi da scaricare sulla collettività. Al momento non è ancora
chiaro se lo scandalo di impedire la dichiarazione di default della
Grecia per tutto questo tempo, fino al paradosso del “taglio volontario
del credito privato”, sia più funzionale a salvare le banche europee
che detengono bond greci o le banche americane che hanno emesso CDS
su tali bond. È chiaro però che i costi di queste opache manovre finanziarie
verranno alla fine spalmati sulla collettività, colpendo maggiormente
le fasce più deboli della popolazione.
Perciò la componente di speculazione
finanziaria del paradigma monetario dollarocentrico, di cui l’euro
è una pessima interpretazione indorata da una “cultura della stabilità”
intrinsecamente contraddittoria, è senza ombra di dubbio l’imputato
principale nel processo al debito pubblico, ma non l’unico.
L’altra grande imputata è la
fiscalità, la componente riequilibratrice indispensabile in qualsiasi
paradigma monetario applicato all’economia reale. Una fiscalità di
destra che protegge la minoranza ricca e spreme le grandi masse impoverite
è sovversiva della stabilità economica e dell’ordine pubblico, e
l’ideologia liberista che la sostiene è una pura e semplice truffa
ideologica, una falsità colossale che si può reggere solo su una continua
campagna mediatica e di distorsione culturale in campo accademico, che
produsse i Chicago Boys ieri e gli eurotecnocrati oggi. La prova del
nove è la politica ricattatoria della troika, dove la componente eurocratica
impone un “Washington consensus” di stampo teutonico perfino
più feroce di quello ben noto e collaudato del FMI. Le misure punitive
e recessive imposte ai paesi in difficoltà sono sotto gli occhi di
tutti, proprio mentre i pompieri “centrali” che dicono di voler
spegnere l’incendio della crisi finanziaria in realtà hanno solo
benzina al posto dell’acqua nella loro autobotte.
Per quanto riguarda l’Italia e i
PIIGS più in generale c’è poi un imputato aggiunto, tutto europeo,
ed è la grande truffa della moneta unica senza uno Stato Federale
unico ed una BC vera, che ne curi gli interessi contro la speculazione
su bond e valuta. Quest’anomalia prima di generare gli spread ha generato
il loro presupposto, cioè disavanzi crescenti in quella che un tempo
si chiamava “bilancia dei pagamenti con l’estero”. È stato
creato artificiosamente un meccanismo di competizione selvaggia all’interno
dell’area euro, cancellando il concetto di “estero” con un’unica
moneta ed un unico liberissimo mercato delle merci e dei capitali, ma
senza tener conto di realtà economiche eterogenee soprattutto nell’alimentare
l’inflazione locale, e quindi senza approntare opportune misure strutturali
di riequilibrio. Interpretare l’avventura dell’euro come un torneo
di tennis porta inevitabilmente ad un solo vincitore e tanti sconfitti.
Non può certo essere questo l’equilibrio economico a sostegno della
stabilità monetaria. La Germania ha viaggiato in questo decennio con
un inflazione media dell’ordine del 1,6%, contro Irlanda (3,4%), Grecia
(3,2%), Spagna (3,1%), Portogallo (2,9%), Italia (2,1%). Questa costante
forbice nell’andamento dei prezzi al consumo fra Germania e PIIGS
è stata fondamentale per la formazione di quegli squilibri macroeconomici
che stanno portando al collasso l’intero sistema dell’eurozona.
La maggior moderazione salariale relativa nei pochi anni di vita dell’euro
ha fatto decollare la competitività tedesca a spese della periferia.
L’economia tedesca ha preso così due piccioni con una fava: una moneta
indebolita dalla periferia dell’area euro per meglio competere e la
stessa moneta stabilizzata all’interno per meglio realizzare dumping
salariale (-6%) contro i PIIGS, incassando gli utili da export netto
da reimprestare agli stessi per continuare a comprare i suoi prodotti,
indebitandoli sempre più.
Non dimentichiamo poi un quarto imputato
nel mondo e nell’UE, la globalizzazione intesa come mercato unico
liberalizzato per merci, capitali e lavoro, tanto utile agli speculatori
finanziari quanto sostenuta dall’ideologia liberista, che ne ha fatto
un tabù sacro e inviolabile, col corollario della concorrenza competitiva
a favore del consumatore finale, l’unica dimensione di cittadinanza
ancora riconosciuta oltre a quella di contribuente.
Questi quattro imputati del delitto
dell’esplosione dei debiti (privati e pubblici) formano un’associazione
di stampo liberista il cui principale braccio armato è nientemeno che
il sistema bancario nel suo complesso, che è anche di fatto il pilastro
istituzionale più fondamentale per qualsiasi economia moderna.
Queste sono anche dimensioni della
moneta, che concorrono a formarne il paradigma costitutivo.
Occorre allora capire che la moneta
è molto altro da ciò che appare superficialmente. Con l’esplosione
degli asset finanziari il fondamento della moneta in senso stretto sta
diventando sempre più il debito pubblico oneroso, che è una truffa
crescente a danno dei contribuenti.
Una truffa complessa e articolata,
fortemente aggravata dallo scandaloso spread e dalla altrettanto scandalosa
sperequazione della ricchezza, ma che si può destrutturare abbastanza
facilmente una volta compresa nei suoi elementi principali, al fine
di maturare la necessaria coscienza politica, sufficiente per sconfiggerla.
Le possibili soluzioni sono altrettanto
chiare, classificabili secondo diversi livelli di radicalità.
Una versione piuttosto realistica è
sinteticamente esemplificata dai quattro “missili” di Bruno Amoroso:
- nazionalizzare le grandi
banche nazionali.
- restituire il controllo
e la sovranità monetaria sulle Banche Centrali ai governi dei paesi
e ai rispettivi «Ministeri del tesoro pubblico».
- colpire le società di rating,
accecando così il sistema di rilevazione e di pilotaggio della speculazione,
e i paradisi fiscali che sono i centri di benessere della speculazione.
- annunciare ai cittadini
europei che il debito sovrano va riportato dentro i confini dei vari
paesi, con l’annullamento di tutti gli impegni su titoli ceduti a tassi
che superano il corretto interesse bancario (2,5-3 % massimo), ricollocandoli
tra i propri cittadini con un prestito nazionale solidale così come
fu fatto in Italia con il «prestito per la ricostruzione» del dopoguerra.
Le ricchezze così recuperate
devono costituire la base di un nuovo patto sociale tra i paesi
europei che preveda, insieme alla ricostituzione di un «serpente monetario
flessibile», quella di una «divisione europea del lavoro» che metta
al bando le mire di competizione e rivalità neocoloniali della vecchia
Europa, sia dentro che fuori dei suoi confini, e ne fissi invece le
scelte produttive dentro un programma di cooperazione internazionale
che parta dal riconoscimento delle priorità di sviluppo e organizzazione
sociale, concordate in modo sinergico con le grandi aree mondiali (Asia,
America latina, Africa, ecc.).
Aggiungerei la doverosa separazione
tra banche commerciali e banche d’affari (come da legge bancaria
USA del 1933, nota come Glass-Steagall Act), spezzettando queste ultime
nel caso risultassero “troppo grandi per fallire”, e una robusta
Tobin Tax anche unilaterale.
Un interessante esercizio virtuoso
è quello di studiare il funzionamento della banca islamica, che grazie
al rispetto dei principi della sharia applicati in campo finanziario
ottiene ottimi risultati di contrasto alla speculazione, con enormi
vantaggi per la stabilità sistemica e la fiducia che ne deriva, tanto
da rappresentare una realtà di crescente successo non più trascurabile
(vedi Loretta Napoleoni).
Un processo dentro il processo va fatto
alle cause dell’inflazione, sia all’interno di un’economia fisica
locale, controllabili teoricamente della politica, che a livello macroeconomico
controllabile dalle Banche Centrali tramite le relative politiche monetarie,
a partire dalla FED che con i suoi recenti e massicci QE tenta disperatamente
di salvare un malato terminale, il dollaro, almeno nel breve periodo,
ma ne peggiora ulteriormente le condizioni a medio e lungo periodo,
contagiando tutti con la stessa patologia (LTRO).
Distinguiamo classicamente almeno quattro
cause d’inflazione:
- inflazione da costi:
l’inflazione è determinata da una crescita dei costi dei fattori di
produzione (salari, materie prime, tecnologie, tasse). Per esempio:
un aumento del costo del petrolio, produce un aumento a catena del prezzo
di tutti i beni, poiché il petrolio è un fattore produttivo che entra
in gioco nella produzione di tutti i beni (aumento energia elettrica,
trasporti, eccetera).
- inflazione da domanda/offerta:
la nota legge della domanda e dell’offerta produce un aumento dei prezzi
artificialmente pilotabile tramite il controllo su domanda e/o offerta
(politiche commerciali).
- inflazione da extraprofitti
da oligopolio: trust o cartelli che alterano la libertà del mercato.
- inflazione da massa monetaria:
quando aumenta la quantità di moneta circolante a parità di economia
fisica, fatta di scambi commerciali di beni e servizi, esclusa la quota
impiegata nel risparmio gestito.
Naturalmente vale anche il contrario,
la deflazione per motivi opposti, e soprattutto la possibile compensazione
tra inflazione e deflazione di diversa natura e tipologia, tenendo conto
ad es. che la moderazione salariale deprime anche la domanda popolare,
e quindi abbatte al colpo sia l’inflazione di tipo 1 che 2, o addirittura
produce deflazione correttiva di inflazione d’altro tipo.
Per i motivi su esposti la BCE può
occuparsi direttamente solo dell’ultima di queste quattro cause, ma
neppure indirettamente delle altre tre, come ha dimostrato il fallimento
dei criteri di convergenza e le misure punitive per farli rispettare,
come c’era da aspettarsi trattandosi oltretutto di misure pro-crisi.
In realtà anche il controllo
sulla massa monetaria, ammesso che riesca ad esercitarlo centralmente,
è legato alle altre valute ed in particolare a quella di riferimento
globale. Il patto di stabilità e la relativa “cultura” si
sono rivelati niente più che un’ideologia fasulla a copertura dei
centri di potere finanziario.
Ecco ad es. un estratto da un recente
rapporto del settore ricerca di Deutsche Bank (Potential for privatisation
in the euro area, 1/12/2011),
ovvero i cinque dogmi delle “liberalizzazioni”:
1) l’esperienza ci dice che le aziende
private operano in maniera più efficiente e più innovativa.
2) in un’attività di mercato il settore dell’economia privata dovrebbe
avere la precedenza. Lo Stato non è adatto per assumere il ruolo di
imprenditore.
3) a parte la promulgazione e l’attuazione
di un ordine legale e competitivo da mettere a base del mercato, (il
ruolo dello Stato) comprende anche altri compiti sovrani come la sicurezza
interna ed esterna, nonché le relazioni estere. Questi sono indicati
come “beni pubblici”.
4) dato che l’attività del governo
in un’economia di mercato ha fondamentalmente effetti distorsivi,
ci deve essere una prova convincente per giustificare il suo coinvolgimento.
(…) L’attività del settore privato è necessaria non solo per l’area
vasta di beni privati, ma in linea di principio anche in settori come
le infrastrutture ed altri, indicati come servizi di interesse generale,
ampiamente considerati come parte del dominio pubblico.
5) in linea di principio, ci sono anche
i benefici che derivano dalla privatizzazione dei servizi pubblici di
interesse generale, ad esempio i servizi idrici, le strutture sanitarie
e compiti amministrativi che non attengono alla sovranità: fondamentalmente,
si tratta di beni privati.
Quindi la “scienza” secondo la
principale banca privata tedesca dice che ci vuole meno Stato e più
mercato, privatizzare finanche i servizi pubblici, liberalizzare e competere
nei mercati globalizzati. Ecco il mantra del liberismo che ci condiziona
da anni, come un fondamentalismo religioso d’altri tempi e d’altri
luoghi.
Il breve filmato “Capire il debito
pubblico” c’informa su due fatti certi, il vincolo monetario imposto
alla BCE dall’art. 123 del trattato di Lisbona e l’esplosione dei
debiti pubblici in tutta l’area euro, oltre che negli Stati Uniti
e nel Regno Unito, correlando le due cose come causa-effetto in un sistema
monetario-creditizio a riserva frazionaria, il cui coefficiente è deciso
dalla BIS a Basilea (a riprova del fatto che viviamo
di fatto nell’era della moneta unica mondiale, visti gli stretti legami
tra le valute e il dollaro da Bretton Woods in poi).
Gli attori economici principali sono
quindi raggruppabili in tre categorie: il sistema bancario con a capo
la Banca Centrale, lo Stato in rappresentanza dei cittadini, l’economia
reale vissuta da famiglie e imprese.
Il dogma liberista vuole uno Stato
che sia il più snello possibile come attore economico, sia sul
lato spesa che fiscale, ma soprattutto nella sua funzione normativa:
da qui il “divorzio” tra BC e Tesoro, per noi italiani propedeutico
all’entrata nell’euro insieme alle privatizzazioni e fusioni bancarie,
la deregulation bancaria storicizzata da Reagan-Thatcher con relativa
macelleria sociale e infine la privatizzazione dei servizi pubblici.
Solo una cosa deve restare completamente
di responsabilità pubblica: la fiscalità a copertura integrale
del bilancio. Il pareggio di bilancio è stato recentemente imposto
stabilmente integrandolo nella nostra stessa Costituzione, in dispregio
delle più elementari nozioni di economia monetaria.
L’Unione Europea esiste di fatto
solo dal punto di vista monetario e commerciale. Ogni Stato deve fare
da se politicamente per garantire il rispetto dei vincoli monetari,
ma con le mani legate proprio sul fronte più delicato, il controllo
dell’inflazione e la tutela dell’economia, impediti dai dogmi liberisti
che stanno massacrando le nostre strutture produttive. L’ideologia
nel tentativo puerile di non perdere di coerenza postula che sia la
massa monetaria l’unica causa dell’inflazione, come scolpito a fuoco
nell’immaginario collettivo dalla tremenda esperienza di Weimar, radice
profonda della “cultura della stabilità” affidata ai parametri
di Maastricht. Ma sappiamo che anche questa vecchia storia è truccata,
le principali responsabilità dell’iperinflazione furono private e
di matrice iper-liberista (come la vendita allo scoperto di valuta,
con la complicità delle banche private locali), mentre tante recenti
storie vere dicono esattamente il contrario, che dove c’è un controllo
pubblico democratico l’economia funziona egregiamente. Non occorre
essere estremisti per capire e praticare questo elementare principio,
così trascurato nel nostro paese.
Milano, 25 febbraio 2012