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L’ideologia è morta, viva l’ideologia!

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A cura di Nestor Halak
Il 12 Giugno 2023
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Nestor Halak per Comedonchisciotte.org

Una delle favolette che hanno preso a raccontarci con più insistenza a partire dalla fine della guerra fredda è stata quella della morte delle ideologie. Uno dei più sopravvalutati saggisti di tutti i tempi aveva addirittura scritto una fortunatissima sciocchezza sulla fine della storia: capirai, non appena lui è arrivato, i tempi si sono compiuti.

Di vero c’era solo che dopo la caduta dell’Unione Sovietica l’ideologia marxista aveva perso quasi tutta la sua popolarità e, come era già successo alla fine del fascismo, non si trovava più un comunista a pagarlo oro, anche se fino al giorno prima erano comuni come le margherite in un prato a primavera. I vertici, ancora più voltagabbana del popolino, si erano infatti subito affrettati a cambiare nome al partito ed a diventare ipso facto più realisti del re.

Al contrario l’ideologia liberal capitalista, lungi dall’estinguersi, era cresciuta più forte che mai e mancandogli una qualsiasi concorrenza socialisteggiante, non solo era diventata estremista, ma aveva anche preso a vantarsi di non essere affatto un’ideologia, bensì la realtà stessa, ammantandosi di valenze da legge fisica per sua stessa natura intrasgredibile. Le “eterne leggi del mercato” erano divenute il nuovo vangelo.

Solo che l’ideologia mercantile lasciata a se stessa non porta certo all’allargamento della classe media, cioè della condivisione del benessere tra larghe fasce della popolazione, ma inevitabilmente alla progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani e alla proletarizzazione di tutti gli altri, come del resto aveva profetizzato l’ormai negletto Marx.  Se negli anni settanta l’operaio sognava il figlio dottore, adesso non era facile convincere quel dottore che i suoi figli avrebbero dovuto diventare  portatori di pizze in motorino o recapitatori di pacchetti Amazon. Così la narrativa del sistema ha cominciato a battere sulla natura oppressiva del “posto fisso”, cosa che peraltro avevano sempre sostenuto anche i contestatori degli anni sessanta, allora aspramente avversati dalla destra, ma che aveva anche permesso a larghe fasce della popolazione  di  raggiungere una sicurezza ed un livello di vita senza precedenti in passato. La libertà non consisteva forse nel poter cambiare lavoro come e quando si voleva? Non era forse viversene in giro all’americana senza legami? E allora perché mai aspirare a costringersi a vita ad una noiosa scrivania o, peggio, ad una avvilente catena di montaggio?

Un’altra caratteristica fondante della società moderna divenuta dannosa nel preteso mondo post ideologico e post storico è quella della nazionalità che ostacola il potere nascosto delle grandi organizzazioni mondiali. Peccato che la base di qualsiasi democrazia liberale, anzi l’unico palcoscenico dove era in qualche misura fiorita, fosse stato da sempre lo stato nazionale. Solo a livello statale si tenevano elezioni, vinceva la maggioranza e si potevano esprimere le proprie idee, non certo nei luoghi di lavoro. Era lo stato a ridistribuire il reddito la dove il sistema capitalista, lasciato a se stesso, non avrebbe mai e poi mai ridistribuito alcunché. Quindi, nella nuova situazione dove il potere veniva progressivamente trasferito dalle istituzioni politiche a quelle economiche, la prima cosa da distruggere erano proprio gli stati nazionali, in particolare quelli che avevano prodotto il cosiddetto”miliardo d’oro”, cioè quella consistente parte dell’umanità che aveva goduto di un benessere senza precedenti storici. Gli altri stati, quelli del terzo mondo, avevano molta meno importanza in quanto non avevano mai realmente funzionato, anche perché fortemente ostacolati nel proprio sviluppo dagli interessi occidentali che la concorrenza la gradivano solo in teoria.

L’elite americana si era convinta volentieri di aver vinto la guerra fredda per i propri meriti, così come anni prima si era convinta di aver distrutto la potenza militare della Germania. In realtà il Terzo reich era stato sconfitto dall’Unione Sovietica e anche la guerra fredda, più che vinta dagli americani, era stata persa, per suicidio, dagli stessi sovietici. Ma ciò non impedì certo agli arroganti statunitensi di ritenersi ormai padroni del mondo ed in diritto di rimodellarlo a propria immagine e somiglianza con la politica che hanno chiamato “globalizzazione”.

Poiché negli Stati Uniti il potere era da tempo migrato dalle istituzioni democratiche formali verso gli oligarchi e lo stato profondo da loro controllato, lo stesso doveva ripetersi ovunque nel mondo. La globalizzazione come è stata intesa, è poco più di un’americanizzazione universale. Tuttavia le apparenze andavano salvate, la farsa della più grande democrazia della galassia  andava tenuta in piedi ed un stato che spendeva gran parte del suo reddito nella “difesa”, con gran gaudio di tutto un sistema di corruzione clientelare di entità, questa sì, galattica, doveva pur avere un nemico credibile. Ne fu così creato uno del tutto incredibile, il terrorismo islamico, ma che  fu fatto credere alla gente a forza di propaganda e spettacoli pirotecnici. In seguito il nemico si è presentato davvero sotto le sembianze di Russia e Cina.

L’oligarchia americana doveva essere la base del nuovo “governo mondiale informale” che doveva essere costruito al di sopra e al di la dei vari governi nazionali e avrebbe regnato attraverso il potere economico l’infiltrazione dei propri uomini ed una serie di organizzazioni “globali”  controllabili. Si Trattava di portare il processo a compimento anche in Europa dove però esistevano istituzioni robuste, sentimenti nazionali radicati, legislazioni a protezione del lavoro, partiti politici con programmi diversificati, sindacati eccetera. Per distruggere tutto questo sono state adottate diverse strategie, tra le quali spiccano la dislocazione all’estero della base industriale, la costituzione di una struttura sovranazionale di comando non elettiva sfruttando le già esistenti Nato e U.E., l’immigrazione di massa per garantire il necessario annacquamento delle popolazioni locali al fine di minarne la compattezza e la resistenza alla proletarizzazione, la presa di possesso ferrea del sistema dei media convertito ad organo unico di propaganda, la distruzione progressiva della pubblica istruzione (tornava ad essere necessario un popolo ignorante), del sistema sanitario pubblico, della legislazione a tutela del lavoro ed in generale di ogni forma statale di redistribuzione della ricchezza.

Tenuto conto che il liberismo era oramai una legge di natura e non più una ideologia, si sentiva anche il bisogno di un nuovo sistema di credenze più spicce col quale indottrinare e controllare le masse, qualcosa di orecchiabile, magari di già sentito, nel quale la gente potesse riconoscersi e sentirsi moralmente superiore ai non redenti. Tutti i media si sono perciò messi a pompare un’ideologia ad hoc, partita inizialmente sotto l’etichetta di “politically correct” e sfociata infine in quello che oggi si chiama ideologia “woke”, vocabolo traducibile in italiano come sveglio, nel significato di stare all’erta. Ricordate, ad esempio,  il “non abbassare la guardia” covidiano?

Si può dire che il wokismo è oggi il sistema ideologico che sottende al tentativo in corso di rimodellare radicalmente lo stato del mondo. Mi pare che i punti principali di questa nuova fede poggino al momento su quattro pilastri: il razzismo, il sessismo, la teoria della fluidità dei generi e l’ecologismo catastrofista, conditi con una certa propensione all’esaltazione del masochismo e della debolezza. Altri saranno magari aggiunti al bisogno.

Il razzismo viene presentato come il suo opposto, cioè l’antirazzismo. La narrazione afferma, contraddittoriamente, che le razze non esistono, ma nonostante ciò i bianchi sono intrinsecamente colpevoli in quanto i loro antenati, hanno prevalso con la forza su tutte le altre razze, assoggettandole, sterminandole e rendendole strumento dei loro scopi egoistici. Gli attuali appartenenti a questa razza che a rigore non esiste, devono pertanto espiare le colpe dei loro padri compensando i torti da loro commessi. Il meccanismo ricorda da vicino quello del “peccato originale” dei cristiani: pressappoco, un antenato mitico (stavolta maschio), di nome Kipling avrebbe mangiato una noce di cocco dall’albero della Scienza della Discriminazione Razziale disobbedendo alla Grande Dea Terra (il Dio del cielo in quanto maschio non è più spendibile), e contaminando con tale colpa tutti i suoi discendenti. Pertanto, qualsiasi resistenza al riconoscimento di colpevolezza o qualsiasi rifiuto di pagarne il fio, magari nella forma di mantenere la propria identità e la propria cultura, è qualificato come “fascista”, termine che nel frattempo ha cessato di indicare un fenomeno storico preciso ed è stato ricostruito dai media universali come sinonimo di “male assoluto” ed implica, tra l’altro, anche lo sterminio degli ebrei.

Il bianco deve “accoglienza” ai “migranti” e rispetto alla loro cultura al prezzo (giusto), del suo livello di vita e delle sue tradizioni, in altre parole deve accettare di buon grado che il suo paese diventi il paese di altri nel giro di una generazione e senza compenso. Facile vedere i fini reali della manovra dietro la nebbia ideologica: costituire un esercito i lavoratori di riserva disposti a lavorare quasi gratis, distruggere la legislazione a tutela del lavoro, distruggere gli stati nazionali per favorire il passaggio del potere agli oligarchi, soprattutto americani, che, con un piccolo aiuto dei media, possono presentarsi come illuminati, “visionari” e, ovviamente, filantropi.

Per quanto riguarda il sessismo il discorso è molto simile: come nel caso del razzismo, la concezione sessista della nuova ideologia si presenta come il suo contrario, cioè come lotta alla discriminazione sessuale. I valori “giusti” e meritevoli di protezione sono quelli attribuiti al genere femminile, il maschio (qui in palese contraddizione con la teoria dei generi fluidi), viene narrato come intrinsecamente inferiore dal punto di vista biologico, sociale e morale: egoista, incapace di dare la vita, ma portatore di morte e preda dei propri istinti violenti. Già il fatto di essere maschio lo rende presuntivamente colpevole, di conseguenza ammazzare una donna è più grave che ammazzare un uomo, altrimenti perché coniare il neologismo ”femminicidio”? Il reato di violenza carnale, esclusivamente maschile, viene grottescamente ampliato fino al punto di includere comportamenti blandamente scorretti che un tempo sarebbero passati quasi inosservati. Anche il maschio, come il bianco (figuriamoci il maschio bianco), deve riscattarsi dalle colpe dei padri, cioè di una società che è stata patriarcale, accettando di buon grado non la parità dei sessi come costituzione vorrebbe, ma semplicemente il rovesciamento della situazione di dominanza. In pratica l’unico modo di essere un maschio accettabile nella prospettiva wokista, così come si sta precisando in molti paesi soprattutto di tradizione anglosassone, è quello di femminilizzarsi.

E veniamo alla teoria del genere fluido. Questa, in spregio alla biologia, sostiene che il sesso negli umani dipende  dal proprio sentire soggettivo, che peraltro può essere variabile nel tempo, nel senso che uno può sentirsi (e quindi essere), uomo o donna, qualsiasi cosa in mezzo (o anche qualsiasi cosa al di fuori, se riuscite ad immaginarlo), in periodi diversi della sua vita scelti a piacere.  Al di la della difficoltà di mantenere un equilibrio mentale o anche una memoria del proprio genere in un dato pomeriggio, non è che ci sia qualcosa di moralmente terribile in questo: per quanto mi riguarda possono rappresentarsi un poco come  vogliono, il problema sorge solamente quando si vuole imporre questo modo di sentire a tutta la società come l’unico corretto, propagandandolo a scuola a bambini che mai ci avevano pensato prima, stigmatizzando l’espressione di concezioni differenti, modificando artificialmente la lingua a fini ideologici, imponendo a tutti l’uso di parole “appropriate”, costruendo gabinetti per terzi sessi (perché non quarti?), chiamando la mamma e il babbo genitore uno e genitore due, cambiando i documenti, facendo gareggiare uomini in sport femminili: in sostanza trasformando quello che era un problema di una piccolissima minoranza in un problema della stragrande maggioranza che dubbi sull’identità sessuale non ne aveva mai avuti, ma che potrebbe anche averli, se glieli suggeriscono con sufficiente insistenza, specie se li spacciano per atteggiamenti di gran moda. Come per esempio è successo per le cosiddette“intolleranze alimentari”. Manco a dirlo in entrambi i casi si aprano prospettive di business molto promettenti.

Si finisce insomma per ribaltare la situazione e far diventare perversi i normali eterosessuali, vendendo per tolleranza una nuova intolleranza, solo di segno opposto alla precedente, come se il problema degli zoppi si risolvesse azzoppando anche quelli che camminano bene. Naturalmente nessuno ha intenzione di tornare alle persecuzione degli omosessuali, ma il buon senso vuole che le preferenze sessuali restino un fatto privato, irrilevante per la legge, non un leitmotiv ideologico da sostituire alla politica vera.  Anche in questo caso la giusta lotta di una minoranza oppressa, è stata presa in carico da quello stesso potere che fino a pochi anni prima sbatteva in galera per pederastia i suoi attuali beniamini, diventati tali solo perché oggi fa comodo dividere le persone in categorie contrapposte e in lotta tra loro, purché, ovviamente, si tratti di categorie fasulle, innocue, che non mettano mai più in discussione la divisione tra ricchi e poveri.

Il quarto cavallo di battaglia dell’ideologia woke è l’ecologia messianica, anche questa trafugata alle controculture e messa al servizio del potere. E’ piuttosto difficile riuscire a convincere le persone ad abbandonare il proprio livello di benessere per uno inferiore, specie se questo livello è stato faticosamente raggiunto nel corso di una vita, può invece risultare più facile farlo con i figli o con i figli dei figli che su quello standard ci sono nati e non hanno esperienza diretta della miseria di prima. Occorre comunque trovare un buon motivo e la salvezza del pianeta è evidentemente sembrato agli esperti della manipolazione di massa un motivo ottimo. Non si corre il pericolo che venga interpretato come imposizione dall’alto dato che tutti lo ricordano come introdotto da  avversari del “sistema” e seguendolo ci si può sentire ribelli e allo stesso tempo lavorare per il potere.

Inoltre “salvare il mondo” incarna un antico archetipo umano infinite volte rivisitato da Hollywood: quello dell’eroe senza macchia che sacrifica sé stesso (anche se a dire il vero se la cava spesso), per la salvezza di tutti. E cosa ci può essere di più grandioso di avere l’opportunità di “salvare il pianeta”? Per di più, almeno all’inizio, si può fare con poca fatica, basta acquistare l’acqua minerale da un’azienda che si dichiara “carbon free” anche se è un poco più cara, possibilmente senza rendersi conto che il confezionamento stesso dell’acqua in bottiglie di plastica non è di per sé il massimo della correttezza ecologica. Ve l’immaginate la soddisfazione del ragionier Fantozzi che, dopo aver salvato il pianeta, viene portato in trionfo in sala mensa col plauso dal direttore ereditario e l’ammirazione della signorina Silvani? La metafora è forse un poco agee, in linguaggio corrente si potrebbe tradurre con  “il blogger Fantozzi che incanta milioni di follone e prende un sacchissimo di like”.

Se la gloria e lo spirito i servizio non fanno per voi, non importa, è la “scienza” che garantisce la bontà della causa, lo assicurano fior di studiosi, anche Bruno Vespa, Mentana e Bono degli U2. E poi non c’è alternativa, se non rinunciate volontariamente alle comodità moderne per salvare il mondo, il caldo vi arrostirà, i mari vi annegheranno e la terra non vi darà da mangiare neanche più gli insetti (che tra l’altro sono buonissimi e nutrienti e non si capisce perché, se mangiate i gamberetti, non dovreste apprezzare gli insetti).

Come diceva un grand’uomo dall’alto profilo istituzionale, chi non “differenzia” la spazzatura  muore e fa morire anche il nonno (anche se, devo confessare, non mi sono mai liberato dall’eretico sospetto che gli addetti alla raccolta rimettano poi tutto insieme e lo sbattano in discarica). Rinunciate dunque alle seduzioni della società opulenta, diventerete degli eroi e nel Walhalla Mac Donald cucinerà per voi squisiti hamburger di larve di coleotteri.

Devo dire che in politica avevo ben compreso l’inganno nascosto nei due “poli contrapposti” e nel “sistema maggioritario” fin dai tempi di Mario Segni (ve lo ricordate? C’è stato un tempo che non lasciava mai i teleschermi), ma quando uscì all’improvviso quel pastrocchio ideologico che va sotto il nome di “politicamente corretto” lo sottovalutai di molto. Mi pareva la solita americanata passeggera: troppo stupido per essere preso sul serio. Pensavo che oramai la gente, almeno in questo paese, fosse in possesso delle chiavi di interpretazione necessarie per evitare le sciocchezze più conclamate e non avrebbe creduto in una supercazzola simile. Ma mi sbagliavo di grosso. A quanto pare non c’è nulla di troppo stupido per essere creduto. Al contrario, più un’idea è stupida e contraddittoria, più i credenti, per riuscire a crederci loro stessi, ci si attaccano e diventano fondamentalisti in un delirio di peccati e castighi. Circostanza che poi è diventata plateale col covid: infatti, ancora oggi, c’è gente che insiste e ancora va in giro mascherata.

A tal proposito un episodio del marzo 2021 mi ha fatto capire molte cose. All’epoca erano vietate le riunioni anche private con più di pochissime persone, ma non mi era passato per la mente che ciò potesse riguardare il doppio compleanno che usavamo organizzare insieme ad un vecchio amico, così lo chiamai per accordarsi. Oramai era trascorso un anno dallo scoppio della pandemia e mi pareva assodato che il danno vero lo facessero i rimedi, più che il male. E poi un fiero contestatore degli anni settanta qual’era l’amico, non avrebbe certo aderito ad una pagliacciata simile. Insomma ero fermamente convinto che “noi” ce ne fregassimo bellamente dei divieti della polizia sanitaria.

E invece no: sentenziò che era da irresponsabili riunirsi in quelle condizioni. Non seppi cosa rispondere e per poco non andai in terrazza a gridare “andrà tutto bene”. Ma allora cos’era quella “Lotta Continua” di cui parlavano i manifestini che il  nostro eroe distribuiva all’uscita di scuola? Da allora ho cominciato ad avere paura del covid e a piangere sull’avvenuto trapasso delle ideologie.

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