DI MORENO PASQUINELLI
FONTE: Sollevazione
Le dimissioni di Juergen Stark —uno
dei sei membri del Consiglio esecutivo della BCE, vice-presidente della
Deutsche Bundesbank—, causate dalla netta opposizione a che la BCE
prosegua con l’acquisto dei titoli dei PIIGS sui mercati secondari;
hanno spinto le borse, già depresse, nel baratro. Venduto in poche
ore un controvalore di oltre 157 miliardi. L’euro sceso a 1,36 sul dollaro.
Rischizzati in alto i differenziali tra i titoli dei PIIGS e Bund tedesco
—aspettiamo domani per vedere se non sia salito anche il differenziale
francese. L’ondata di vendite si è estesa anche a Wall Street, a
conferma che oramai le sfere finanziarie delle due sponde dell’atlantico
sono come gemelli siamesi.Particolarmente grave la situazione
per l’Italia. Il differenziale col Bund tedesco è tornato ai livelli
dell’8 agosto, prima che scattasse l’intervento della BCE. Inequivocabile
il segnale dei livelli raggiunti in giornata (ieri per chi legge) dai
Credit Default Swap (le polizze per assicurarsi dal rischio di perdite)
sull’Italia, i cui valori sono ai massimi storici: quota 448 punti.
In questo contesto è chiaro perché si vende a tutto spiano: il rischio
a comprare titoli e obbligazioni italiane è considerato troppo alto,
malgrado i prezzi siano già da saldi di fine stagione. Per cui gli
speculatori (come altro volete chiamarli?) preferiscono non comprare
oggi ciò che danno per certo: che domani si potrà acquistare a prezzi
ancor più stracciati.
Nessuno ha creduto alla versione ufficiale,
che Stark si sia dimesso per ragioni personali. Che nella cupola della
BCE ci fossero acque agitate lo si era capito ieri, dalle risposte inusualmente
stizzite di Trichet alle domande dei giornalisti. Difficile credere
che quello di Stark sia un gesto inconsulto. Anche se lo fosse egli
è pur sempre un pezzo da novanta del mondo bancario tedesco. E’ invece
plausibile che il suo gesto sia stato concordato con il governo della
Merkel. Se è così il segnale è chiaro: la Germania non vuole che
la BCE continui nella sua politica di salvataggio dei PIIGS, in particolare
dell’Italia. E se è così vuol dire che Berlino, come minimo, da
per scontata l’ufficializzazione della bancarotta della Grecia, e
quindi del totale fallimento (come anche da questo blog previsto) dei
piani di salvataggio messi in atto dal 2010.
Der Spiegel del 4 giugno informava che, secondo le ultime
attendibili stime, il salvataggio della Grecia sarebbe costato 100 miliardi
(e non ottanta, come previsto). Di qui le grida in certi ambienti tedeschi
(non distanti dal governo) sul fatto che sarebbe stato meglio lasciar
fallire la Grecia e, come ultima ratio, determinare la sua uscita dall’euro.
Si sapeva che Juergen Stark, malgrado la discrezione che deriva dal
suo delicatissimo ruolo istituzionale non gli impedisse di dirlo in
pubblico, la pensasse in questa maniera.
Il problema è dunque capire,
o meglio decriptare, quali siano le vere intenzioni tedesche nel caso
quasi certo che la crisi dell’eurozona dovesse precipitare. E’ probabile
che anche ai vertici politici e finanziari della Germania ci sia maretta,
se non un vero e proprio conflitto. Le dimissioni di Stark sono un segnale
che si va rafforzando il gruppo dei falchi. Non si intenda per “falchi”
coloro che propugnano un ritorno al Marco. Ma quando Mai! Con il passaggio
dal marco all’euro il capitalismo tedesco ha ottenuto l’equivalente
di una svalutazione che gli analisti calcolano tra il 5 e il 10% —di
converso gli altri, tra cui l’Italia, con l’adozione dell’euro,
è come se avesse rivalutato la propria moneta della cifra equivalente—
dando una spinta fortissima alle esportazioni e all’attacco alle condizioni
di vita e salariali dei lavoratori tedeschi.
«Come riconosciuto da più parti,
i problemi dell’euro nascono anche dalla furia esportatrice del “made
in Germany”. La moderazione consumistica e salariale, combinata
con gli incrementi di produttività dovuti al progressivo assorbimento
e riqualificazione dei lavoratori dei Länder orientali ha contribuito
al boom dell’export tedesco. All’impennata delle esportazioni hanno
dato una mano l’euro, più debole di quanto non sarebbe stato il marco,
il livellamento dei tassi d’interesse e una politica monetaria della
BCE che ha supportato l’espansione della domanda nei Paesi della periferia,
ma non in Germania». [1]
C’è una prima domanda: ma se non
intendono tornare al marco, e al contempo non vogliono sacrificarsi
sull’altare della difesa ad oltranza dell’eurozona, cosa hanno davvero
in mente i capoccioni tedeschi? Poiché, conoscendoli, non lasciano
nulla al caso, un piano ce l’hanno certamente. Hanno forse in mente
la eccentrica alchimia di due euro? di una zona euro di serie a e una
zona euro di serie b come alcuni da almeno un anno propongono? [2] Non
ci è dato sapere. Di certo hanno messo nel conto la bancarotta e l’uscita
di Grecia e di altri PIIGS dall’eurozona. E’ il caso dell’Italia
che gli complicherebbe le cose, data la stazza, non solo del debito
italiano, ma della sua economia. Chi scrive ritiene che una moneta unica
dei “virtuosi” (Germania, Austria, Slovenia, Slovacchia, Finlandia,
Olanda, Lussemburgo, Francia e Belgio), anche se possibile, sarebbe
improbabile, almeno per paesi come la Francia e il Belgio, i cui sistemi
bancari sarebbero travolti dalla bancarotta dei debiti sovrani dei PIIGS.
Un euro dei virtuosi, se ci sarà, sarà la valuta della Germania e
dei suoi sei satelliti economici —i satelliti, tenuto conto del predominio
tedesco nei Balcani, in Polonia e nel Baltico sono molti di più. I
PIIGS del resto, non adotterebbero affatto una moneta comune, operazioni
troppo ardua e alla fine anche illogica, ma torneranno alle loro valute
nazionali.
Giungiamo quindi alla domanda numero
due, che condensa il grave dilemma tedesco:
«Alla Germania conviene continuare
a sostenere l’euro? Nei calcoli entrano alcuni elementi direttamente
quantificabili. Uno dei costi di un’unione dei bilanci sono tassi d’interesse
più alti sui titoli di Stato: secondo l’istituto IFO rappresentano
l’1,5-2% del PIL annuo tedesco, molto di più dei contributi che la
Germania versa annualmente alla Commissione europea. Soprattutto c’è
un’enorme passività eventuale legata alle sue garanzie sul debito dei
Paesi della periferia. Nel caso di un default generalizzato, che spazzi
via il 30% del debito pubblico della periferia, la quota del conto che
dovrebbe accollarsi la Germania sarebbe di circa 400 miliardi, ossia
il 16% del suo PIL. Sull’altro piatto della bilancia, il costo di un
tracollo dell’euro potrebbe essere una decurtazione di valore del 30%
dei titoli di Stato di Paesi della periferia in mano alle banche tedesche,
per un valore di 21 miliardi. Ci sarebbe anche una piccola perdita di
competitività: per esempio, con una svalutazione del 30% nella periferia,
la Germania subirebbe una rivalutazione reale del 3 per cento. La Germania
corre dei rischi in entrambi i casi». [3]
Fatti due conti è tuttavia palese
come alla Germania convenga la seconda soluzione, ovvero non impedire
il tracollo tout court dell’euro, e quindi tentare la strada dell’euro
dei virtuosi. Questo a conferma di quanto andiamo dicendo agli europeisti
incaponiti che ci accusano, proponendo noi di cancellare il debito e
di uscire dall’euro prima che sia troppo tardi, di proporre sfracelli.
Lo sfracello dell’euro è in atto, è la tendenza obiettiva: stolto
è chi non vuole attrezzarsi al dopo pilotando politicamente questo
processo.
La verità è che l’Unione
europea è un appiccicaticcio di stati-nazione, un amalgama instabile.
La verità è che i tedeschi per primi non sono disposti ad alcuna ulteriore
cessione di sovranità —come ha confermato, checché se ne dica, la
sentenza della Corte costituzionale tedesca l’altro ieri; ma su questo
dovremo tornare se ne avremo il tempo.
I tedeschi sanno fare bene i loro conti
e sanno ancor meglio far valere la loro indiscussa supremazia economica
(che non riesce ad essere politica, ancora).
Quando si è trattato, dopo il
crack del sistema bancario americano dell’autunno 2008, visto che
proprio le loro banche erano piene di titoli tossici, non hanno lesinato
nel salvare il sistema bancario “europeo”. Berlino ha fatto un gran
casino per salvare la Grecia (100 miliardi) ma per salvare le banche
sulla soglia della bancarotta essi di buon grado chiesero alla BCE di
elargire una cifra più di dieci volte superiore. Lo confermava lo stesso
Juergen Stark:
«Il processo di dismissione delle
misure non standard è già in corso. Un anno fa le nostre operazioni
di liquidità garantivano circa 900 miliardi di euro alle banche della
zona euro. Oggi l’ammontare dato in prestito è di circa 430 miliardi.
L’uscita dalle misure di emergenza decise tra il 2008 e il 2009 sta
quindi avvenendo in modo graduale. Il sistema interbancario funziona
meglio, anche se in alcuni paesi – quelli in crisi debitoria – ci
sono ancora difficoltà». [4]
Tutto briga a favore dell’imminenza
della temuta perfect storm,
Scrivevamo il 15 luglio:
«La Tempesta perfetta non fu affatto
quella dell’autunno 2008, il collasso finanziario made in USA. Mancavano
due elementi affinché fosse “perfetta”, che il crack colpisse
l’Europa, e che si mettessero in moto larghe masse. (…) Se in
autunno (settembre nero?) la crisi dell’eurozona dovesse precipitare,
non è detto che ci guadagnerà Wall Street. Molti elementi indicano
che sarebbe il collasso generale delle economie imperialiste occidentali.
La crisi attuale, già più profonda di quella del ’29, si inasprirebbe,
con conseguenze fatali per le compagini sociali: tra cui una disoccupazione
a due cifre, il fallimento di migliaia di aziende e banche, e quello
di interi stati. A quel punto la temperatura dell’acqua sarà prossima
all’ebollizione e diversi coperchi salteranno per aria, assieme alla
pace sociale. Allora sì che avremo la tempesta perfetta»! [5]
L’uragano, dopo lunga gestazione
messosi in moto, si abbatterà sull’Eurozona. E’ probabile che il
primo settore ad essere scoperchiato sarà quello bancario, pieno di
titoli di stato dei PIIGS, oramai considerati alla stregua di titoli
tossici. Sarebbe meglio che questa tempesta fosse perfetta, ovvero che
assieme alla bancarotta vedesse sollevare i popoli, la sola maniera
per evitare quella imperfetta, cioè una catastrofe sociale di cui saranno
anzitutto le masse popolari a pagarne le conseguenze. Non c’è da
essere ottimisti. I tempi sono molto stretti per aprire la strada alla
sola alternativa: cancellare il debito e uscire dall’euro. Ognuno faccia
la sua parte. Noi faremo la nostra.
Diamoci da fare
22-23 ottobre
DALL’EURO!
assemblea nazionale
Note:
[1] Url Dadush, Il Sole 24 Ore del
9 settembre
[2] IL
TEMPO del 28 giugno 2011
[3] Url Dadush, Ibidem
[4] Il
Sole 24 Ore del 2 giugno
2011
[5] TEMPESTA PERFETTA: NON QUELLA DEL 2008, QUELLA ALLE PORTE
Fonte: L’euro, il dilemma tedesco e il rischio della “tempesta imperfetta”
10.09.2011