L’escalation non può essere fermata, la Casa Bianca è in allarme: il rischio di un conflitto è sempre più reale

La necessità della guerra sta facendosi strada nella coscienza del mondo arabo e islamico.

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Alastair Crooke
strategic-culture.su

Giovedi scorso, dalle pagine del New York Times Tom Friedman ha lanciato il suo terribile avvertimento:

“Credo che, se ora Israele entrerà [unilateralmente] con la forza a Gaza per distruggere Hamas, commetterà un grave errore che sarà devastante per gli interessi israeliani e americani”.

“Potrebbe innescare una conflagrazione globale e far detonare l’intera struttura di alleanze filo-americane costruita dagli Stati Uniti… Sto parlando del trattato di pace di Camp David, degli accordi di pace di Oslo, degli accordi di Abraham e della possibile normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Tutto potrebbe andare in fumo.

“Purtroppo, ha detto l’alto funzionario statunitense, i leader militari israeliani sono, in realtà, ancora più guerrafondai dell’attuale primo ministro. Sono rossi di rabbia e determinati a sferrare ad Hamas un colpo che tutte le nazioni confinanti non dimenticheranno mai”.

Friedman sta parlando, ovviamente, del sistema di alleanze americano imperniato sull’idea dell’invincibilità della potenza militare di Israele – il paradigma della “piccola NATO” che dovrebbe fungere da substrato essenziale per la diffusione in Asia occidentale dell’Ordine delle Regole dettato dall’America.

È analogo al substrato dell’alleanza NATO, la cui pretesa “invincibilità” ha sostenuto gli interessi statunitensi in Europa (almeno fino alla guerra in Ucraina).

Un membro del gabinetto israeliano ha dichiarato al corrispondente israeliano anziano per la difesa, Ben Caspit, che Israele non può permettere che la sua deterrenza di lunga data venga ora messa in dubbio:

“Questo è il punto più importante: la nostra deterrenza”, ha detto l’alta fonte del Gabinetto di Guerra. “La regione deve capire in fretta che chi danneggia Israele, come ha fatto Hamas, pagherà un prezzo sproporzionato. Non c’è altro modo per sopravvivere tra i nostri vicini se non quello di esigere questo prezzo ora, perché molti occhi sono puntati su di noi e la maggior parte di essi non ha a cuore i nostri interessi”.

In altre parole, il “paradigma” israeliano è incentrato sulla manifestazione di una forza schiacciante e travolgente nei confronti di qualsiasi sfida emergente. Questa politica nasce dal fatto che gli Stati Uniti hanno sempre voluto che Israele avesse sia un vantaggio politico (tutte le decisioni strategiche spettano esclusivamente a Israele, secondo Oslo), sia una superiorità militare su tutti i suoi vicini.

Nonostante fosse stata presentata come tale, questa non è mai stata una formula in grado di arrivare ad un accordo sostenibile e pacifico che permettesse l’esecuzione della Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1947 (la divisione della Palestina dell’epoca del Mandato in due Stati). Piuttosto, Israele sotto il governo Netanyahu si sta avvicinando sempre di più ad una fondazione escatologica di Israele sulla “Terra di Israele” (biblica) – una mossa che cancella completamente la Palestina.

Non è una coincidenza che Netanyahu, durante il suo discorso all’Assemblea Generale del mese scorso, abbia mostrato una mappa in cui Israele dominava dal fiume al mare – e la Palestina (anzi, qualsiasi territorio palestinese) era inesistente.

Tom Friedman, nelle sue riflessioni al NYT, potrebbe temere che, così come l’insufficiente performance della NATO in Ucraina ha rotto “il mito della NATO”, allo stesso modo il crollo militare e dei servizi segreti israeliani del 7 ottobre e ciò che sulla sua scia accadrà a Gaza “potrebbe far esplodere l’intera struttura dell’alleanza filo-americana” in Medio Oriente.

La confluenza di due umiliazioni di questo tipo potrebbe spezzare la spina dorsale del primato occidentale. Questo sembra essere il succo dell’analisi di Friedman. (Probabilmente ha ragione).

Hamas è riuscito a distruggere il paradigma della deterrenza di Israele: non ha avuto paura, l’IDF si è dimostrato tutt’altro che invincibile e la popolazione araba si è mobilitata come mai prima d’ora (confondendo i cinici occidentali che ridono al solo pensiero che esista una “popolazione araba”).

Ebbene, siamo a questo punto – e la Casa Bianca è scossa. Gli amministratori delegati di Axios, VandeHei e Mark Allen, hanno ammonito, mettendo nero su bianco:

“Non abbiamo mai parlato con così tanti alti funzionari governativi che, in privato, sono assai preoccupati… [dal fatto che] una confluenza di varie crisi arrivi ad essere una preoccupazione epica e un pericolo storico. Non ci piace sembrare catastrofici. Vorremmo però far suonare un allarme realistico, clinico e lucido: i funzionari statunitensi ci dicono che, all’interno della Casa Bianca, questa è stata la settimana più pesante e agghiacciante da quando Joe Biden ha assunto l’incarico, poco più di 1.000 giorni fa… L’ex segretario alla Difesa Bob Gates ci dice che l’America sta affrontando il maggior numero di crisi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, 78 anni fa…Nessuna di queste crisi può essere risolta e cancellata. Tutte e cinque potrebbero trasformarsi in qualcosa di molto più grande… Ciò che spaventa i funzionari è il modo in cui tutte e cinque le minacce potrebbero fondersi in una sola”.

Le cinque crisi sarebbero: l’allargarsi della guerra dovuto all’ingresso di Israele a Gaza; l'”alleanza antiamericana” tra Putin e Xi; l’Iran “maligno”; lo “scapestrato” Kim Jon Un  e la diffusione di video e notizie false.

Tuttavia, nel pezzo di Friedman sul NYT manca l’altra faccia della medaglia – perché il paradigma israeliano ha due facce; esiste infatti anche una sfera interna, separata dalla necessità esterna di far pagare un prezzo sproporzionato agli avversari di Israele. Il “mito” interno sostiene che lo Stato israeliano “ha l’appoggio dei suoi cittadini”, ovunque vivano gli Ebrei, in Israele e nei Territori occupati, negli insediamenti più remoti o nei vicoli della Città Vecchia di Gerusalemme. Si tratta di qualcosa di più di un contratto sociale; piuttosto, è un obbligo spirituale a cui dovrebbero sottostare tutti gli Ebrei che vivono in Israele.

Questo “contratto sociale” di sicurezza, tuttavia, è appena crollato. I kibbutzim nell’area di Gaza sono stati evacuati; venti kibbuz sono stati evacuati dal nord, così come 43 città di confine.

Queste famiglie sfollate avranno di nuovo fiducia nello Stato? Torneranno un giorno negli insediamenti? La fiducia è stata spezzata. Eppure, non sono stati i missili di Hizbullah a spaventare i residenti, ma le immagini dello scorso 7 ottobre nelle comunità alla periferia di Gaza. La recinzione violata in decine di punti, le basi e le postazioni militari invase, le città occupate dalle forze di Hamas, le uccisioni che ne sono derivate e il fatto che circa 200 israeliani sono stati rapiti e portati a Gaza non hanno lasciato nulla all’immaginazione. Se ci è riuscito Hamas, cosa fermerà Hezbollah?

Come nella vecchia filastrocca: Humpty-Dumpty fece una grossa caduta, ma tutti i cavalli del re e tutti gli uomini del re non riuscirono a rimettere insieme Humpty.

È questo che preoccupa il team della Casa Bianca. Non credono affatto che un’invasione israeliana di Gaza possa rimettere insieme “Humpty”. Temono piuttosto che le cose possano andare male per l’IDF e che le immagini trasmesse in tutto il Medio Oriente di Israele che usa una forza schiacciante in un contesto urbano abitato provochino una rivolta nella sfera islamica.

Nonostante lo scetticismo occidentale, ci sono segnali che indicano che questa insurrezione nella sfera araba è diversa e assomiglia molto alla Rivolta Araba del 1916 che aveva rovesciato l’Impero Ottomano. Sta assumendo un “taglio” distinto, poiché sia le autorità religiose sciite che quelle sunnite affermano che il dovere dei Musulmani è stare dalla parte dei palestinesi. In altre parole, mentre la politica israeliana diventa palesemente “profetica”, l’umore islamico diventa a sua volta escatologico.

Il fatto che la Casa Bianca faccia della disinformazione sui leader arabi “moderati” per indurli a fare pressioni sui palestinesi “moderati” e convincerli a formare a Gaza un governo favorevole a Israele, che spiazzi Hamas e imponga sicurezza e ordine, dimostra quanto l’Occidente sia lontano dalla realtà. Ricordiamo che Mahmoud Abbas, il generale Sisi e il re di Giordania (alcuni dei leader più malleabili della regione) hanno rifiutato categoricamente di incontrare Biden dopo il suo viaggio in Israele.

La rabbia nella regione è reale e minaccia i leader arabi “moderati”, il cui spazio di manovra è ora limitato.

I focolai si moltiplicano, così come gli attacchi agli schieramenti statunitensi nella regione. Alcuni a Washington sostengono di percepire la complicità iraniana e sperano di ampliare la finestra per una guerra con l’Iran.

La Casa Bianca, in preda al panico, sta reagendo in modo eccessivo, ha inviato (100) enormi aerei da carico con bombe, missili e difese aeree (THAAD e Patriot) in Israele, ma anche nel Golfo, in Giordania e a Cipro. Sono state dispiegate anche forze speciali e 2.000 Marines. Oltre a due portaerei e alle relative navi di scorta.

Gli Stati Uniti stanno quindi inviando una vera e propria armata in assetto di guerra. Questo non può che aumentare le tensioni e provocare contromosse: la Russia sta ora schierando sul Mar Nero i MiG-31 equipaggiati con missili ipersonici Kinzhal (in grado di colpire le portaerei statunitensi al largo di Cipro) e la Cina avrebbe inviato navi da guerra nell’area. Cina, Russia, Iran e gli Stati del Golfo sono impegnati in una frenetica attività diplomatica per contenere il conflitto, anche nel caso Hizbullah dovesse impegnarsi più a fondo nello scontro.

Per il momento, ci si concentra sulla liberazione degli ostaggi, creando molto rumore e confusione (voluta). Forse alcuni si aspettano che le speranze di liberazione degli ostaggi possano ritardare, e infine fermare, la prevista invasione di Gaza. Tuttavia, il comando militare israeliano e l’opinione pubblica insistono sulla necessità di distruggere Hamas (non appena saranno posizionate le navi statunitensi e le nuove difese aeree).

Sia come sia (l’invasione), la realtà è che le Brigate Qassam di Hamas hanno sconvolto i paradigmi interni ed esterni di Israele. A seconda dell’esito della guerra tra Gaza/Israele, le Brigate potrebbero ancora provocare un’ulteriore contusione sul corpo politico [Israele] tale da “innescare una conflagrazione globale  e far esplodere l’intera struttura di alleanze filo-americane costruita dagli Stati Uniti” (secondo le parole di Tom Friedman).

Se Israele dovesse entrare a Gaza (e Israele potrebbe decidere di non avere altra scelta se non quella di lanciare un’operazione di terra, date le dinamiche politiche interne e la spinta dell’opinione pubblica), è probabile che Hizbullah venga progressivamente attirato ancora di più verso lo scontro, lasciando agli Stati Uniti l’opzione binaria di vedere Israele sconfitto o scatenare una grande guerra in cui tutti i punti caldi si fondono “in uno solo”.

In un certo senso, il conflitto israelo-islamico potrà essere risolto solo in questo modo cinetico. Tutti gli sforzi compiuti dal 1947 in poi hanno solo visto la frattura approfondirsi. La necessità della guerra sta facendosi strada nella coscienza del mondo arabo e islamico.

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2023/10/26/escalations-cannot-be-stopped-the-white-house-is-rattled-escalations-might-all-fuse-into-one/
26.10.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

 

Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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