Legittima difesa (Nona azione dei Gilet jaunes)

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DI MICHEL ONFRAY

michelonfray.com

“Se tutti aggrediscono tutti, la società si disintegra.”
Macron, Lettera ai Francesi

Nona azione dei Gilet jaunes. Viene voglia di vomitare ascoltando i commenti dei giornalisti o dei filosofi come Ferryi o BHL ( Bernard Henri Levy) (5) che vogliono assolutamente associare la violenza ai Gilet jaunes mentre sono loro con i loro discorsi ai quali bisogna associare quelli del potere e di Macron, che fanno di tutto per crearla.
Mi riferisco per esempio al banchetto dell’epifania del quale Macron ha approfittato per schiaffeggiare di nuovo i Gilet jaunes. chiunque poteva ben capire il messaggio presidenziale quando ha detto: “Le difficoltà che attraversa la nostra società sono spesso anche collegate al fatto che che troppi nostri concittadini pensano che si possa ottenere senza lo sforzo di contribuire. Capita che troppo spesso si sia dimenticato che a fianco dei diritti di ciascuno dentro la Repubblica – e la nostra Repubblica non ha niente da invidiare a molte altre – vi sono dei doveri. E che non ci sia questo sentimento di sforzo, il fatto che ogni cittadino porti il suo mattone all’edificio con il suo impegnarsi nel lavoro.”

Questa dichiarazione è un autentico sputo in faccia a quelli che a metà del mese, pur lavorando duro e non essendo re dei professionisti dei sussidi né dei sovvenzionati, non possono più sostenere le loro spese fondamentali. Dopo l’analfabetismo, l’alcolismo, il tabagismo, l’intelligenza limitata dei poveri confrontata con il suo pensiero profondo, le persone che non sono niente perché non hanno niente, ecco una nuova variazione sul tema del disprezzo: l’ignavia dei poveracci. Chi è che crea l’odio? Chi è che lo semina? Chi è che non smette di utilizzarlo? Chi è che lo favorisce e lo alimenta mentre sarebbe in suo potere calmarlo?
Continuo a dire che la nostra epoca va in rovina sotto i colpi e le frecciate della morale dei benpensanti (“la moraline”) (1) I nostri tempi hanno messo dietro il falso moralismo la genealogia che un tempo, durante i Lumi, in un altra occasione emblematica, permetteva di domandarsi l’origine delle cose e non se bisognasse riderne oppure piangerne, come continuano a fare oggi senza posa gli animi contaminati da questo perbenismo.

Le catene di informazioni continue aspettano la battaglia, guatano la botta, diventano impazienti davanti alle folle calme: è il loro pane. Dei cretini che ci vengono descritti come giornalisti – uno di loro non ha smesso di parlare, alla vigilia, delle “tavole di legno” applicate alle vetrine delle banche…- fanno la posta alla minima bicicletta rovesciata o alla minima pattumiera versata al suolo per poter diffondere il messaggio della presidenza e del ministero degli interni : i Gilet jaunes sono violenti. Al di fuori delle dittature, non si era mai visto una così grande collusione tra il potere dello Stato e il giornalismo.

Facciamo della genealogia.

1 – IL TEMPO DELLE ROTONDE

Ricordo che all’inizio, al tempo delle rotonde, i Gilet jaunes rivendicavano delle cose semplici: pane e dignità. Niente altro. Non sono contrari alle tasse come dicono altri cretini che raccontano storie; infatti dove e quando l’avrebbero comunicato? Una sola frase di un solo Gilet jaune che dicesse che non voleva più pagare per niente le tasse e io mi inchino… I Gilet jaunes hanno detto solo due cose. La prima: “non rifiutiamo di pagare le tasse, ma perché, mentre dovrebbero finanziare dei servizi pubblici, le vediamo invece di scomparire dentro le province? Noi paghiamo tasse dirette ed indirette e le scuole chiudono, le maternità e gli ospedali anche, e pure le Ferrovie e le piccole stazioni di campagna. Vi sono dei progetti sulle periferie per i quali i miliardi scorrono da anni, e su quello nessuno ha niente da ridire, ma perché non c’è contemporaneamente nessun progetto per le campagne? ” Dunque non c’è il rifiuto delle tasse, ma la rivendicazione del diritto di controllare per sorvegliarne l’uso, cosa che non ne fa una rivendicazione di destra o di estrema destra o peggio ancora poujadista, ma che è chiaramente repubblicana.

Ricordo che l’articolo 13 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo stabilisce questo: ” Per mantenere la forza pubblica e per le spese dell’amministrazione è indispensabile una tassazione comune che deve essere ugualmente ripartita tra tutti i cittadini in ragione delle loro possibilità.” L’articolo seguente da parte sua dice questo: “I cittadini hanno il diritto di controllare essi stessi o per mezzo dei loro rappresentanti, l’opportunità delle tasse, di accettarla liberamente, di seguirne gli impieghi e di determinare le aliquote, la base imponibile, la riscossione e la periodicità.”

Questi due articoli trasformano la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in un breviario dell’odio? in un manifesto poujadista? in un trattato di estrema destra? un segnale rosso-bruno di rifiuto delle tasse? Andiamo! Bisogna mantenersi ragionevoli …
I Gilet jaunes non chiedono altro che il rispetto dei diritti dell’uomo: nessuno di loro ha mai parlato in assoluto contro le tasse in sé, sul principio delle tasse, perché tutti sanno che la forza pubblica e l’amministrazione dello Stato sono indispensabili e che bisogna finanziarlì. Nessuno ha augurato l’abolizione della polizia e dell’esercito, della funzione pubblica degli impiegati statali nelle scuole, negli ospedali, nelle stazioni e neppure nell’amministrazione della riscossione delle tasse dato che chiedono persino la stabilità e l’allargamento del servizio pubblico.

Piuttosto si augurano, e questo è il contenuto dell’articolo 14, che le tasse siano ugualmente ripartite tra tutti i cittadini ” in ragione delle loro possibilità “. Hanno per esempio l’impressione che Carlos Ghosn e le grandi imprese GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon), non paghino tasse proporzionali alle loro possibilità. Contemporaneamente sanno di pagare il massimo direi, perché la tassa sul diesel era un’imposta che si abbatteva chiaramente sui più modesti che lo Stato prendeva in tal modo esplicitamente per il collo. E non mi dite che Gohan viaggia o forse viaggiava soltanto su automobili ibride con autista, automobili pagate dall’Erario, dunque dal contribuente- oppure su un jet privato il cui kerosene non è inquinante… dato che non è tassato! E da qui si vede anche che l’ecologia era soltanto un pretesto.

Dall’altra parte i Gilet jaunes vogliono anche, in questo caso secondo il contenuto dell’articolo 15 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, constatare di persona la necessità delle tasse! “Di persona” perché col tempo hanno capito che i loro rappresentanti non li rappresentavano affatto su questo terreno perché erano contemporaneamente giudici e parti in causa. I Gilet jaunes vogliono approvare liberamente le tasse, ma non essere gli unici a subire ciò che Macron impone loro, nel momento in cui ne esenta i più ricchi.

Vogliono avere la possibilità di dire la loro sulle aliquote, sulla base fiscale, sulla riscossione e la periodicità delle tasse: in altre parole, vorrebbero che le imposte venissero stabilite dal popolo, per il popolo, e non subirle quando sono ordite dai politicanti “populicidi” di Maastricht. I Gilet jaunes sanno in effetti che le tasse di Macron, quando le fa ricadere sui Campagnoli che si spostano con delle vecchie automobili diesel e non con degli aerei privati, non sono eque, né giuste, né proporzionate in modo equo: è una tassazione che si mostra debole coi forti e forte con i deboli.

2 -IL TEMPO DEL PAVÉ

Il tempo delle rotonde è stato seguito dal tempo delle pavimentazioni . Il movimento è diffuso, vario, multiforme e soprattutto provinciale. È il tempo in cui la France insoumise (7) fa progressi e si tappa il naso. Clementine Autain (2) afferma che non parteciperà alla manifestazione del 17 novembre 2018: troppi zoticoni, troppe donne, troppi bifolchi, troppi provinciali, troppi veri poveri, e non abbastanza gente che si sia rifatta il look secondo Terra Nova (3).

Questa sinistra intellettuale e cittadina, mondana e parigina non ama questa gente di vecchio stampo che ritiene troppo vicina a Marine Le Pen – e per forza , questa sinistra di Saint-Germain-des-Prés ha voltato la schiena a questa gente, che si è rivolta a coloro che la accoglievano: la forza del Rassemblement National (4) comincia col disprezzo di questa sinistra mondana per questa gente semplice e modesta che oggi ricompare in giallo. Questo famigerato gruppo di pensatori di Terra Nova ha invitato a buttare nella pattumiera della storia questa gente per preferirle il nuovo Popolo costituito dalle frange di questo stesso popolo, esponenti del femminismo e LGBT, immigranti e emarginati per razzismo, come si dice nel vocabolario neo-razzista, fallocrati, misogini, violenti e antisemiti delle periferie, purché questo sia in nome dell’Islam.
Questo nuovo popolo non è un anti-popolo e nemmeno contro il popolo, ma è una parte del Popolo, una parte e non il suo totale. Una parte non può rivendicare di essere il tutto, a meno di un colpo di stato ideologico. La sinistra culturale, l’estrema sinistra, la sinistra mondana parigina hanno fatto questo colpo di stato ideologico senza vergogna : questa gente che ” fuma delle cicche e viaggia su vetture diesel “, detestata da Griveaux che viene dalla sinistra di Maastricht, la sinistra culturale l’ha invitata a farsi vedere dai Le Pen. E lei c’è andata.
A parte Bernard Henri Levy (5) che parla per lei, Ferry(6) che lo accompagna sul sedile posteriore del suo veicolo ideologico, il silenzio della sinistra snob (di Saint Germain des Prés) così pronta a mobilitarsi per le grandi cause umanitarie, purché non odorino di nicotina e di gasolio, fa impressione. Dove sono In effetti i cantanti gli attori, i commedianti e gli scrivani, gli sportivi e gli artisti, la gente e gli umoristi che a volte lucidi, si presentano di quando in quando come dei figli di buona donna? Se evitiamo il pregiudizio che fa di questo popolo disprezzato dalla sinistra mondana un gruppo di cattive camicie brune, fasciste, razziste, omofobe, antisemite, sorelliane, complottiste, populiste, e si vuole procedere a considerare la genealogia del rifiuto di questa gente che, uscita dalla porta, ritorna dalla finestra, è chiaro che bisogna ringraziare. ****
Il tempo delle pavimentazioni è quello dei recuperi. È sempre un momento strategico determinante nell’economia delle rivoluzioni ai loro esordi. e anche il momento più pericoloso. I sanculotti, le sezioni, la comune di Parigi e gli Arrabbiati , portavoce del Popolo dopo il 1789, sono stati strumentalizzati da Robespierre e dai suoi. Al fondo di questo cammino c’erano la Legge sui sospetti, il tribunale rivoluzionario e la ghigliottina.

Non si capiscono le tergiversazioni di Mélenchon (7) e dunque della France insoumise che lo segue pensando ai propri interessi, se non alla luce del suo opportunismo di carrierista. Come parlare di convinzioni a proposito di un uomo che è stato per così lungo tempo senatore Socialista, ministro di Jospin, ammiratore ancora oggi di Mitterrand (al punto di scimmiottarlo a volte con il cappello nero e la sciarpa rossa… ), ma soprattutto fervente partigiano e turiferario dello stato di Maastricht a favore del quale ha fatto campagna nel 1992, un programma che non ha criticato se non molto tempo dopo per farne la sua base di scambio di oggi?
Non confondo gli elettori ed i simpatizzanti e neppure i membri della France insoumise con il loro capo Mélenchon. Ho già espresso la mia simpatia politica per Francois Ruffin.(8) Ma bisogna avere la memoria corta per non ricordarsi che Mélenchon ha preso le parti dei Gilet jaunes molto dopo che avevano dimostrato la loro forza e la loro pervicacia. Aderisce, ma come la zecca al cane.

E neanche dimentico che sempre per delle ragioni elettorali, e niente affatto per il bene del Popolo e del paese, Mélenchon oscilla tra due linee: un raggruppamento di sinistra vecchio stile o la federazione di un sovranismo di sinistra. Sono due linee di frattura perché separano la sinistra liberale, maastrichtiana ed ecologista di Hamon dalla sinistra antiliberale, anti-maastrichtiana. La sinistra di Hamon ha fallito dopo il 1992, pur avendo avuto pieni poteri. Aveva per obiettivo di realizzare il programma dello Stato Maastrichtiano, la cui polizia malmena oggi i Gilet jaunes per le strade. Hamon dovrebbe essere modesto, tutta la sua carriera politica si è svolta contro queste persone che oggi affermano di averne fin sopra i capelli.
Mi piace nella France insoumise la linea sovranista di sinistra. Però Mélenchon non sa se questo è elettoralmente redditizio. Ecco la ragione per cui non la sostiene pur avendo tentato due o tre sortite sperimentali in questa direzione.

Per il momento ha chiaramente espulso senza cerimonie per il solo fatto di essere il principe rosso, due persone di qualità che incarnano questa linea di forza : Giorgie Kuzmanovich e Francois Cocq. Questi due avrebbero dovuto essere le punte di diamante di una linea che abbandona la sinistra mondana, urbana e parigina, spesso Islamo-sinistrorsa, che pesa molto nel programma elettorale di Mélenchon.

Questo gesto politico degno di un dittatore di altri tempi mostra che Mélenchon decide la linea politica da solo o con la guardia di pretoriani ai suoi ordini. Se perlomeno lo dicesse chiaro e netto, perché no? Ma lui si esprime obliquamente, Cerca, e si cerca, e poi trionfa meno nel coraggio politico di una linea chiara piuttosto che in ciò che sa fare meglio : l’arringa mediatica, nel solco della vecchia politica dei politicanti.

Ed eccolo fare l’elogio di Enrique Drouet confessando di esserne affascinato -la parola è forte ma Mélenchon non ama niente più che genuflettersi davanti ai leader virili. Perché Drouet è anche il nome di un personaggio della Rivoluzione francese e questo mette in trance il leader minimo. Chi era costui? niente meno che il delatore che a Varenne ha consegnato il re e tutta la sua famiglia. Ora Luigi XVI non è un assassino, non ha fatto sparare sulla folla, non ha instaurato niente che assomigliasse, sul terreno dell’ingiustizia, a un tribunale rivoluzionario dove è impossibile difendersi, né, circa il metodo di applicare questa giustizia, ha messo la ghigliottina in piazza. Drouet è anche l’uomo che, eletto alla Convenzione come ricompensa per questa denuncia che ha mandato a morte un uomo, una donna ed un bambino, e scusate se è poco, può proclamare dalla tribuna:”È il momento di versare il sangue dei colpevoli. Non abbiamo bisogno della nostra reputazione in Europa. Da tutte le parti non vi chiamano forse scellerati, briganti, assassini? Ebbene, dato che la nostra virtù, la nostra moderazione, le nostre idee filosofiche non ci sono servite a nulla, diventiamo briganti per il bene del popolo. Dopo la rivoluzione, l’uomo divenne viceprefetto a Sainte-Menehould, una città ben conosciuta per il suo zampone e finì come pasticcere a Mâcon e questo nello scritto di Mélenchon diventa “Il Drouet di Varenne è restato un rivoluzionario repubblicano fino all’ultimo respiro.” Non ci risulta tuttavia che abbia rivoluzionato la pasticceria.

Quando Melenchon era trotzkista il suo pseudonimo era Santerre. E chi era Santerre? Il comandante della Guardia Nazionale che ai piedi del patibolo fece rullare i tamburi per impedire alla folla di sentire ciò che Luigi XVI voleva dire prima di essere assassinato e anche l’uomo che a gran voce chiese un incarico per andare a compiere dei massacri in Vandea – un’idea di Robespierre – e vi si rivelò tanto inetto che fu richiamato a Parigi. Speculò sui beni nazionali ma fu anche là talmente maldestro che fece fallimento e morì in rovina. Quando nomina i suoi eroi della Rivoluzione francese e quando non sceglie Robespierre il tiranno, Mélenchon propone i nomi di un delatore e quello di una nullità trasformata in trafficante: Santerre. Per quel che riguarda lui che passa per un uomo colto secondo i giornalisti incolti, e particolarmente sulla rivoluzione francese, la scelta dei suoi riferimenti illustra la sua vera natura. Sarebbe positivo che Mélenchon si impadronisse dei Gilet jaunes nel modo in cui Dolmancé possiede l’Eugenia del Marchese de Sade? Non credo.

C’è un altro recupero, e mi sembra ben più pericoloso perché ha l’appoggio e il sostegno del potere, è quello dei “casseurs” (vandali) chiamiamoli così. Qualunque cronista dell’attualità sa che esiste da molti anni una frangia di individui per i quali la violenza è rivoluzionaria in sé o perlomeno che credono che darebbe l’inizio all’avvento di una società senza classi.

Troviamo queste milizie armate ai vertici del G20, a Notre-Dame-des-Landes, a Davos, nel corso degli incontri internazionali o durante i Summit dei capi di Stato; sono presenti anche alla più piccola manifestazione sindacale ma più o meno sono contenuti dal servizio d’ordine dei sindacati. Sappiamo delle loro imprese riferite da molti telegiornali da anni, ben prima dei Gilet jaunes.

Questi miliziani lasciano delle tracce con delle scritte chiaramente di estrema sinistra fatte con le bombolette di vernice : sono stati abbondantemente fotografati e filmati sopra L’Arco di Trionfo. Si poteva leggere questo: “Giustizia per adama” “Anarchia ” e la sua sigla, una A in un cerchio”, “L’ultradestra perderà “, delle scritte di estrema sinistra ed anche molti altri slogan tra i quali c’era un “I Gilet jaunes vinceranno “.
È stupefacente che “Le Parisien “, Vingt minutes “, France-info TV, “Paris Match”, LCI, per prendere solo alcuni media consultabili sulla rete e che arrivano tra le prime indicazioni quando si batte la ricerca “graffiti Arco di Trionfo”, pubblichino delle foto dalle quali sono stati cancellati tutti gli slogan salvo l’ultimo. Le frasi di tutti i colori, di tutte le grafie che macchiano il monumento sono scomparse miracolosamente dalle fotografie, salvo questa qua che indica esplicitamente i Gilet jaunes come soli ed unici scrittori sui muri…
Ho già detto il mio stupore che dei “casseurs” possano disfare il pavimento della Avenue des Champs-Elysées sotto lo sguardo delle telecamere che diffondono le immagini in diretta senza che il Ministero degli Interni dia l’ordine di fermarli per impedire ciò che sarà inevitabile dopo che le pavimentazioni saranno state demolite: (i sassi) saranno lanciati sulla polizia e nelle vetrine… Sembra che il principio di precauzione, così caro al politicamente corretto quando bisogna far marcire la vita del cittadino lambda, cessi di essere di attualità quando si tratti di impedire i danneggiamenti.

Si capisce il giorno dopo perché questi danneggiamenti sono stati necessari al potere : perché permettono ai giornalisti di piantare le loro telecamere davanti a una delle tre o quattro vetrine rotte sugli Champs Elysées per illustrare la loro diretta televisiva che mostra infinite variazioni sul tema dei selvaggi che hanno danneggiato la più bella strada del mondo! E così frattanto non si parla delle rivendicazioni civili e repubblicane dei Gilet jaunes: si fa vedere invece con il sostegno di queste immagini che sono tutti dei “casseurs” che distruggono, sporcano, rompono, sbriciolano, bruciano, incendiano senza chiedersi una sola volta perché, mentre tutti i francesi hanno potuto vedere tranquillamente sui loro schermi svolgersi questi avvenimenti, la polizia non sia intervenuta… in piazza Beauvau, la parola d’ordine era: “Lasciate che smontino il pavè, lasciate che lancino, con questo li screditiamo….”

Non vedremo mai i giornalisti che filmano le i danneggiamenti prelevare un Casseur per fare il loro lavoro di giornalisti e chiedere a questi chi è, che lavoro fa, qual è il suo titolo di studio, da dove viene, quanto guadagna ogni mese, e quali sono le sue rivendicazioni. Eppure l’intervista per strada fa parte degli strumenti del mestiere per i fannulloni ideologizzati. Il giornalista lascia credere che interpella a caso qualcuno che passa di li e a cui domanda un parere, mentre invece ha accuratamente selezionato il pollo a cui farà tenere il discorso ufficiale della trasmissione. La scelta dei piccioni fa parte del mestiere. Ma non vedremo mai un “casseur” filmato e interrogato verbalmente da un giornalista perché dia testimonianza, anche a viso coperto: e ciò per una buona ragione, in quel caso si scoprirebbe che questi violenti sono la per la violenza e che a loro basta mettersi una casacca gialla per confondersi tranquillamente nella folla e intanto screditare l’intero movimento insieme ai servizi del ministero degli interni e dei giornalisti, degli editorialisti e degli intellettuali del sistema Maastricht.

Bisognerebbe anche disporre di alcune informazioni sull’ infiltrazione dei “casseurs” per opera della polizia. È una storia vecchia come il mondo. Si sa bene che il potere ha interesse a creare la violenza per strumentalizzarla poi affermando che viene da qualche altra parte.È l’abc del mestiere mandare dei funzionari di polizia a fomentare la violenza che aggrega il malcontento di quelli che a buon diritto si trovano nella strada perché hanno già dei motivi per non essere contenti. Il primo che sradica un palo di segnaletica, picchia su una vettura, butta per terra una bicicletta, brucia un’automobile, scrive con lo spray su una vetrina o la sfonda, crea un vuoto d’aria nel quale sì affollano delle persone surriscaldate dagli slogan della folla, del sentimento di fratellanza delle masse, nel delirio allegro delle riunioni, dal rumore dei petardi e delle sirene. Non c’è bisogno di aver letto “La psicologia delle masse” di Gustave Le Bon o “Massa e potere” di Elias Canetti per sapere come condurre una folla dove si vuole, per il meglio ma molto più spesso per il peggio. È in questa prospettiva che bisogna inserire l’epopea del boxeur che fa arretrare da solo alcuni poliziotti con il casco, armati, protetti dal Kevlar delle loro giacche, il plexiglass dei loro schermi, il loro addestramento all’assalto perché questo è il loro mestiere. Quest’uomo da solo colpisce, colpisce, colpisce e mette in ritirata la Polizia dello Stato; tutto questo davanti alle telecamere di tutto il mondo.
Le immagini di questa scena incredibile sono state mostrate dai media del sistema dopo essere state montate. Fuori dal montaggio, quando si fa vedere anche quello che non è stato inserito nel montaggio, il filmato originario, si vede bene lo scatenamento di violenza della polizia contro un gruppo nel quale si trova il nuovo Marcel Cerdan (8), prima di dare di matto. Si escludono le immagini precedenti perché spiegano le immagini che seguono e che sono isolate e diffuse: si tratta di far vedere una violenza che non ha nessuna origine e che sarebbe causa e fine a se stessa. Una violenza la cui causa sarebbe solo il carattere delinquente del boxeur.
Poi basta trasformare questo pugile in una figura emblematica dei Gilet jaunes per farne Il portavoce ideale:” vedete come sono tutti? Guardate quest’uomo che colpisce coi pugni senza motivo. È tutto lì. Nè i difensori del sistema, nè le vittime del sistema si sono fatti imbrogliare.

Dalla parte dei difensori del sistema, il vertice è stato toccato da Luc Ferry (9) che ritiene che uno dei più grandi eserciti del mondo dovrebbe risolvere il problema sparando – con delle armi non letali dirà il giorno dopo per lo scandalo, – fingendo di ignorare che queste armi non letali sono già state tanto utilizzate fin dall’inizio che hanno sfigurato un grande numero di persone. Nella sua idea si trattava sicuramente di armi letali perché -se non si vuole disprezzare la logica- non si capisce come si potrebbe consigliare di utilizzare delle armi il cui uso avviene da settimane.

Dalla parte delle vittime del sistema, è stata organizzata una colletta. Il sistema l’ha usato per la sua propaganda: “una colletta per pagare quelli che vogliono uccidere i poliziotti.” Chi l’ha detto? Quando? Dove? Questa è stata iniziata da gente che sa che quando ci si trova tra le mani della Giustizia che per giunta è la giustizia dello Stato e ci si deve opporre a questo freddo mostro, è meglio non essere privi di risorse economiche. Questa solidarietà è quella dei poveri nei confronti l’uno dell’altro e non una ricompensa per chi avrebbe invitato ad uccidere la polizia! Ci sono soltanto quelli che pagano e si fanno pagare per qualunque cosa che non capiscono che il denaro qui è il nerbo di una guerra giuridica. Per intanto, il pugile è in prigione. È meglio menare dei poliziotti in sperduti territori della repubblica, dove chi colpisce non ha paura di nulla piuttosto che nel centro di Parigi in un giorno di scontri, preso tra il potere che manda le forze dell’ordine per mantenere un ordine ingiusto e le persone che si fanno picchiare per aver chiesto invano pane e dignità per settimane. Il potere ha organizzato una contro colletta per i poliziotti. Mi ha divertito sentire gli argomenti di quelli che hanno notato che le offerte arrivavano soprattutto a blocchi e di notte e questo pone la domanda di un robot a scatti (robot à click) – se osassi direi un robot a poliziotti (robot a flick- gioco di parole intraducibile) e delle contro argomentazioni non del tutto convincenti del responsabile del sito incriminato.

I Francesi amano loro polizia, a parte qualche sinistrorso retrogrado. Sanno che il corpo repubblicano di sicurezza non è fatto da SS, e neanche i gendarmi della “Celere”, neanche i poliziotti lo sono, perché sono ben spesso anch’essi dei proletari dello Stato Maastrichtiano, con paghe modeste, condizioni di lavoro penose, mancanza di sostegno dello stato in quei casi che la stampa della sinistra culturale presenta come “macchie”. Qualcuno che guarda la mia TV via web mi scrive discretamente per raccontarmi il suo quotidiano che è più vicino a quello dei Gilet jaunes che a quello degli approfittatori dello stato di Maastricht che essi professionalmente sono malgrado tutto obbligati a proteggere a difendere.
Dopo i Robespierre imboscati, i teppisti mascherati, bisogna temere anche il recupero da parte del Rassemblement national. Infatti questo partito oscilla da anni veleggiando tra l’ultra-liberismo di Jean Marie Le Pen e l’ultra-protezionismo della linea Philippot; tra l’omofobia del premier e l’omosessualità del secondo, tra l’antisemitismo del padre e il filosemitismo della figlia, tra la compiacenza per Pétain, Vichy, l’esercito nazista, l’Algeria francese del genitore e la confessione fatta dalla figlia che la Shoah è stata la più grande catastrofe del suo secolo, ci si perde.

Se prendiamo atto che il Rassemblement national non è più il Front national, perchè un cambio di guida ed un nuovo nome non sono poca cosa, le cose non sembrano più chiare: tra l’ultraliberalismo del nonno ripreso e sostenuto dalla sua nipotina Marion Marechal, molto seguita nel partito, e il protezionismo sociale della zia, qual è la linea del Rassemblement national? E poi l’abbiamo visto durante il famigerato dibattito tra i due turni delle elezioni presidenziali, che ne sarà dell’Euro? Della moneta unica? Dell’Europa? Ci serve un Frexit? Dobbiamo uscire dallo Stato di Maastricht? È immaginabile ritornare al Franco? Potrebbe esistere una moneta comune in luogo di una moneta unica? Su questi argomenti Marin Le Pen fa dei bei slalom.

Il movimento dei Gilet jaunes è ben chiaramente l’espressione di una sofferenza indotta dallo Stato Maastrichtiano dal 1992. Imedia del regime continuano a evitare questa domanda che è totalmente assente dai dibattiti, peraltro numerosi, perché è questa la vera origine di ciò che sta avvenendo.

Infine la genealogia delle genealogie del movimento dei Gilet jaunes, è quella: lo stato di Maastricht schiaccia i più deboli da più di un quarto di secolo mentre rende favorevole la globalizzazione per una aristocrazia arrogante e cinica, autosufficiente e insultante.

Non si vede che Marine Le Pen abbia voglia di rimettere in discussione questa stato con una proposta riguardo alla quale io penso che dovrebbe essere comunarda-libertaria per poter permettere un reale potere del popolo attraverso il popolo e in favore del popolo. Sotto la pressione della realtà, Marine Le Pen a Matignon o all’Eliseo non sarebbe altro che il ritorno di Charles Pasqua.

3 IL TEMPO DELLE PROVINCE.

La nona azione sembra aprire un terzo tempo: quello delle Province. E contemporaneamente anche il tempo dei bracciali bianchi. Dopo il tempo delle rotonde, il tempo delle pavimentazioni, ecco che arriva il tempo delle province. ” Andare a Parigi ” era invitante: è il luogo del potere, è la città del cinismo e dell’opportunismo, è il campo d’azione dei Rastignac, vi si trova tutta la Francia di alto bordo che tiene in un pugno di ferro tutta la Francia di basso lignaggio. La voglia di andare A stuzzicare quella gente era comprensibile. ma era come gettarsi nelle fauci del lupo. Il centralismo dello stato francese dopo Filippo il Bello, confermato da Luigi XIV, dai Giacobini del 1793, da Napoleone, da Pétain o dal Generale De Gaulle, ha fatto della capitale la testa – come conferma l’etimologia- di un corpo fatto di province sfruttate e sottomesse. Questa testa, sempre etimologicamente, si nutre del sangue e dell’energia delle regioni. I girondini, decapitati da Robespierre e dai suoi, non hanno chiesto a caso che Parigi fosse ridotta a un 83o della sua influenza – detto In altre parole : che questa città pesasse tanto come un altro dipartimento francese e non di più.
Il ripiegamento strategico in provincia, con la sua dispersione geografica rende il movimento imprendibile dalla polizia, dall’esercito e dai giornalisti che hanno la loro base a Parigi. Diventa incontrollabile e i “casseurs” che sono pochi non potranno essere dovunque. L’infiltrazione da parte della polizia non è più possibile per le stesse ragioni. Tanto più che in provincia tutti si conoscono tra di loro ed è più facile individuare i “casseurs” che vengono da fuori, il Gilet jaunes che sbanda spinto da loro o il poliziotto che che lavora a ciò che un tempo si chiamava Informazione generale. Un solo focolaio parigino si infiltra facilmente: è un caso di scuola per le forze dell’ordine. Una molteplicità di focolai dispersi, sparpagliati, da meno segni di debolezza che la testimonianza di una forza unica formata altrove e in altro modo. Se si dovesse ricorrere a delle similitudini militari, rimandiamo a ciò che Clausewitz chiamava la piccola guerra, la guerriglia, capace di tenere testa alla grande guerra di vecchio stile. Precisiamo che questa guerriglia deve essere pacifica: la non violenza è superiore alla violenza per arrivare ai propri obiettivi. La comparsa dei bracciali bianchi che distinguono il servizio d’ordine è il primo passo positivo verso l’organizzazione necessaria per mettere ai margini gli opportunisti (le carogne) della politica politicante, tutti senza eccezione, e per tagliare alla radice qualunque velleità di strumentalizzazione mediatico politica.

Lasciare i viali di Parigi, tornare in provincia, dove tutto è cominciato, ma non più sulle rotonde, ecco ciò che ha un senso. Incaricare i bracciali bianchi del servizio d’ordine, è un altro segno che dal disordine può nascere un ordine nuovo. Ed ecco una spinta un’energia che prende forma, e dunque forza. Le province sono i luoghi storici di questa rivolta contro lo stato maastrichtiano diventato impero. Creare un parlamento che deliberi in ciascuna di esse, ma non soltanto, sarebbe un gran passo. Andare in municipio per rispondere alle domande del catechismo maastrichtiano proposte da Macron non è la soluzione: egli affumica e imbroglia, e non gliene importerà nulla, l’ha già detto, non cambierà opinione. Ecco che è arrivata l’ora dei girondini contro i giacobini. Questa nona manifestazione potrebbe bene essere il primo atto di una nuova rappresentazione.
Staremo a vedere.

 

Michel Onfray

Fonte: https://michelonfray.com

Link: https://michelonfray.com/interventions-hebdomadaires/une-legitime-defense?mode=video

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIAKKI49

gennaio 2019

 

Note a cura del Traduttore:

(1) La moraline è un termine inventato da Friedrich Nietzsche (das Moralin) per designare per scherno la morale dei benpensanti. Il suffisso “ -ine” di moraline è collegato alla parola “morale” come a richiamare un prodotto farmaceutico immaginario che farà acquisire una buona moralità.
(2) Clémentine Autain, nata il 26 maggio 1973 a Saint-Cloud (Hauts-de-Seine), è una donna politica e giornalista francese, membro di Ensemble ! Organizzazione fondata nel 2013 che fa parte del Fronte della sinistra. È stata consigliere di Parigi con l’incarico delle attività giovanili dal 2001 al 2008. Dal 2014, è Consigliere municipale della Città di Sevran, poi consigliera regionale del dipartimento di Parigi –Île-de-France . Nel Luglio 2017, eletta deputata nella circoscrizione di Seine-Saint-Denis sotto il simbolo di La France insoumise.
(3) Terra Nova è un think tank progressista indipendente che ha per programma di produrre e diffondere soluzioni politiche innovative in Francia ed in Europa.
(4) Ressemblement National – Partito guidato da Martine Le Pen
(5) BHL : Bernard-Henri Lévy è un filosofo, giornalista e saggista francese, noto in Francia anche con la sigla BHL, dalle iniziali del suo nome. Wikipedia
(6) Luc Ferry Filosofo e politico francese. È stato ministro dell’istruzione dal 2002 al 2004 nel governo del primo ministro conservatore Jean-Pierre Raffarin, presidente Chirac
(7) La France insoumise (letteralmente “La Francia indomita”, abbreviata FI, rappresentata ufficialmente con il simbolo della lettera greca phi (φ)) è un movimento politico francese di sinistra radicale, lanciato il 10 febbraio 2016 per promuovere la candidatura di Jean-Luc Mélenchon (9) alle elezioni presidenziali del 2017 e alle legislative, ed applicare il programma L’Avenir en Commun (“Il Futuro Comune”)
(8) Marcellin “Marcel” Cerdan è stato un pugile francese. Fu campione del mondo dei pesi medi dal 21 settembre 1948, sconfiggendo Tony Zale per arresto del match all’inizio del 12º round, al 16 giugno 1949, quando fu battuto per KOT al 10º round da Jake LaMotta. Wikipedia
(9) Jean-Luc Mélenchon è un politico francese, fondatore nel 2008 del Partito di Sinistra. È stato candidato alle elezioni presidenziali del 2017, senza il Fronte di Sinistra, ma in nome del movimento “La France Insoumise”, fondato per sostenere la sua candidatura nel febbraio 2016. Wikipedia

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