Lamento di un incompetente

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Di Nestor Halak

“These are by no means a provision of the treaty. These are the proposal of the Ukrainian side, which we consider a constructive step towards finding a compromise and which will be considered by Russia and an appropriate response will be given”.

Parole del delegato russo ai recenti colloqui di pace ad Istambul. Seguite, peraltro, dalla sospensione delle operazioni militari nelle aree di Kiev e Chernihiv. Mi paiono parole (e fatti) piuttosto preoccupanti.

Ad essere sincero, fin dall’inizio questa “operazione speciale” del Cremlino in Ucraina non mi ha troppo convinto. Mi pareva innanzi tutto fuori tempo: tutta la stampa occidentale stava paventando da mesi l’invasione russa,  e con questo uno dei fattori più importanti in un’operazione militare, la sorpresa, era irrimediabilmente compromesso. Per di più Mosca aveva continuato a negare decisamente fino al giorno prima, perdendoci dunque anche in credibilità. Mi chiedo: un’operazione simile non sarebbe stata di gran lunga più facile nel 2014 dopo la disfatta ucraina a Debaltsevo? Sarà forse che forse all’epoca i russi non erano pronti, ma allora perché non in momento qualsiasi degli otto anni trascorsi, quando l’”invasione” non era sbandierata ogni giorno in televisione?

Tutto il contesto, insomma, faceva pensare ad una trappola predisposta dagli americani per costringere la Russia a intervenire massicciamente in una guerra fratricida (si tratta di combattere una popolazione molto affine in un territorio che da secoli faceva parte integrante e significativa del mondo russo, non un tradizionale nemico!), per possibilmente incastrarla in gravi problemi politico militari che avrebbero finito per limitarne massicciamente il potere, magari ottenere l’agognato cambio di governo e forse persino lo smembramento. Tutto ciò quasi gratuitamente, usando gli ucraini (e i russi), come carne da cannone.

Le dimensioni dell’invasione, inoltre, sono subito apparse molto ambiziose, di gran lunga superiori a quanto avrei mai previsto, e nello stesso tempo le forze impiegate assurdamente esigue rispetto al probabile bisogno: non occorre essere analisti militari per sapere che una forza attaccante, per avere buone probabilità di successo, deve essere in numero largamente superiore ai difensori, anche se ha la superiorità aerea, regola assolutamente non rispettata in questa circostanza.

Anche  la conduzione delle operazioni è stata fin dall’inizio piuttosto morbida e rilassata, “ a bassa intensità”, quasi si trattasse più di un’esercitazione che di una guerra. Non si avvertiva risolutezza, la volontà di decimare l’esercito nemico, di infliggere i maggior danni possibili e non solo di mettere fuori uso l’infrastruttura militare necessaria per una guerra moderna, cosa che invero è stata ottenuta fin dai primi giorni. Al contrario, gli ucraini parevano agire con criteri completamente contrari e molto feroci. Se da profano mi fosse stato chiesto come avrei programmato un’operazione del genere, avrei senz’altro pensato di dover scatenare immediatamente un colpo il più duro possibile con tutti i mezzi disponibili, con la sola eccezione del nucleare e del mantenimento di una riserva sufficiente. Al contrario abbiamo assistito (e assistiamo) al prosieguo del funzionamento di tutte le infrastrutture ucraine: ferrovie, strade,  televisione, internet, telefonini, illuminazione in quasi tutto il paese, tranne dove sono gli stessi ucraini ad impedirlo. Addirittura il gas continua a fluire attraverso i gasdotti ucraini verso paesi che si sono auto dichiarati nemici: drôle de guerre, direbbero i francesi.

Ma la guerra è la guerra, un gioco dove spesso la posta è la sopravvivenza, non si tratta di una partita di calcetto. E l’Ucraina non è l’Iraq, siamo di fronte ad  un grande paese con un grande esercito che combatte davvero e non è lì per figura.

In altre parole l’operazione in sé e le sue modalità, mi sono apparse fin dall’inizio, in molti sensi,  poco opportune. Ma è da dire che io non ho conoscenze specifiche sulla materia, non ho fatto studi a riguardo né ho avuto esperienze formative. Come per l’affare pandemia, sono solo uno che si informa e cerca di farsi un’opinione sensata a partire da letture e fatti che riesce a racimolare attraverso fonti informative raramente certe, per cui non potevo che presumere – e non posso che presumere – che chi le decisioni le prende, e le ha prese davvero, conosca la situazione molto meglio di me ed abbia competenze, consiglieri e mezzi infinitamente maggiori. Vladimir Putin, inoltre, gode fama di statista molto capace e di fine stratega: possibile non veda ciò che io vedo? Sicuramente no, perciò deve necessariamente sapere molto meglio di me cosa sta accadendo e quali sono le decisioni più remunerative. Così mi sono adeguato.

Siccome ciò che va in onda nei media occidentali è quasi tutto e soltanto propaganda, e dopo l’esperienza pandemica non ho certo voglia di subirmi sciocchezze ventiquattro ore al giorno,  ho preso a frequentare siti di analisti politici e militari che mi sembravano più seri e degni di fiducia, come The Saker, Martyanov o South Front, i quali, specialmente i primi due, mostravano sicurezza e approvazione argomentati, e sembravano ritenere l’operazione assolutamente ragionevole, fattibile e vincibile in termini militari e politici, per cui ancora di più mi sono rassicurato: se lo dicono loro che ne capiscono senza dubbio molto più di me, chi sono io per contraddirli? Mi sono quindi lasciato guidare nei giudizi e ho pensato che, come loro sostenevano, l’evidente rallentamento delle operazioni non fosse preoccupante, ma facesse parte del piano, che non si trattava di un’invasione tradizionale ma, appunto, di una “operazione speciale”, che il modo di condurre la guerra, rispecchiasse la situazione sul campo ed il lodevolissimo intento di non fare vittime civili. Anche se, a dire il vero, l’ultimo tentativo in loco di non fare vittime civili, aveva portato ad otto anni di bombardamenti sui medesimi, con decine di migliaia di morti.

Ascoltando queste autorevoli analisi, tenendo conto della competenza dei decisori in alto loco e della fiducia che sembravano meritare, i miei dubbi mi sono sembrati fuori luogo e, per quanto mi è riuscito,  li ho accantonati come quelli di un incompetente che doveva almeno astenersi dall’essere presuntuoso. E poi, una volta in guerra, bisogna andare avanti senza mugugnare troppo, anche se si ritengono sbagliate certe decisioni, perché l’importante è uscirne senza le ossa rotte.

Adesso, però, la misura mi pare colma, si comincia a chiedere un po’ troppo alla mia capacità di sospendere il giudizio: leggo che ci sono importanti passi avanti nelle trattative col governo fantoccio (e per di più nazista) di Zelensky che potrebbero presto portare ad un accordo di pace. Questo, per quanto mi sforzi, non riesco a prenderlo seriamente. Un accordo di pace con chi? Con chi ti ha preso in giro finora con i trattati di Minsk? Con chi ha continuato a bombardare parte del suo popolo per otto anni? Con chi ha proibito l’uso della lingua nativa a milioni di cittadini? Con chi ha permesso lo strapotere di formazioni paramilitari chiaramente naziste? Con chi prima di agire chiede istruzioni a Washington? Quanto potranno essere affidabili per un accordo questi soggetti?

Gli obbiettivi dichiarati dell’operazione sono: demilitarizzazione, denazificazione e neutralizzazione dell’Ucraina; riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea; riconoscimento dell’indipendenza della repubbliche di Donetsk e Lugansk con confini uguali a quelli dei rispettivi oblast. E’ di per sé evidente che se per qualsiasi motivo non vengono conseguiti, la guerra è da considerarsi persa e tutto quanto fatto fino ad adesso, morti compresi, inutile e anzi dannoso agli interessi della Russia. Se ci si accorda perché l’esercito non è in grado di continuare, allora si tratta di una sconfitta militare, se lo si fa perché gli equilibri politici all’interno del Cremlino sono cambiati (ed il ruolo di persone come Abramovich nelle trattative fa sorgere sospetti), allora si potrebbe pensare a qualcosa di simile al tradimento.

A questo punto non me la sento più di tacere e di sospendere il giudizio, sarete certo tutti più competenti istruiti, esperenziati e titolati di me, ma a mio avviso qualunque sopravvivenza dell’attuale governo ucraino, fantoccio degli americani, significherebbe al di la di ogni plausibile negabilità, la sconfitta militare e politica della Russia in questa operazione, con enormi ricadute sul prestigio interno e internazionale e forse sulla sua stessa esistenza come superpotenza. A mio avviso, l’unica cosa che può essere trattata con Zelensky è la resa. Aggiungerei che una volta che la guerra è iniziata, anche se non fosse stato saggio iniziarla in quel momento e con quelle modalità, si può solo portarla in fondo oppure perderla, raggiungere gli obbiettivi, oppure non raggiungerli.

Scrivo sciocchezze? Può essere. In questo caso mi correggerete. D’altra parte ho premesso di essere poco competente. E sono anche il primo a sperare che i miei dubbi siano infondati, perché altrimenti si tratterebbe di un’altra sconfitta non solo per la Russia, ma per tutti coloro che si oppongono al nuovo ordine mondiale imposto dagli oligarchi a guida anglosassone. E la prova che nessuno stato può opporsi ai signori dell’economia, neppure la Russia.

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