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La Redazione

 

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L’abbigliamento dei poveri inquina, l’alta moda no

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A cura di patrizia p
Il 25 Agosto 2023
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L'abbigliamento dei poveri inquina, l'alta moda no

Collezione Prada 2023 uomo?

Di Patrizia Pisino per ComeDonChisciotte.org

La vita va vissuta senza stress senza paura e angoscia per il domani, ma come si fa?
Si vive in una società che per tenerci soggiogati ci bombarda continuamente di prodotti e stili di vita preconfezionati che non rispettano l’essere umano ma solo il consumismo sfrenato. Ci inducono ad acquistare prodotti inutili solo per soddisfare un falso prestigio di possesso che secondo loro ci fa sentire persone alla moda e per questo ammirate, altrimenti soggette a critiche perverse.

Comprare per ogni stagione un guardaroba all’ultima moda diventa così un imperativo necessario solo per farsi ammirare, l’unico risultato: gli armadi stracolmi di abiti che vengono usati solo una volta.

I furbi produttori di abbigliamento hanno capitalizzato l’umana paura delle critiche, da cui siamo tutti oppressi. Lo stile di molti capi e articoli cambia ogni stagione. Chi stabilisce gli stili? Di sicuro non l’acquirente, ma il produttore. E perché li cambia così frequentemente? La risposta è ovvia: per vendere più vestiti.

Napoleon Hill, Pensa e arricchisci te stesso, 1938

Il mondo della moda e dell’alta moda sono settori con i più alti guadagni, gli stilisti creano abiti che ormai non hanno più niente di pratico e di utile, infatti si è arrivati al paradosso che sia i paesi nordici che quelli mediterranei utilizzano gli stessi capi di abbigliamento.

Si arriverà forse a produrre abiti uguali per tutti senza nessuna libertà di scelta solo per evitare il cosiddetto e reclamizzato cambiamento climatico?

Un tempo non molto lontano un abito era realizzato con tessuti naturali come la canapa, la lana, ora sostituiti da tessuti sintetici altamente inquinanti. L’allevatore in estate tosava le sue pecore, la lana venduta e una volta lavorata nei lanifici diventava il filo che generava il tessuto, prima con i telai a mano poi meccanizzati. Era una fiorente economia che coinvolgeva un numero di competenze diverse sino al consumatore finale, che acquistava un capo di abbigliamento che doveva durare nel tempo: una volta non più consono all’uso, veniva riutilizzato confezionandolo per un ulteriore destinatario, sino a diventare stracci da riutilizzare (perfetto esempio di quello che oggi chiamano economia circolare).

Il ciclo economico rispondeva a precise regole che di consumistico non avevano nulla, tutto veniva riutilizzato, niente sprechi, le discariche quasi inesistenti, l’inquinamento era una parola sconosciuta, la vita di ogni prodotto ben definita.

Guardate questo filmato del 1949 dell’Istituto Luce.

Ora, improvvisamente, dopo aver cancellato un passato “virtuoso”, ci  vogliono nuovamente convincere ad adottare le loro folli soluzioni.

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Attualmente il manto delle pecore deve essere smaltito come rifiuto speciale perché ormai i tessuti sono prodotti dalle multinazionali che utilizzano prodotti sintetici altamente tossici e lavorati nei paesi come Turchia, India, Cina, Bangladesh a basso costo e con un elevato grado di tossicità per i lavoratori, che non vengono certo tutelati.

Ma questo vale per noi comuni mortali!

L’alta moda abbraccia la propaganda della sostenibilità, come ad esempio la Camera nazionale della moda italiana (CMNI) che per cambiare, come si vuol dire l’abito, cerca anche di diventare la mecenate delle nuove leve di stilisti nostrani (il cosiddetto capitale umano); ma a chi sono destinati questi capi ed accessori di abbigliamento che di pratico non hanno nulla, ma rasentano il ridicolo in nome dell’inclusione e del rispetto della diversità?

Sfilate di moda che sono più fini a se stesse basate essenzialmente su un concetto artistico, vere e proprie performance ma che certamente il ceto medio/basso non si può permettere.

Interessante il filmato spot del 2020 (in piena psico pandemia) dove Livia Firth direttore creativo di eco-age con la sua immagine di angelo trasforma il Teatro della Scala di Milano in un giardino fiorito virtuale dove fa sfilare i vari stilisti di tutto il mondo e personaggi politici, tra cui Conte e Sala, che si prodigano in assicurazioni sulla difesa del pianeta: uniti per la sostenibilità, l’equo sviluppo e il rispetto dei lavoratori nel campo della moda (immagine che anticipa la recente direttiva europea sul ripristino della natura).

Il “cambiamento climatico” ormai è diventato la leva per favorire un incredibile business finanziario. Le potenti lobby costruiscono il loro impero poco per volta, instillando quello che secondo loro è la corretta visione del nostro futuro: i ricchi sempre più ricchi nel paradiso, i poveri confinati in isolate fabbriche ed edifici circondati dalle grigie strade asfaltate (1).

L’Europa, come sempre, chi colpevolizza dell’impatto della produzione e dei rifiuti tessili sull’ambiente? Ovvio.. la popolazione mondiale di ceto medio/basso.

Ben lungi da considerare nociva l’alta moda,  anzi, è un settore da incentivare: Bruxelles considera responsabile solo la cosiddetta moda veloce (fast fashion) colpevole dell’inquinamento provocato sia in fase di lavorazione che di smaltimento. Certo è la sola che il popolo può permettersi per i prezzi molto bassi e la grande quantità prodotta che, anche per la loro bassa qualità, vengono poi scartati e mandati al macero.

Per far fronte all’impatto che questo fenomeno ha sull’ambiente, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli acquisti di prodotti tessili nell’UE nel 2020 hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona: questo significa che i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate. Troppo alti !

Così l’UE interviene riducendo gli sprechi tessili, aumentando il ciclo di vita e il riciclo dei tessuti, e cosa utilizza?  Lo slogan dell’economia circolare da raggiungere entro il 2050. Come al solito la demagogia di un’ Europa asservita al commercio neoliberista si ammanta di una necessità superiore: il cambiamento climatico per costringere i popoli a cambiare stile di vita e indicare, come una madre amorevole, la via giusta da seguire.

L‘Europa propone così di rendere i prodotti

più durevoli, affidabili, riutilizzabili, aggiornabili, riparabili, più facili da mantenere, rinnovare e riciclare, ed efficienti sotto il profilo energetico e delle risorse. (2)

Forse è una premessa verso una ulteriore disciplina delle masse, causa principale per le loro sconsiderate scelte del tanto demonizzato cambiamento climatico?

Vorrei vedere il guardaroba di Francoise Bettencourt Meyers, erede di L’Oreal o di Amancio Ortega, fondatore di Zara, (solo per citare alcune persone tra le più ricche del continente) se risponderà a tali requisiti?

Certo,  non tutti noi poveri consumatori siamo a conoscenza che quando compriamo e laviamo una maglietta con il marchio Zara, realizzato in poliestere, contribuiamo all’ inquinamento da microplastica degli oceani!

Ma forse un lavoratore medio può acquistare un capo di alta qualità da brand come Canali o Marni pagando una giacca per uomo in velluto di cotone e cashmere stretch euro 1.990.00, o una giacca corta da donna per euro 1.445.00, ma attenzione.. devono durare per sempre! (3)

Come possiamo difenderci da questi attacchi alla nostra libera scelta? Non comperare d’impulso, informarsi prima di farlo per capire a chi  sto dando i soldi per evitare di sostenere delle industrie che sfruttano il lavoro minorile e non rispettano nessun tipo di sicurezza sul lavoro;  guardare le etichette e scegliere i tessuti naturali evitando quelli sintetici spesso causa di allergie; comprare solo se necessario senza gettare via quello che non si indossa più; se un capo che non è più della giusta taglia, si fa adattare da una brava sarta/o, se lo si strappa ripariamolo;  se poi non si utilizza più donatelo.. ci sono varie organizzazioni come Humana People to People Italia che raccoglie i capi usati che vengono riutilizzati per distribuirli gratuitamente.

Un altro consiglio, ed è quello forse anche più creativo ed importante: recuperare le antiche competenze e creare noi stessi i vestiti da indossare.

Sono cresciuta senza problemi indossando gli abiti cuciti da mia madre, che mi ha trasmesso l’uso di ago e filo, così posso senza problemi creare abiti, borse, tende e tutto ciò che mi può servire: non è difficile staccarsi dal bieco consumismo che ci rende schiavi,  il lavoro manuale può riunire i nostri amici e insieme condividere le nostre varie abilità che dovrebbero essere tramandate anche ai nostri figli.

La società ormai è divisa: le persone consapevoli che cercano di contribuire a creare un circuito virtuoso recuperando le vecchie e sagge raccomandazioni dei nostri avi, e le persone egocentriche che sicuramente parteciperanno alle effimere sfilate che si terranno a Milano dal 19 al 25 settembre prossimi, dove verrà presentata la collezione primavera/estate 2024 e dove sicuramente i più famosi stilisti di tutto il mondo realizzeranno una collezione che risponde ai dieci principi del Manifesto da loro sottoscritto per la sostenibilità della moda, ma sarà anche eticamente corretta?

Noi invece come Cenerentola con il nostro vestito di stracci riciclati staremo a casa, forse sognando il nostro principe che ci trasporterà in quel luogo incantato dove tutto è possibile: anche far cadere le barriere della superficialità e dell’apparenza per far trionfare la saggezza e il rispetto.

Coloro che fanno del vestito una parte principale di sé stessi finiranno, in generale, per non valere più dei loro abiti.

William Hazlitt, Saggi politici, 1819

Di Patrizia Pisino per ComeDonChisciotte.org

NOTE

(1) = https://www.cameramoda.it/it/green-carpet-fashion-awards-italia/2020/

(2) = https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_2013

https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20201208STO93327/l-impatto-della-produzione-e-dei-rifiuti-tessili-sull-ambiente-infografica

(3) = https://www.marni.com/it-it/giacche-GIMA0221IUUTP730.html?dwvar_GIMA0221IUUTP730_color=CHR79

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