DI GEORGE MONBIOT
Come possiamo trovare un senso, una ragione o l’orgoglio per un lavoro non ne ha più da offrire?
Perché preoccuparsi di progettare robot quando si possono ridurre gli stessi esseri umani a macchine? La scorsa settimana, Amazon ha acquisito un brevetto per un braccialetto che può tracciare i movimenti fatti dalle mani dei lavoratori. Se questa tecnologia fosse sviluppata, potrebbe garantire alle aziende un controllo quasi totale sulla propria forza lavoro.
Quindici giorni fa The Guardian ha intervistato il giovane Aaron Callaway, che fa il turno di notte in un magazzino di Amazon. Ogni ora deve mettere 250 articoli nei carrelli giusti. Il suo lavoro, dice, è così ripetitivo, asociale e alienante che “Mi sento come non fossi più quello che ero … La mia interazione principale è con i robot.” E questo prima che si cominciasse a parlare dei braccialetti.
Trovo la terribile storia di Don Lane, il conducente del DPD che è morto per collasso diabetico, sia un altro esempio della stessa disumanizzazione. Dopo essere stato multato di 150 sterline dalla sua azienda per aver preso un giorno libero per andare dal medico, questo “imprenditore autonomo” (che lavorava a tempo pieno e portava la divisa della sua azienda) ha capito che non avrebbe potuto mantenere i suoi appuntamenti in ospedale. Come sostiene il filosofo Byung-Chul Han, nell’economia del Gig – nell’economia dei lavoretti – “ogni individuo è padrone e schiavo in una … lotta di classe che è diventata una lotta interna con se stessi”.
Tutto il lavoro fatto nell’era socialdemocratica – sicurezza economica, senso di appartenenza, vita sociale, focus politico – è stato cancellato: l’alienazione è quasi assoluta, quasi perfetta. Il Taylorismo Digitale che ha scisso un lavoro interessante in tanti piccoli incarichi di una monotonia deprimente per la mente, minaccia di degenerare in ogni forma di lavoro. I lavoratori vengono ridotti allo stato di fantocci da crash test di una era post-industriale. I robot sono arrivati e noi siamo uno di loro.
E allora dove andiamo a trovare l’identità, il significato, il motivo, il senso di autonomia, l’orgoglio e l’utilità in quello che facciamo? La risposta, per molte persone, è il volontariato. Nelle ultime settimane, ho trascorso un bel po’ di tempo al National Health Service – NHS – e ho capito che ci sono due sistemi di salute pubblica in questo paese: quello ufficiale, che fa i miracoli ogni giorno e la rete volontaria che lo supporta.
Negli ospedali ovunque guardi, ci sono avvisi messi da persone che stanno lì per dare una mano, da persone che gestiscono gruppi di supporto per altri pazienti, da gente che raccoglie denaro per la ricerca e per le attrezzature. Senza queste collaborazioni volontarie, credo proprio che il sistema ufficiale potrebbe cadere a pezzi.
E così anche molti dei pazienti. Alcuni affascinanti documenti di ricerca indicano che interazioni positive con le altre persone incoraggiano la guarigione del corpo, riducono il dolore fisico e minimizzano l’ansia e lo stress per i pazienti che devono affrontare una operazione. I gruppi di supporto salvano le vite. Così come fanno quelli che raccolgono fondi per le cure e la ricerca.
La scorsa settimana ho parlato con due volontari straordinari. Jeanne Chattoe ha cominciato una raccolta fondi per Against Breast Cancer, dopo che a sua sorella è stata diagnosticata questa malattia. Fino a quel momento, aveva vissuto una vita tranquilla, facendo crescere i figli e lavorando nel negozio di valigie della sorella. In poco tempo ha trovato in se stessa una forza che non avrebbe mai immaginato di avere ed ha iniziato a organizzare una sfilata – un fashion show – annuale che, in 13 anni, ha raccolto quasi 400.000 sterline. Poi, una notte si svegliò con una grande idea: perché non tingere di rosa la sua città natale una volta all’anno, coinvolgendo tutta la comunità nella sua causa? Witney in the Pink va avanti da 17 anni e vi partecipano tutti i negozi: anche i macellai colorano i loro camici di rosa. Questo evento raccoglie almeno £ 6000 ogni anno.
“È cambiato tutto nella mia vita”, mi ha detto Jeanne. “Mangio, vivo e respiro contro il cancro al seno … Non so cosa avrei fatto senza la raccolta di fondi. Probabilmente niente. E’ stata una cosa che mi ha dato uno scopo”. Ha fatto tanta esperienza nell’organizzazione di questi eventi che nel 2009 Against Breast Cancer l’ha nominata presidente del CdA, una posizione che mantiene ancora oggi.
Dopo aver subito un trapianto, Kieran Sandwell ha donato il suo vecchio cuore alla British Heart Foundation. Poi ha cominciato a pensare a cos’altro poteva ancora fare. Mi ha detto che ha ricominciato a camminare “su quel tapis roulant del lavoro, dove per anni non aveva potuto apprezzare quello che faceva e ora si stava chiedendo Che cosa sto facendo.” E’ partito per una camminata lungo tutta la linea costiera del Regno Unito, per raccogliere denaro e per far prendere coscienza alla gente. Ora ha 2800 miglia dietro di lui e 2000 davanti a sé. “Ho scoperto che possiamo davvero pensare a qualsiasi cosa. … qualunque cosa mi capiti nella vita, probabilmente posso affrontarla con sicurezza, adesso non c’è niente che mi preoccupa.”
Come Jeanne, che ha tirato fuori capacità inaspettate. “Non credevo di avere in me la capacità di poter parlare con chiunque”. Il suo viaggio ha anche acceso in lui l’amore per la natura. “Mi sembra di essere entrato in una specie di bolla di vapore: quello che mi succede ogni giorno è qualcosa di meraviglioso. … Voglio provare a far vedere alla gente che fuori c’è una vita migliore”.
A Jeanne e a Kieran, il volontariato ha dato quello che una volta prometteva il lavoro: un senso, uno scopo, un posto, una comunità. Questo, sicuramente, è il posto dove si trova la speranza.
Quindi ecco la mia scandalosa proposta: non consigliare di intraprendere una carriera, ma di scegliere il volontariato. Ho già spiegato che molte delle carriere da scegliere consigliate da scuole e università sono peggio che inutili, spingendo gli studenti a infilarsi a testa bassa nella macchina in moto, rafforzando il potere seduttivo delle multinazionali che distruggono la vita. In tutta onestà devo riconoscere a chi dà consigli, che il loro lavoro sta diventando sempre più impossibile: l’intera infrastruttura della occupazione sembra progettata per eliminare tutti i lavori appaganti e affascinanti.
Ma mentre ci sono poche possibilità di trovare un lavoro che corrisponda alle speranze e alla personalità degli studenti e di sfruttare le loro capacità, ci sono tutte le possibilità per inserirsi con buone opportunità nel volontariato. Forse è giunto il momento di guardare al volontariato all’obiettivo delle nostre identità e di considerare il lavoro come qualcosa di complementare: qualcosa che dobbiamo fare, ma che non risponde allo stato dei fatti. Mi piacerebbe sentire rispondere alla domanda : “Che cosa fai?” – “Faccio il volontario alla banca del cibo e mi alleno per le maratone, poi nel tempo libero, lavoro per guadagnare qualcosa. ”
Infatti esiste un effetto collaterale: Il mondo è stato distrutto da persone che cercano di costruirsi uno status sociale con il loro lavoro. In molte professioni – chi lavora nei combustibili fossili, nelle fabbriche di armi, nel settore bancario, in pubblicità – il prestigio aumenta man mano che aumenta la propria capacità di creare danni più gravi. Maggiore è la capacità di un individuo di distruggere la vita degli altri, maggiore è il contributo di valore che gli viene riconosciuto dagli azionisti. Per il volontariato non funziona così, il rispetto si guadagna man man che aumenta il bene che si fa.
Potremmo continuare a lottare per rendere migliori i posti di lavoro e migliori le condizioni di lavoro, ma la battaglia contro la tecnologia che domina i posti di lavoro è impari. La vera lotta economica ora sta nella redistribuzione della ricchezza generata dal lavoro e dalle macchine, attraverso un reddito di base universale, la rinascita dei beni comuni e mettendo in atto altre politiche simili. Fino a quando non realizzeremo questi cambiamenti, la maggior parte della gente dovrà accontentarsi di accettare qualsiasi lavoro le venga offerto. Ma noi non possiamo restarcene passivamente a farci usare.
George Monbiot
Fonte: www.monbiot.com
Link: http://Revolt of the Robots/2018/02/09/revolt-of-the-robots/
9.2.2018
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario