Di Alberto Conti
La “questione monetaria” è molto semplice: in qualunque economia si
utilizza la moneta, non se ne può fare a meno, ma essendo questo “oggetto” un
puro frutto della mente umana, e di nient’altro, occorre definirla, produrla,
gestirla da parte di umani, con regole decise da umani. Non sono tre fasi
separate o separabili in compartimenti stagni, ma tre aspetti della questione
che si compendiano reciprocamente in un tutt’uno. Tralasciamo inizialmente la definizione,
per certi versi conseguenza delle altre due fasi operative, quelle che fanno
della moneta un fatto concretissimo nella quotidianità di miriadi di vite
individuali, relazionate tra loro nell’ordinamento sociale di fatto, sia
localmente che ai livelli superiori, fino al livello planetario, o globale.
Niente di più immediato che esemplificare le fenomenologie di
produzione e gestione della moneta al giorno d’oggi: l’euro per gli europei, lo
yen per i giapponesi, la sterlina per gli inglesi, il renminbi (o più
semplicemente yuan) per i cinesi, il dollaro per gli americani …. anzi no, il
dollaro per tutti, ma questa è un’altra storia.
Cos’hanno in comune le valute citate, e molte altre ancora, dal punto
di vista gestionale? Che esiste un’unica tipologia di soggetto giuridico, sia
pure in tante varianti, autorizzata alla gestione della moneta in
rappresentanza della società tutta. E’ la Banca, che può essere “commerciale”
(Istituto di Credito e servizi di pagamento-riscossione), “d’investimento o
d’affari”, “mista”, “di clearing (internazionale)”, “privata”, “pubblica”, “Centrale”,
“Mondiale”, ecc. ecc. Ma sempre di banca si tratta, in forma giuridica di
S.p.A., Fondazione, Cooperativa, Holding, ecc. ecc. ecc.
In che modo le varie banche gestiscono la moneta? Registrandone la
contabilità, il passaggio di possesso tra persone fisiche e giuridiche, come
sostituti d’imposta per conto dello Stato, come amministratori del risparmio
finanziario, come produttori e gestori di strumenti finanziari, come erogatori
di credito, come gestori delle borse valori, come interlocutori dei governi
sulle questioni economico-finanziarie, ecc. ecc. Ma soprattutto come produttori
della moneta effettivamente in circolazione nei vari mercati, ovvero come
emittenti della moneta.
Dal momento che ogni economia monetaria si basa su scambi reciproci
tramite denaro, e dal momento che non vi sono limitazioni sostanziali alla
geografia di questi scambi (salvo casi d’embargo), ecco che le miriadi di
banche in tutto il mondo, di ogni genere e dimensione, sono di fatto strettamente
connesse tra loro (telematicamente), a formare un’unica ragnatela di scambi
monetari in tutte le valute, cioè un sistema bancario globale. Per questo i
diversi sistemi monetari devono giocoforza relazionarsi tra loro, tendenzialmente
adeguandosi ai criteri dei sistemi che dominano per dimensioni e per influenza
politica, commerciale, militare. A tutt’oggi, nonostante già si avvertano
sinistri scricchiolii, il sistema dominante è ancora il dollaro USA, la valuta
che invade le altre economie con la famosa “dollarizzazione” del mondo intero,
dagli “accordi” di Bretton Woods del ‘44, passando poi per la sospensione
unilaterale della convertibilità (in oro) del dollaro nel 1971 (Nixon) e per le
politiche di “deregulation” finanziaria e commerciale targate Reagan e Thatcher
(anni ’80).
In pratica oggi il sistema bancario, nazionale e mondiale, produce e
gestisce tutto il denaro in circolazione, realizzando il più grande trust, o
monopolio (privato), della storia dell’umanità. Si può tranquillamente affermare
come verità indiscussa che il controllo del denaro è affidato nei fatti al
sistema bancario.
Ma chi controlla il sistema bancario, che è un misto di proprietà
pubblica e privata, ma tendente alla riduzione a zero della partecipazione
pubblica e politica sull’onda dell’ideologia liberista? Se pensiamo alla
singola banca come ad un’azienda, interamente controllabile col pacchetto di
maggioranza relativa (talvolta assai risicato, Tronchetti Provera docet), non è
difficile intuire che i controllori primari delle politiche monetarie siano
proprio quelle famiglie storiche, ormai transazionali, che hanno consolidato le
loro immense fortune proprio grazie all’esercizio del controllo finanziario
tramite banche private, con i noti metodi tutt’altro che trasparenti e corretti,
se pur leciti spesso in virtù delle loro capacità di controllo del legislatore
stesso. Insomma siamo nelle mani dei campioni del privilegio finanziario, una
strana forma di profitto, divenuta abnorme, che non ha mai reso in cambio alcun
bene materiale per l’umanità, eccetto che per la minoranza di parassiti
dell’economia altrui. Questo è l’esito scontato dell’ideologia dominante nel
“mondo che conta”, interamente basata sulla logica del profitto competitivo all’interno
di un utopistico “libero mercato”, che è sempre stato di tutto tranne che
“libero” dallo strapotere finanziario.
E il “signoraggio”?
Che il signoraggio sia l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione
di moneta non ci piove. Questo non lo dico io ma i banchieri e perfino i debunkers
del “complotto del signoraggio”. E credo che neppure i “complottisti”,
dall’altro lato della barricata, abbiano nulla da eccepire nel merito della
definizione del termine, almeno in questi termini così generali.
Si è appena detto poco sopra che i “soldi veri” fatti dai banchieri
storici (Rothschild, Rockefeller, Morgan, Warburgs, Lazard, ecc.), quelli in
grado di controllare il trust bancario, e da lì le economie e le politiche
mondiali al fine di consolidare il proprio potere, ovvero un sistema che si
autodetermina circolarmente, sono soldi “fatti” soprattutto tramite
speculazioni finanziarie, lecite o illecite, con moneta già esistente.
Perciò non ci sarebbe alcun bisogno di scomodare il concetto di
signoraggio per spiegare le problematiche di fondo relative alla questione
monetaria. Tuttavia si è anche detto che l’intera massa monetaria in
circolazione, in tutte le sue forme (che vanno ben oltre i limiti
dell’immaginario collettivo), è praticamente prodotta e messa in circolazione,
oltre che gestita a posteriori, dallo stesso trust bancario mondiale
controllato dall’elite finanziaria. Sorge quindi spontanea la domanda se ci sia
una relazione importante tra emissione monetaria e concentrazione di ricchezza
tramite meccanismi finanziari in senso lato. E la risposta a questa domanda è
certamente sì, esistono dinamiche finanziarie importanti in tal senso,
direttamente legate all’emissione monetaria, che producono grandi spostamenti
di ricchezza reale dall’economia fisica diffusa a quella virtual-finanziaria
concentrata, sempre però convertibile in beni reali.
Basti pensare al tradizionale credito bancario di denaro “fiat”, che
non esisteva prima del credito stesso, cioè della creazione dal nulla di massa
monetaria circolante da parte di qualunque banca commerciale (le più “pulite”,
che pure hanno questa “rogna”), operante in un sistema a riserva monetaria
frazionaria e bassissima, dell’ordine del 2%. Tutti gli interessi sul denaro
costato nulla alla banca mutuante sono di fatto un furto ai danni dei veri
produttori di ricchezza fisica monetizzata, i mutuatari.
Per non parlare delle Banche Centrali che emettono “contante” dal nulla
(o meglio da un finto indebitamento contabile), capitalizzandosi di pari
importo (non a titolo di riserva a garanzia del contante emesso, ma in
proprietà assoluta della BC, liberamente impiegabile al miglior rendimento).
C’è poi l’eclatante esempio in cronaca degli straordinari QE1 e QE2
della FED americana, denaro fiat distribuito “in prestito” alle banche in odore
di default per mancanza di liquidità, in realtà destinato ad ulteriori
speculazioni finanziarie (cosa che farebbe qualunque giocatore d’azzardo che ha
perso tutto, in crisi d’astinenza dal rischio) e in ultima istanza all’acquisto
di ulteriore debito pubblico, il che dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che
il “prestatore d’ultima istanza” reale è lo Stato con potere d’imposizione
fiscale futura, e non una banca centrale privata che si fonda sul monopolio
d’emissione del contante fiat.
Già m’immagino spiegazioni leguleie e contorcimenti mentali per
“spiegare” che questi tre esempi sono falsi e fuorvianti, negando l’evidenza
dei fatti, ma non importa, basta l’intuito di un bambino per capire che al
casinò il banco vince sempre, perché è lui che conduce il gioco. E se c’è una
crisi finanziaria mondiale, diversa e ben più profonda di quella del ’29
(quando le regole erano ancora “oneste” rispetto ad oggi), è perché il circo
della finanza è del tutto assimilabile ad un casinò globale, dove i pochi
gestori hanno quasi finito di spennare lo spennabile al resto del mondo. E
proprio per questa evidenza, come in Grecia e in Islanda, questi nuovi re
appaiono nudi nelle loro vergogne agli occhi dei semplici e degli innocenti.
Alberto Conti – 5 luglio 2011