A luglio 2023 Valeurs Actuelles, rivista di orientamento liberal-conservatore, ha dedicato un numero monografico al riscaldamento climatico, dando voce ai maggiori scettici del clima (anzi “realisti del clima” come preferiscono essere chiamati), francesi e internazionali. L’articolo di prefazione è dell’economista Remy Prud’homme, che riassume un po’ gli argomenti contro la narrazione ufficiale.
L’autore parla di “sillogismo” del clima. In effetti il credo climatico non consiste in un’unica affermazione, ma in una serie di articoli di fede combinati tra loro.
- Il pianeta si sta surriscaldando in maniera significativa rispetto al passato (nonostante l’alternarsi nei secoli di periodi caldi e freddi ecc.
- La causa prima del riscaldamento è principalmente l’aumento della CO2 nell’atmosfera (e non altro, come le macchie solari ecc.)
- L’aumento dei gas serra è di origine antropica (e non dipende da niente altro, come i vulcani ecc.)
- Gli svantaggi del riscaldamento climatico sono gravi e superiori agli svantaggi (chissà se gli abitanti della Siberia e del Canada sono d’accordo)
- È possibile ottenere risultati sostanziali con azioni politiche: il rapporto costi benefici della decarbonizzazione è superiore a quello della non decarbonizzazione (questo è il punto cruciale che, infatti, si evita di discutere)
- Le modalità dell’azione politica (tempi, obiettivi, distribuzione dei costi tra le classi sociali sono già correttamente prestabilite dalle istituzioni internazionali
Le prime tre ipotesi sono dati di fatto, di competenza della scienza (quella vera, non influenzata dal potere). Le ultime tre asserzioni invece sono valutazioni pratiche, di competenza dell’etica e della politica, e quindi soggette al giudizio di tutti i cittadini. Trattandosi di una catena logica, è sufficiente mettere in dubbio una sola di queste premesse, rompere un anello della catena, per far venir meno la conclusione. Ecco la funzione dell’epiteto “negazionista climatico”: impedisce il confronto, non permette all’interlocutore di spiegare cosa sta negando esattamente.
Attribuire la colpa di tutto all’ideologia, come fa l’autore, pare riduttivo: se a promuovere la transizione ecologica sono i maggiori poteri finanziari, sottostanno evidentemente interessi economici e (geo)politici.
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Rémy Prud’homme – Valeurs Actuelles – Luglio 2023
Nel maggio 2023 uno scienziato indiscusso, John Clauser, ricercatore americano che ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 2022 (insieme a un francese e un austriaco), ha scritto: “Il discorso dominante sul cambiamento climatico riflette una pericolosa corruzione della scienza, che minaccia l’economia mondiale e il benessere di milioni di persone. Una scienza del clima mal condotta si è trasformata in una pseudo-scienza giornalistica. Questa pseudo-scienza è poi diventata il capro espiatorio, la pseudo-causa, di ogni sorta di mali. Questa evoluzione è stata provocata e diffusa da comunicatori aziendali, politici, giornalisti, istituzioni pubbliche e ambientalisti. La mia opinione è che non esiste una crisi climatica. Esiste invece il problema molto reale di offrire un tenore di vita decente a gran parte dell’umanità, e una crisi energetica correlata. Tale problema è inutilmente aggravato da quella che è, a mio avviso, una scienza del clima scorretta”.
Lord Lawson, recentemente scomparso, non era uno scienziato: era solo (scusate se è poco) l’ex ministro delle finanze di Margaret Thatcher, l’uomo che aveva rimesso in piedi l’economia britannica. Dotato di di umorismo e buon senso, la pensava come Clauser e usò una formula degna di La Rochefoucauld per parlare della transizione energetica: “Una soluzione disastrosa ad un problema inesistente“.
Discuteremo qui brevemente i due temi di questa formula. Ma prima l’autore ritiene di dover rispondere all’obiezione di incompetenza. Spesso mi viene posta la domanda: “Sei un climatologo?” Che è un modo per dire: “Non sei un climatologo e non hai il diritto di parlare dell’argomento“. La mia risposta è che sono un climatologo almeno quanto lo sono il presidente dell’IPCC o il suo predecessore. L’attuale Presidente, Hoesung Lee, ha studiato Economia alla Seoul National University (la migliore università della Corea) ed ha successivamente conseguito un dottorato in economia alla Rutgers University (la 55° università americana per prestigio). Ha lavorato per alcuni anni presso la compagnia petrolifera Exxon ed ha diretto un importante ed apprezzato centro di ricerca governativo, il Korea Energy and Environment Institute. Suo fratello è stato Primo Ministro della Corea.
Rajenda Pachauri, il precedente presidente dell’IPCC deceduto nel 2020, aveva fatto studi di Ingegneria all’Indian Institute of Railways (le ferrovie indiane, che hanno un peso notevole ed una propria università, che non è mediocre), completati da un dottorato di ricerca in Modellazione presso l’Università della Carolina del Nord (la 77° università degli Stati Uniti). Tornato in patria, ha fatto una carriera più amministrativa che scientifica, dirigendo vari centri di ricerca pubblici, prima di essere eletto presidente dell’IPCC. Era più conosciuto per i suoi romanzi erotici che per le sue pubblicazioni scientifiche.
Il sottoscritto ha conseguito una laurea e un dottorato in Economia presso ottime istituzioni (HEC, Università di Parigi e Harvard), prima di diventare professore universitario nel sistema francese, e anche al MIT, come “visiting professor”. Ha trascorso diversi anni presso la Direzione Ambiente dell’OCSE come vicedirettore. Il mio profilo è quindi abbastanza paragonabile a quello di questi due presidenti. Per quanto riguarda la fisica e la meteorologia, è un profilo basso, come il loro. Per quanto riguarda la scienza in generale, è un profilo onorevole, almeno quanto il loro. Delle due l’una: o si ritiene che io non sia un climatologo, e in questo caso bisogna riconoscere che l’IPCC, la cosiddetta Mecca della scienza climatica, è presieduta da non-climatologi, oppure il signor Pachauri e il signor Lee si possono considerare abbastanza qualificati per produrre e diffondere la “scienza climatica”, e in tal caso io sono abbastanza qualificato per criticarla.
Un problema inesistente
Entità del riscaldamento – Nessuno nega che le temperature medie globali siano aumentate negli ultimi 150 anni. Ma l’entità di questo aumento è modesta: tra 1° e 1,2° centigradi dal 1880. È molto meno delle variazioni di temperatura tra il giorno e la notte (spesso 10 °C) o tra Parigi e Marsiglia (circa 6 °C). Tale riscaldamento è abbastanza capriccioso, varia a seconda dei paesi e dei sottoperiodi e, soprattutto, non è senza precedenti. Faceva più caldo a Roma nell’anno 200, o in Groenlandia nell’anno 1000, che in quelle zone nel 2020. L’abitudine diffusa di confrontare l’evoluzione dal 1880 in poi è arbitraria e distorsiva: il 1880 infatti è un punto minimo, particolarmente freddo. Infine, nulla conferma l’esistenza di una “accelerazione” delle temperature (che giustificherebbe una “emergenza” climatica). Tra il 2015 e il 2023, la temperatura media globale non è aumentata, né tantomeno accelerata ma, al contrario è diminuita, anche se questi 8 anni sono tra i più caldi registrati dal 1880.
Cause del riscaldamento – La tesi dell’IPCC, diffusa ovunque, è che questo modesto riscaldamento abbia un’unica causa (90 o 95%): le emissioni di CO2 (e di altri gas serra come il metano) legate all’attività umana. Senza entrare in controversie molto tecniche, alcune osservazioni di buon senso invitano alla cautela. La CO2 rappresenta solo lo 0,04% dell’atmosfera. Al tempo dei Romani, o nel Medioevo, temperature elevate coesistevano con emissioni antropiche di CO2 nulle. La correlazione (peraltro piuttosto imperfetta) tra temperatura e livelli di CO2 nell’ultimo secolo non ci dice nulla sulla causalità tra le due variabili: il fatto che le emissioni di CO2 dagli oceani aumentino con la temperatura potrebbe suggerire che è la variazione di temperatura che spiega la variazione di CO2, e non il contrario. Il sole, le nuvole e gli oceani hanno effetti evidenti, anche se non perfettamente compresi, sulle temperature terrestri. In breve, la spiegazione monocausale dominante forse non è impossibile, ma è tutt’altro che certa. Ne consegue che i modelli che “calcolano” la futura evoluzione delle temperature nel 2100 e oltre, sulla base della CO2 come unica spiegazione, devono essere presi “cum grano salis”.
Conseguenze del riscaldamento – Secondo la vulgata attuale, la “doxa” (δόξα), tutte le disgrazie del mondo sono “colpa del riscaldamento globale”: siccità, e al tempo stesso inondazioni, innalzamento delle acque, impoverimento del suolo, aggravamento della fame nel mondo, guerre e persino ondate di freddo e circoncisione femminile. Il presidente Hollande è arrivato al punto di dichiarare solennemente (a Manila nel 2015) che terremoti e tsunami erano causati dal “cambiamento climatico”, e “lo hanno dimostrato”. Non c’è abbastanza spazio qui per dimostrare che la maggior parte di queste affermazioni (che hanno poco a che fare con la climatologia) è priva di fondamento. Ci limiteremo al caso della fame, che è essenziale e chiaro.
Cosa dicono i dati della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura? Che la produzione agricola mondiale pro-capite è in costante aumento dal 2000 al 2020. È aumentata dell’11% per i cereali, del 19% per gli alimenti, del 21%per il latte. Di conseguenza, riferisce la FAO, la denutrizione è diminuita del 30% passando dal 13% al 9% (della popolazione totale). In Africa, la produzione cerealicola, sempre nel periodo 2000-2020 e pro-capite, è quasi raddoppiata. In questo continente, la denutrizione è diminuita del 24%, passando dal 29% al 22%. Nell’Asia orientale e meridionale la riduzione della denutrizione è ancora più spettacolare: del 77%. In realtà, le carestie di origine agricola sono completamente scomparse; rimangono, purtroppo, le carestie di origine militare causate da guerre civili o tra stati. Naturalmente, la denutrizione della popolazione africana resta drammaticamente alta e bisogna fare tutto il possibile per ridurla. Ma l’essenziale è che in tutto il mondo, nonostante (o a causa del) l’aumento dei livelli di CO2, la fame sta diminuendo, e uomini donne e bambini mangiano di più e meglio – e muoiono di meno – che in qualsiasi altra epoca della storia umana.
“Una soluzione disastrosa”
Se il riscaldamento globale porta a disastri spaventosi, e se è interamente causato dalle emissioni antropiche di CO2, allora è necessaria una soluzione politica: eliminare le emissioni di CO2 il prima possibile. Questo sillogismo semplicistico, rafforzato dall’IPCC, è stato adottato da tutte le organizzazioni internazionali (ONU, Unione Europea, Unep, Ocse, Aie, Banca Mondiale, FMI, BCE, Papato, ecc.), dai governi dei paesi occidentali, da tutte le banche private occidentali, dalla maggior parte dei grandi gruppi capitalisti e dalla stragrande maggioranza dei media occidentali.
Esistono tuttavia due importanti eccezioni: i governi dei paesi non occidentali, (come la Russia, l’India, la Cina o i paesi africani) che, nei fatti se non nelle parole, rifiutano di seguire l’esempio dei paesi ricchi; e l’opinione pubblica, anche europea, che in tutti i sondaggi non ha mai messo la transizione ecologica in cima alla lista delle sue preoccupazioni.
“Inverdimento” generalizzato – L’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 è così diventato il principale obiettivo della politica economica, in quasi tutti i settori. La politica dei trasporti equivale alla politica di decarbonizzazione dei trasporti: meno autovetture e solo elettriche, eliminazione virtuale dell’aereo, più treni elettrici, priorità alla bicicletta. La politica energetica si riduce alla “transizione” verso la scomparsa dei combustibili fossili (e, stranamente, del nucleare a lungo condannato anche in Francia dalla maggior parte dei presidenti, ministri, parlamentari, Ong e giornalisti). La politica agricola si limita alla promozione dell’agricoltura “biologica “, senza fertilizzanti; la politica abitativa è ora definita come “lotta contro le perdite energetiche “. La politica industriale consiste principalmente nella scelta e nella promozione di industrie “verdi “, chiamate “industrie del futuro “. A volte ci si chiede a cosa servano i nostri quaranta ministri, dal momento che la loro attività è dominata e dettata dal Ministro per la Transizione ecologica. Nel 2017, il presidente Macron aveva chiaramente indicato questa preminenza nominando il suo Ministro dell’Ambiente, Nicolas Hulot, numero 3 del governo (dietro il Primo Ministro e il Ministro dell’Interno).
Inutilità del “tutto-verde” – Questa corsa frenetica allo zero CO2 è, innanzitutto, inutile e vana. Supponiamo per un momento che sia la quantità di CO2 accumulata nella nostra atmosfera a determinare la temperatura del globo. Le emissioni annuali della Francia rappresentano meno dell’1% delle emissioni globali, che a loro volta rappresentano l’1% di questa quantità. Le nostre emissioni annuali rappresentano quindi l’1% dell’1%, ovvero lo 0,01% di tale quantità. Inoltre, metà delle nostre emissioni viene assorbita dagli oceani e dalla vegetazione e non contribuisce all’aumento dell’accumulo. Se, con un colpo di bacchetta magica, la Francia azzerasse le proprie emissioni di CO2, la quantità di CO2 diminuirebbe dello 0,005%. La “doxa” afferma che un raddoppio di questa quantità porta ad un aumento della temperatura di 2 °C (molti studi suggeriscono un aumento molto minore). Una semplice regola proporzionale mostra che zero CO2 francese avrebbe l’effetto di ridurre la temperatura del globo, e della Francia, di 0,0001 gradi, il che è prossimo a nulla.
Più in generale, la realtà è che le emissioni di CO2 dei paesi sviluppati (OCSE) rappresentano ora il 31% delle emissioni globali, e sono stagnanti o in calo, mentre quelle del resto del mondo, che rappresentano la maggior parte delle emissioni mondiali, sono in costante aumento. Nel momento in cui la Francia sta chiudendo con gran clamore tre delle sue quattro centrali elettriche a carbone, la Cina ne sta costruendo 400. Il risultato (400 – 3 = 397) illustra in modo caricaturale la vanità dei nostri sforzi. Non servono quasi a nulla.
Costi del “tutto-verde” – Ma questo quasi nulla è terribilmente costoso. Citeremo brevemente quattro mali verso i quali ci stanno portando le attuali politiche di riduzione del carbonio: l’inflazione, il debito, la crisi bancaria, la disuguaglianza.
(1) Il “verde” può essere bello, ma è sicuramente costoso. Quasi tutte le innovazioni ecologiche che la “doxa” [ispira] e i nostri governi ci impongono, comportano un aumento dei costi, e quindi dei prezzi. Il veicolo elettrico costa più del veicolo endotermico, il biocarburante più di quello convenzionale, l’energia eolica e solare più del carbone, del gas o del nucleare, le case isolate termicamente più di quelle non isolate, il treno più dell’automobile, e l’idrogeno è più costoso di tutto il resto. Il costo equivale al consumo di risorse scarse. Inoltre, l’opposizione ambientalista agli investimenti nella ricerca e nell’estrazione di petrolio e gas, in particolare il gas di scisto, sta facendo salire i prezzi del petrolio, del gas e dell’energia in generale, incrementando le rendite dei proprietari russi, sauditi o qatarioti. Un recente rapporto ufficiale, firmato Jean Pisani-Ferry e Selma Mahfouz, stima in 70 miliardi di euro all’anno gli investimenti aggiuntivi necessari per l’obiettivo ufficiale di decarbonizzazione in Francia.
Ma gli investimenti sono solo una parte dei costi aggiuntivi di questa politica. Nel settore dei trasporti, ad esempio, la politica verde ha l’effetto di aumentare i tempi di percorrenza e ridurre la mobilità (nelle aree urbane, sostituire l’automobile con i mezzi pubblici dimezza la velocità degli spostamenti). Questa limitazione ha un costo economico elevato. Riduce le dimensioni e l’efficienza dei mercati del lavoro, così come il commercio interregionale e internazionale e, quindi, la concorrenza. In tutte le analisi dei progetti di investimento nel settore dei trasporti, il risparmio di tempo generato dal progetto è, di gran lunga, la sua principale giustificazione. La somma attualizzata del risparmio di tempo è generalmente dello stesso ordine di grandezza dell’importo dell’investimento. Un altro esempio di costo non ricompreso negli investimenti è legato all’eco-ansia. Sembra assodato che il discorso apocalittico, ripetuto fino alla nausea nelle scuole e nei media, abbia conseguenze psicologiche preoccupanti su un gran numero di adolescenti, compreso il suicidio. Il costo di questo danno è difficile da valutare, ma non è trascurabile.
(2) Le conseguenze per le finanze pubbliche sono deplorevoli. Tutte le grandi innovazioni degli ultimi due secoli (come il treno, la barca a motore, l’elettricità, le telecomunicazioni, ecc.) hanno portato a una riduzione dei costi che ha soddisfatto la domanda. Queste innovazioni si sono sviluppate spontaneamente, senza un (importante) intervento pubblico. Con le innovazioni verdi sta accadendo il contrario. Poiché comportano un aumento dei costi, non si sviluppano senza interventi pubblici. Sussidi e divieti sono la fonte di nutrimento della transizione ecologica.
Il caso dell’auto elettrica in Francia (e altrove) è doppiamente eclatante. L’acquisto un veicolo di questo tipo è sovvenzionato per circa 7.000 euro; sostituire 40 milioni di veicoli costerà quindi quasi 280 miliardi (e non si pensi che la sostituzione sovvenzionata delle batterie importate dalla Cina, con batterie prodotte in Francia, riduca il conto). Inoltre, e soprattutto, le tasse specifiche sui carburanti fruttano al fisco più di 36 miliardi all’anno; la fine dei veicoli termici priverà quindi il bilancio di 36 miliardi di entrate all’anno. In vent’anni, il veicolo elettrico aumenterà quindi il debito pubblico francese di circa 1.000 miliardi di euro (un po’ meno, fortunatamente, perché la transizione non avverrà da un giorno all’altro).
(3) Le banche, e anche le banche centrali, che vogliono apparire ed essere virtuose, sono tutte impegnate a fare del “verde” un criterio importante dei loro investimenti. Tra un’operazione classica redditizia e un’operazione verde rischiosa, dichiarano di preferire la seconda. Questo atteggiamento indirizzerà gli investimenti verso la transizione ecologica, ma aumenterà anche il rischio di fallimento, che nel settore bancario diventa rapidamente sistemico. Le banche che sono fallite negli ultimi mesi sono state quattro banche in prima linea nel sostenere la “transizione”. La SVC (Silicon Valley Bank) ne faceva un vanto. Aveva un direttore per il rispetto dei criteri ESG (environmental, social, governance), ma il ruolo di direttore dei rischi era vacante da un anno. Non possiamo concludere che il suo crollo sia necessariamente il risultato del suo impegno, ma fa pensare alla morte del canarino nella miniera. Una battuta corre dietro le quinte di Wall Street: “go woke, go broke“; il lettore ci perdonerà la citazione in inglese, ma queste quattro parole esprimono, meglio di un “seguite la corrente e farete bancarotta”, il pericolo del “tutto-verde” nei nostri sistemi bancari.
(4) Il costo del verde pesa più sui poveri che sui ricchi. I costi del clima sono intrinsecamente regressivi. Questo perché, in rapporto al loro reddito, i poveri sono forti consumatori di beni che emettono CO2, come l’abitazione, i trasporti, il cibo, l’elettricità, ecc. L’aumento del costo di tali beni è una percentuale del reddito molto più alta per i poveri che per i ricchi.
In Francia, una legge (la legge-quadro sui trasporti terrestri del 30 dicembre 1982) è in linea con il buon senso e stabilisce che tutti i grandi progetti devono essere sottoposti ad un’analisi costi-benefici. La somma attualizzata dei benefici deve essere maggiore della somma attualizzata dei costi. Il grande progetto per ridurre le nostre emissioni di CO2 non è stato ovviamente sottoposto a questo esame. Se lo fosse, certamente non lo supererebbe. I costi sono immediati, certi e considerevoli. I benefici sono lontani, incerti e probabilmente esigui.
Ideologia delirante
Ideologia – La ragione fatica a capire il prodigioso successo del movimento ambientalista in Occidente, che pretende di spiegare tutto con due idee semplicistiche e ci impegna in una politica economica suicida. L’immagine più eloquente di questo delirio incomprensibile è senza dubbio il pubblico di Greta Thunberg. Il movimento ambientalista vuole e pretende di basarsi sulla “Scienza “, ma sceglie come portavoce un’adolescente svedese che ha lasciato la scuola a 15 anni e che quindi incarna l’anti-scienza, o quantomeno la non-scienza. E funziona! Papa Francesco, il presidente Macron, il segretario generale delle Nazioni Unite, gli esperti di Davos, e naturalmente il capo dell’IPCC la ascoltano religiosamente, si congratulano con lei, la approvano e giurano che attueranno tutte le sue raccomandazioni. Alla scienza del premio Nobel per la fisica Clauser, tutti i dirigenti occidentali e i loro consiglieri, le istituzioni e i media preferiscono la scienza dell’ignorante Greta. Qui c’è un mistero.
Cervantes ce ne offre una chiave di lettura. Il brillante scrittore, che aveva trascorso cinque anni come schiavo ad Algeri (sì, c’erano migliaia di schiavi europei in Africa nel sedicesimo secolo, e nessuno schiavo africano in Europa) aveva vissuto sulla propria pelle gli eccessi del fanatismo. Il suo Don Chisciotte è un’eco di questa esperienza. L’eroe del libro non è affatto un modello da imitare, al contrario, viene presentato come un esempio da evitare. Don Chisciotte è il simbolo e il ritratto dell’ideologo. Vive in un mondo fantastico, in questo caso quello dei romanzi cavallereschi dei secoli precedenti, e questa monomania gli impedisce di vedere le cose come sono realmente. Sulla sua strada, ci sono mulini a vento: vede dei briganti e li attacca; sulla sua tavola, un piatto da barbiere: lo scambia per un elmo da cavaliere e lo indossa; nel tugurio dove dorme, si avvicina la puttana della locanda: per lui è la sua Dulcinea e le tende le braccia. Non è stupido, e nemmeno cattivo, è piuttosto simpatico. Ma i suoi occhiali ideologici lo portano a sbagliare continuamente. Le botte che prende, che ci fanno ridere, non lo illuminano in alcun modo, e anzi rafforzano la sua convinzione.
L’ecologismo appare così come un’ideologia, come una fede, come una religione, forse addirittura come la religione dei tempi moderni. Malraux profetizzò che il ventunesimo secolo sarebbe stato religioso o non sarebbe stato. Woody Allen dice la stessa cosa con la famosa battuta: “Dio è morto, Marx è morto, e anch’io io non mi sento molto bene“. L’arretramento o la scomparsa delle grandi ideologie (cristianesimo, nazismo, comunismo – che ovviamente non sono equivalenti, ma che hanno caratteristiche comuni) lascia un vuoto, un bisogno di “ismo” che l’ecologismo riempie. Esso presenta la maggior parte delle caratteristiche delle ideologie, con i suoi pontefici, i suoi concili, i suoi libri sacri, i suoi catechismi, i suoi dogmi, il suo clero, i suoi devoti, i suoi missionari, la sua scienza, le sue scuole, i suoi finanziatori, le sue prebende, le sue censure, i suoi giornali, il suo inferno, il suo paradiso, la sua morale, le sue prescrizioni, le sue profezie, le sue apocalissi.
L’odio per la CO2 e il folle amore di Swann…
Le molle psicologiche dell’ambientalismo sono classiche. La prima è il sostegno di una pseudo scienza (il comunismo era il “socialismo scientifico “), che profetizza un’apocalisse. La seconda è la cultura della paura di disgrazie (inferno, povertà crescente) che inevitabilmente ci attendono se non facciamo nulla. La terza è il senso di colpa: ognuno di noi è responsabile. La quarta è l’obbligo della penitenza: se vi battete il petto, se accettate cambiamenti rivoluzionari, se ci obbedite, allora avrete una speranza di redenzione. Tutto questo, sistematizzato, pesa più della ragione.
Alla cieca – Comprendiamo meglio come e perché tante persone intelligenti, oneste e informate depongono la ragione, ed entrano di buon passo nella cappella per cantare il comune inno ecologista. Abbiamo visto lo stesso fenomeno con tutte le altre ideologie. Nel 1930, il popolo tedesco, che era tra i più istruiti del pianeta, fu affascinato da un burattino, palesemente assurdo, Hitler. Dopo la guerra, la maggior parte degli intellettuali francesi (soprattutto filosofi e storici) ingoiò avidamente il rospo comunista, a cominciare da Sartre per il quale il marxismo era “l’orizzonte filosofico insuperabile del nostro tempo“. La scienza stessa non protegge da tali eccessi. Hitler trovò facilmente un centinaio di grandi scienziati tedeschi per diffamare la scienza di Einstein (il quale rispose: “Perché cento? Ne basterebbe uno, con un’argomentazione solida“). Nell’URSS, dopo la guerra, Mičurin e Lysenko svilupparono idee assurde sulla genetica, ma che piacevano a Stalin; queste idee furono ardentemente difese in Francia da molti biologi comunisti, come Charles Mathon, direttore della ricerca al CNRS, che creò l’Associazione francese degli amici di Mičurin, con il sostegno del direttore del CNRS, Georges Teissier. In alcuni casi, la rinuncia al buon senso era motivata dall’opportunismo, ma in molti altri casi si spiega con la forza torrenziale di un’ideologia che agisce come una droga e travolge la coscienza. “L’ideologia“, diceva Jean-François Revel, “è ciò che pensa per te“.
Per concludere, passiamo a “La ricerca del tempo perduto”. L’odio per la CO2 ricorda l’amore folle del sofisticato Swann per Odette, una donna di facili costumi, che finirà per sposare e che lo tradirà. Alla fine della sua vita, in un momento di lucidità, Swann “grida a sé stesso“: “Pensare che ho sprecato anni della mia vita, che volevo morire, che ho rinunciato al mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo“.
Rémy Prud’homme, classe 1936, è professore emerito di università ed ex vicedirettore per l’Ambiente presso l’OCSE.
Scelto e tradotto da Alceste de Ambris per ComeDonChisciotte
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