La filosofia e la modernità: una riflessione

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di Manuel Pignatelli

Filosofia attraverso la modernità per capire il presente. Per alcuni può essere difficile abituarsi allo scorrere del tempo. Un processo immutabile e ordinato prevede che i secondi, le ore e i giorni si susseguano implacabilmente e chi vive non può sottrarsi a questo scorrimento giacché è parte di esso. Quando ci accorgiamo del tempo che passa una delle reazioni più comuni – talvolta sopita per abitudine e pigrizia – può essere quella di reagire istantaneamente, come a voler tentare di recuperare in un attimo tutto il tempo perduto e, forse, anche altro. Eppure c’è chi sopporta questo “fardello” in maniera sicura; questo tipo d’uomo per lungo tempo può rimanere assorto nella sua piccola routine… può farlo, almeno finché i media non gli ricordano che sono passati vent’anni dalle operazioni di guerra statunitensi in Afghanistan e che ora i talebani sono tornati al potere. Boom! Vent’anni… trascorsi come se nulla fosse accaduto.

La filosofia da un’epoca all’altra nella modernità

E’ opinione comune considerare il 1789 un vero spartiacque tra l’età Moderna e l’età Contemporanea, pur consapevoli di come qualsiasi processo storico sia graduale e non suddivisibile in compartimenti stagni.

Tuttavia al contrario di ciò che spesso si legge dalle periodizzazioni scolastiche, è evidente che il 1789 sia stato l’apice del periodo illuministico e non la sua conclusione. Il fallimento dell’era che ne seguì lo prova in maniera schiacciante.

Ad una attenta rivalutazione della storia, infatti, si possono comprendere le cause per cui il cosiddetto Anciem Régime e le istituzioni di cui si fece garante, durante l’età della Restaurazione, non riuscì più ad imporsi stabilmente da un punto di vista culturale, filosofico, politico e sociale. Imitata fino a quel momento dalla borghesia più ricca, l’aristocrazia, o meglio ciò che ne rimaneva, non poté più fare affidamento su prerogative quali la legittimità – decaduta ormai dal 1649 la sacralità dei sovrani dopo la decapitazione di Carlo I d’Inghilterra – e la longevità delle proprie istituzioni. Dopo la Rivoluzione francese nulla era più riproponibile con la stessa efficacia.

Superati gli anni della Restaurazione il processo rivoluzionario supportato dalla borghesia creò progressivamente nuove istituzioni che, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, riuscirono a consolidarsi in quasi tutta l’Europa. Queste nuove istituzioni si radicavano su un altrettanto nuova visione del mondo, a sua volta basata sul celebre motto: “Libertà, Uguaglianza, Fratellanza”.

Da questo breve excursus tra il XVIII e il XIX secolo, si può constatare che persino in epoche drasticamente rivoluzionarie non si verificarono costanti vuoti di potere, anzi, tutt’altro. La storia ci suggerisce che per ogni epoca ed istituzione decadente, ce ne sarà una nuova che man mano si sostituirà ad essa. Un tempo iniziale e un tempo finale.

La dottrina dell’uguaglianza e la rivoluzione: Nietzsche vs Rousseau

Uno dei più noti pensatori del XVIII secolo fu Jean-Jacques Rousseau. Dapprima membro dei philosophes, da cui prese in seguito le distanze, in pieno illuminismo le sue opere ebbero una grandissima influenza e di certo acquisirono notevole importanza per l’ideologia filosofico-politica all’origine della Rivoluzione francese. Non a caso è considerato tuttora il maggior ispiratore dell’avvenimento che lo ha consegnato alla storia, benché la Rivoluzione si sia verificata undici anni dopo la morte del filosofo ginevrino.

Col passare dei decenni la fama di Rousseau crebbe a dismisura: dalla fine del XIX secolo quasi tutte le sue opere furono tradotte addirittura in Giappone1. Attualmente Rousseau rimane uno dei filosofi più conosciuti, o perlomeno uno dei più studiati a scuola e all’università, sebbene la definizione di “stato di natura” su cui si incentra tutto il pensiero roussoviano – e in generale quello dei giusnaturalisti – sia una costruzione astratta più che un’epoca storicamente descritta; una visione da contrapporre alla realtà a lui contemporanea.

Leggendo Nietzsche si comprende la sua grande stima per la cultura francese del XIX secolo. Partendo dall’idea secondo cui «tutte le grandi epoche della cultura sono epoche di decadenza politica (…)” per il filosofo tedesco nel 1888 «(…) la Francia acquista una diversa importanza come “potenza culturale”»4, in netto contrasto con la ormai consolidata potenza politica della Germania bismarckiana.

Ad ogni modo, proseguendo nella lettura de Il Crepuscolo degli idoli, ci si imbatte nell’odio che Nietzsche prova nei confronti del «moralismo rousseauiano» e in particolare della “dottrina dell’uguaglianza”. In merito a quest’ultima definizione egli riteneva inconcepibile “il fatto che per questa dottrina dell’uguaglianza si sia agito così atrocemente e sanguinosamente, conferendo a questa “idea moderna” par excellence una sorta di aureola di gloria e di fiamma, sicché la rivoluzione come spettacolo ha sedotto anche gli spiriti più nobili”.

Pur essendoci una concezione dell’aristocrazia quasi metafisica nel pensiero di Nietzsche certamente non lo si può definire un controrivoluzionario o un simpatizzante dell’Anciem Régime. Tuttavia la critica a quel preciso atteggiamento rivoluzionario è netta da parte del filosofo di Röcken ed essa ci spinge a fare una riflessione: se già allora, secondo Nietzsche, la rivoluzione come spettacolo riuscì a sedurre anche gli spiriti più nobili, nella postmodernità tecnico nichilistica di oggi possiamo ben immaginare la capacità di diffusione e di impatto che potenzialmente ogni notizia può suscitare nell’immaginario collettivo. In sociologia viene definito “il quarto potere”, ovvero il potere costituito dai media di massa.

In effetti sono decenni che il progressismo occidentale in nome di presunti “diritti universali” ricorre allo strumento della guerra, diretta o provocata tramite una rivoluzione interna, per “esportare” un modello politico e sociale estraneo allo sfortunato popolo coinvolto, con la presunzione che la guerra sia essenziale per liberare quel popolo dall’oppressione e dall’oscurantismo. In un modo o nell’altro si attua una rivoluzione. Al contempo una politica decadente, supportata dal “quarto potere”, riesce a reggere il fantomatico principio di autodeterminazione dei popoli e mentre da una parte del mondo c’è una sensazione più o meno indotta, dall’altra c’è la realtà oggettiva: come l’Iraq, la Siria o la Libia, anche la sopraccennata Afghanistan non fa eccezione.

La modernità e il crepuscolo della democrazia e delle sue istituzioni

Andiamo oltre: a che punto è la nostra epoca? Quanto valore rimane alle nostre istituzioni? Nietzsche nella sua lungimiranza ha saputo prevedere e anticipare in maniera dettagliata il declino politico e sociale che stiamo vivendo. Egli scrive: “Le istituzioni liberali cessano di esser liberali non appena le si è ottenute: non esistono allora istituzioni che, più di quelle liberali, danneggino così radicalmente la libertà. Si sa quello che esse portano: minano la volontà di potenza, sono il livellamento, elevato a morale, di montagne e valli, rendono piccoli, vili e gaudenti – con esse trionfa ogni volta l’animale da gregge… Sinché ancora si lotta per ottenerle, queste stesse istituzioni producono effetti completamente diversi; allora promuovono davvero, possentemente, la libertà”.

Considerazioni terribilmente attuali, oltretutto scritte da un filosofo passato alla storia per questioni spesso distorte. Ma soffermiamoci su un ulteriore aspetto in chiave nietzschiana, questa volta sugli istinti che generano le istituzioni: “Una volta venutici meno tutti gli istinti dai quali nascono le istituzioni, ci vengono meno le istituzioni in genere, perché noi non serviamo più a esse. Il democratismo è sempre stato la forma di decadimento della forza organizzatrice (…)».8 Prosegue Nietzsche: «Perché esistano istituzioni, deve esistere una specie di volontà, di istinto, di imperativo, antiliberale sino alla malvagità: la volontà di tradizione, di autorità, di responsabilità estesa sui secoli, di solidarietà nelle catene di generazioni, in avanti e all’indietro, in infinitum”.

Antiliberalismo sino alla malvagità, tradizione, solidarietà nelle catene di generazioni. Tutto assolutamente inammissibile per i canoni liberal-progressisti che oggi soffocano il mondo.

A che punto siamo…

Nel paragrafo 43 intitolato “Detto all’orecchio dei conservatori”10 Nietzsche ci offre la sua conclusione: “(…) una regressione, un ritorno, in qualsiasi senso e grado, non è affatto possibile. (…) Non c’è niente da fare: si deve camminare in avanti, voglio dire camminare passo dopo passo avanti nella décadence (è questa la mia definizione del “progresso” moderno…). Si può ostacolare questo sviluppo e, con l’ostacolarlo, arrestare, accumulare, e rendere più veemente e improvvisa la degenerazione stessa: di più non si può”.

Nel pieno di un ciclone che in poco tempo ha spazzato in maniera evidente, e forse irreversibile, il diritto costituzionale e le istituzioni derivanti da esso. Assieme al diritto positivo anche la stantia politica parlamentare sembra aver abdicato al suo ruolo per far posto a un Leviatano polimorfo, ammantato di scientismo, che pretende un pieno allineamento dei poteri e un controllo biopolitico sui suoi sudditi.

Dunque? Talvolta il valore di una cosa non sta in ciò che con essa si ottiene, ma in ciò che per essa si paga, in quello che ci costa.
Anche queste sono parole di Nietzsche. Le più attuali per chi saprà coglierne l’importanza.

Note
1 https://www.swissinfo.ch/ita/letteratura_rousseau–più-che-mai-scrittore-del-mondo/32963124
2 Friedrich Nietzsche, L’Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo, Roma, Newton Compton editori, 2019, p.132
3 Ibidem, p.132.
4 Ibidem, p.132.
5 Ibidem, p.160.
6 Ibidem, p.160.
7 Ibidem, p.153.
8 Ibidem, p.154.
9 Ibidem, p. 154.
10 Ibidem, p.156.

Fonte: https://oltrelalinea.news/2021/10/08/la-filosofia-e-la-modernita-una-riflessione/amp/

Pubblicato il 09.10.2021

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