La crisi valutaria turca

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FONTE: MOON OF ALABAMA

Il presidente turco Erdogan afferma spesso che “potenze straniere” (leggasi Stati Uniti) vogliono farlo fuori. Dice che la “lobby degli interessi” (leggasi banchieri (ebrei)) vuole danneggiare la Turchia. Ha un po’ ragione su ambo i punti.

Dalla scorsa settimana la lira turca è in una lunga discesa. Solo oggi ha perso quasi il 20% del proprio valore. Probabilmente trascinerà con sé l’intera economia, ed Erdogan ha bisogno di qualcuno da incolpare.

Banche e potenze straniere sicuramente sfruttano le crisi a proprio vantaggio. È però la politica economica di Erdogan ad essere la causa principale. Il lungo boom da lui creato, con denaro straniero preso a prestito, si sta finalmente trasformando in fallimento.

Ecco un riepilogo di come si è arrivati a questo punto.

Il quadro politico più ampio:

Durante la “primavera araba” indotta dagli Stati Uniti, Obama si è unito a Qatar e Turchia nel tentativo di installare i governi dei Fratelli Musulmani in tutto il Medio Oriente. Quando la Clinton ha lasciato la posizione di Segretario di Stato e John Kerry ha assunto la direzione, l’amministrazione ha cambiato strategia. Ha approvato il colpo di stato contro il presidente egiziano eletto Morsi, e si è astenuto dall’utilizzare attivamente le proprie forze armate per arrestare il governo siriano.

La Turchia è stata lasciata col cerino in mano, soprattutto per quanto riguarda la Siria. Erdogan aveva scommesso sul piano americano di rovesciare il governo di Damasco. Il suo invito ai profughi siriani ed il sostegno agli islamici radicali che combattevano in Siria avevano causato la perdita di una notevole quantità di denaro, oltre che altri problemi. La rotta commerciale turca verso i paesi del Golfo, attraverso la Siria, è stata chiusa. Le relazioni economiche con l’Iran  ne hanno sofferto. Erdogan doveva guadagnarci qualcosa.

Le politiche statunitensi gli si sono però ritorte contro. Le proteste di Gezi del 2013 avevano tutti i segni di un tentativo di rivoluzione colorata americana. Non ci sono riusciti. Nel 2014, l’amministrazione Obama ha iniziato a sostenere le forze curde del PKK/YPG a Kobanê, nella Siria orientale. Il PKK è un’organizzazione terroristica che cerca di creare un proprio paese nella Turchia est e nel nord della Siria e dell’Iraq. L’alleanza USA con i curdi, e l’averli riforniti di armi, hanno creato un pugnale PKK/YPG puntato sul ventre turco.

In risposta ad un attacco guidato dalla Turchia a Latakia e Idleb a metà 2015, la Russia ha schierato le proprie forze in Siria. Col senno di poi, è stato quello il momento in cui è finito il gioco di Erdogan in quel paese. Gli Stati Uniti non hanno lanciato una guerra contro la Russia, munita di armi nucleari. La Siria non è caduta. Erdogan tuttavia ha continuato a giocare.

Nel novembre 2015, la difesa aerea turca ha teso un’imboscata ed abbattuto un jet russo. La Russia ha risposto con un blocco totale di tutti gli scambi economici con la Turchia. Non piccole punizioni, come fanno spesso gli Stati Uniti, ma un brusco stop a tutte le relazioni commerciali, comprese le milioni di visite turistiche russe in Turchia. Il danno economico è stato enorme. Erdogan ha dovuto arrendersi. Putin è stato gentile e gli ha permesso di salvare la faccia. Il governo russo ha offerto un lucroso accordo per il gasdotto. A metà 2016, la CIA ha organizzato un duro colpo di Stato contro Erdogan, ma l’intelligence russa l’ha avvertito in tempo. La Turchia sta chiedendo all’America di consegnare Fethullah Gulen, accusato di aver ordito il piano. Gulen è un predicatore turco con un grande séguito, nonché un asset CIA, che risiede in Pennsylvania.
Portare la Turchia dal campo “occidentale” a quello “orientale” potrebbe esser visto come parte della strategia russa nel Mar Neroy. È la ripetizione di un piano di metà Ottocento eseguito sotto lo zar Nicola I. Quello attuale finora ha avuto successo. Si scontra però con i piani americani di rinvigorire la NATO per un’altra lucrosa Guerra Fredda. L’attuale piano degli Stati Uniti è dunque quello di sfruttare i problemi economici della Turchia per poter finalmente detronizzare Erdogan.

Il quadro economico più ampio:

Al di fuori del proprio paese, Erdogan non è ben visto. Il suo stile arrogante ed autocratico non lascia una buona impressione. In Turchia ha però avuto una carriera di grande successo, e continua ad essere supportato dalla maggioranza della propria gente. La ragione è il lungo boom economico da lui creato.

Nel 2002, quando divenne primo ministro, la Turchia si stava riprendendo da una recessione. Il suo predecessore, Kemal Derviş, aveva attuato alcune importanti riforme. Erdogan si è preso i meriti per i risultati. Lui ci ha aggiunto l’aver scardinato tutta una serie di regolamenti ingombranti e l’aver snellito la burocrazia. Ha invitato investimenti stranieri. Il programma ha funzionato bene. L’economia è cresciuta ad un ritmo veloce e molti turchi sono stati tirati fuori dalla povertà. Alcuni sono diventati ricchi. I primi anni di successo economico sotto il suo governo sono ricordati positivamente. L’inflazione procedeva stabile ad un ritmo relativamente basso, anche mentre il denaro era liberamente disponibile e l’economia cresceva. Il vasto programma economico di Erdogan ha però reso il paese anche più vulnerabile.

La Turchia ha un cronico disavanzo. Importa più beni e servizi di quanti ne esporti, e deve prendere in prestito denaro straniero per pagare la differenza. Nei primi anni di Erdogan una gran quantità di denaro è fluita in Turchia, investito però in settori improduttivi. Nuove abitazioni hanno ornato un’Istanbul in forte espansione. Sono stati costruiti nuovi splendidi ponti ed aeroporti, molti centri commerciali e più di 10.000 nuove moschee , oltre ad un palazzo da 1.000 stanze per Erdogan. I suoi compari nell’edilizia sono diventati molto ricchi.
Industrie produttive che creano prodotti da esportare sono però più difficili da costruire, rispetto alle moschee. Erdogan non le ha mai rese una priorità. I disavanzi correnti della Turchia  sono di conseguenza cresciuti dall’1% del PIL a circa il 6%, una cosa chiaramente insostenibile.
Durante il boom, i tassi d’interesse della banca centrale turca sono scesi rispetto ai livelli precedenti, ma comunque più alti che altrove. Le industrie e le banche hanno preso a prestito dollari od euro, che portavano meno interessi ma conseguentemente un alto rischio valutario. Se la lira turca dovesse cadere, i prestiti dovrebbero essere restituiti in valute forti da entrate fatte in una lira in calo.

In circostanze normali, la banca centrale turca avrebbe pianificato una o più recessioni miti durante il boom di 16 anni. Alcuni dei rifiuti accumulati e dei crediti inesigibili sarebbero stati scartati. Il consumo di merci straniere ed il deficit delle partite correnti sarebbero diminuiti. Erdogan ha però una curiosa concezione della teoria economica. Ritiene che alti tassi di interesse causino inflazione.

Ogni volta che la banca centrale turca ha aumentato il proprio tasso per tenere sotto controllo l’inflazione ed impedire alla lira di cadere, Erdogan ha usato parole severe contro di essa e ne ha minacciato l’indipendenza. Il denaro relativamente a buon mercato ha continuato a scorrere, il boom di Erdogan è proseguito, ma i problemi strutturali sono peggiorati.

Dall’inizio del 2017 l’inflazione in Turchia è aumentata. Da allora è passata dall’8% al 15% di oggi. La valuta è scesa. Il valore di 1 lira è sceso da $0,30 nel 2016 a $0,20 una settimana fa. Negli ultimi giorni è scesa di un altro 25%, fino ai $0,15. Ora sono necessarie più di 2.000 lire per rimborsare il capitale di un prestito di 1.000 lire contratto in dollari statunitensi nel 2016. Le industrie e le banche turche hanno preso in prestito circa $150 miliardi in valute estere. Solo quelli che esportano la maggior parte dei propri prodotti in valute forti saranno in grado di ripagare i prestiti. Gli altri sono praticamente in bancarotta.

Il conto per il lungo boom sta arrivando. La lira turca si sta schiantando. Nessuno straniero vuole più prestare denaro alla Turchia. Per correre un rischio così elevato richiedono un interesse estremamente elevato. La Turchia presto non sarà in grado di pagare le proprie importazioni, soprattutto per l’energia di idrocarburi di cui ha bisogno. Rapporti ostili con gli Stati Uniti renderanno difficile anche chiedere un prestito di emergenza all’FMI. Arriverebbe con condizioni molto dure, come le richieste di “riformare”, vale a dire terminare, i benefici che Erdogan ha garantito ai propri elettori.

L’escalation attuale:

L’escalation della crisi valutaria durante l’ultima settimana ha coinciso con un conflitto minore con gli Stati Uniti.

Dopo il tentativo di golpe del 2016, la Turchia ha imprigionato il pastore americano Andrew Brunson, che aveva operato a lungo nel paese, accusandolo di terrorismo. La scorsa settimana è stato pianificato un accordo per scambiare Brunson con un turco detenuto in Israele con accuse di terrorismo. La Turchia si aspettava di più dall’accordo. Vuole che venga liberato Mehmet Hakan Atilla, un banchiere turco, che gli Stati Uniti hanno imprigionato per aver violato le sanzioni statunitensi sull’Iran (cosa di fatto avvenuta: ha organizzato uno scambio oro-petrolio con l’Iran. Dal quale peraltro la Turchia, ed in particolare la famiglia presidenziale, ha tratto profitto).

La scorsa settimana,  gli americani hanno detto che Erdogan è ritornato sui propri passi sull’accordo commerciale:
    L’accordo era un colpo di carambola, siglato personalmente da Trump: scambiare un cittadino turco, imprigionato in Israele con accuse di terrorismo, con Brunson. Evidentemente il tutto è crollato mercoledì, quando un tribunale turco, piuttosto che mandare a casa il pastore, ha ordinato che venisse trasferito agli arresti domiciliari mentre il processo continuava.
Trump e l’ultracristiano vicepresidente Pence sono andati su tutte le furie:
    Giovedì mattina, dopo un’astiosa telefonata con Erdogan, Trump ha risposto per le rime. Gli Stati Uniti “imporranno forti sanzioni” alla Turchia, ha twittato. “Questo innocente uomo di fede dovrebbe essere rilasciato immediatamente”.
    Il vicepresidente Pence è intervenuto, dicendo, in un discorso ad una conferenza religiosa, che la Turchia deve liberare Brunson ora “o stia pronta ad affrontarne le conseguenze”. Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha chiamato il suo omologo ad Ankara.
Gli Stati Uniti sono andati avanti, sanzionando due ministri del governo del suo lungo alleato NATO. Erdogan non ha però voluto cedere. I mercati hanno reagito alle pubbliche sanzioni ed alle minacce di contro-sanzioni. La lira ha cominciato a crollare, da 4,8 lire per dollaro a 5,2. Mercoledì una delegazione turca si è recata a Washington per negoziare ulteriormente la questione, ma i colloqui sono falliti. La lira è passata a 5,5 per dollaro. I mercati si sono allarmati. La ricaduta del battibecco rischia di colpire le banche europee.
Stamattina Erdogan ha tenuto un discorso in cui ha respinto i timori di una caduta della lira:
    “Ci sono varie campagne in corso. Non prestate loro attenzione”.
    “Non dimenticate, se loro hanno i loro dollari, noi abbiamo il nostro popolo, il nostro Dio. Stiamo lavorando sodo. Guarda cosa eravamo 16 anni fa e guardateci ora”.

Erdogan ha detto che non si sarebbe “arreso ai sicari economici”. Le banche che hanno prestato molti soldi alla Turchia potrebbero intendere la frase come una minaccia di dichiarare default sul proprio debito.

A mezzogiorno, la lira diminuiva di minuto in minuto di una percentuale del 20% al giorno. Il genero di Erdogan, Berat Albayrak, recentemente nominato ministro delle finanze, ha tenuto un discorso programmato sull’economia. Si pensava che avrebbe dato alcuni numeri sui deficit e che avrebbe indicato qualche misura concreta. Invece niente. Ha cercato di calmare i mercati dicendo che la banca centrale turca è indipendente ed agirà come necessario. Nessuno crede che la banca centrale possa agire senza l’approvazione del presidente. Erdogan è un auto-dichiarato nemico degli interessi alti, e la banca centrale non è intervenuta oggi quando era urgentemente necessario farlo.

A metà del discorso di Albayrack, Trump è intervenuto personalmente, via Twitter:

    Donald J. Trump @realDonaldTrump – 12:47 utc – 10 Aug 2018
    Ho appena autorizzato un raddoppio delle tariffe su acciaio ed alluminio turchi. La loro valuta scivola rapidamente verso il basso contro il nostro fortissimo dollaro! L’alluminio sarà ora al 20% e l’acciaio al 50%. Le nostre relazioni con la Turchia non sono buone in questo momento!
L’acciaio è una delle maggiori esportazioni turche. Gli Stati Uniti importano più di 1 miliardo di dollari annui di acciaio turco. La Casa Bianca in séguito ha detto che queste tariffe sono legate alla sicurezza, non al commercio.
Erdogan ha parlato al telefono con Putin, per “discutere di legami economici”. Potrebbe aver chiesto un prestito di emergenza.
Nel frattempo la lira è scesa a 6,8 per un dollaro.

Erdogan ha poi dato un altro discorso, in cui ha criticato la pressione americana, senza però nominare Trump o menzionare il suo tweet.

Alla fine della giornata la lira si è attestata a 6,5 rispetto al dollaro, dopo i 5,5 di ieri. Le azioni turche erano diminuite del 2% circa. Le azioni di alcune banche turche e di aziende produttrici di acciaio sono diminuite del 15%. Anche banche francesi, italiane e spagnole, che hanno prestato decine di miliardi di euro a quelle turche, hanno subìto delle perdite.

Scenari futuri:

Erdogan ha ora il fine settimana per discutere della questione con i propri consulenti. Se non vengono prese misure entro lunedì mattina, il crollo di oggi peggiorerà. La banca centrale dovrà aumentare gli interessi al 30+% per fermare la caduta ed attirare denaro straniero urgentemente necessario. L’economia turca entrerà in una profonda recessione. Un certo numero di sue aziende e banche andranno in bancarotta. La disoccupazione aumenterà.

Erdogan incolperà gli Stati Uniti e la “lobby dei tassi di interesse”. I suoi seguaci gli crederanno. Qualsiasi speranza che Erdogan se ne vada è dunque vana.

I problemi della Turchia sono però strutturali. L’esplosione della sua bolla era attesa da tempo. Il suo disavanzo è semplicemente insostenibile. Dovrà ridurre le importazioni ed aumentare le esportazioni. Avrà bisogno di grandi prestiti d’emergenza.

Sì, gli Stati Uniti stanno sfruttando la situazione per mettere pressione alla Turchia. Gli USA non sono però la causa principale del problema. Lo mettono solo a nudo.

La pressione americana non riguarda l’economia turca e nemmeno il pastore Brunson. La pressione, dal 2013, ha l’obiettivo di portare Erdogan in linea con l’agenda statunitense. Dovrà interrompere i suoi buoni rapporti con la Russia. Dovrà interrompere l’acquisto del sistema di difesa aerea russo S-400. Gli potrebbe essere ordinato di fermare l’oleodotto russo. In Siria, dovrà star dietro a quel che faranno gli USA. Finché non lo farà, gli Stati Uniti proveranno di tutto per farlo cadere.

L’unica possibilità che ha la Turchia di sfuggire alle richieste americane è di stringere ancor di più l’alleanza con la Russia. Putin sa che l’omologo turco ha bisogno di lui. Prima farà aumentare la pressione, poi farà le proprie richieste. Erdogan dovrà rinunciare completamente ai suoi piani per la Siria. Tutta la terra siriana che la Turchia o i suoi delegati detengono dovrà essere rimessa sotto il controllo del governo siriano. Solo allora riaprirà la rotta commerciale della Turchia verso gli stati del Golfo. Solo allora la Russia (e l’Iran) aiuterà la Turchia a risolvere le sue crisi.

Lunedì il ministro degli Esteri russo Lavrov andrà in visita.

Erdogan accetterà le richieste russe o si girerà verso il lato americano e si arrenderà a Trump ed al FMI? O troverà un modo diverso per sfuggire a questa calamità?

Aggiornamento (11 agosto, 8:45 UTC):

Erdogan ha scritto  un editoriale sul New York Times di oggi. Ricorda i decenni di buone relazioni, elenca le sue accuse contro la recente azione degli Stati Uniti e la incolpa per il deterioramentodelle relazioni. Il culmine è questo:

In un momento in cui il male continua a nascondersi in tutto il mondo, azioni unilaterali contro la Turchia da parte degli Stati Uniti, nostri alleati da decenni, servono solo a minare gli interessi e la sicurezza americani. Prima che sia troppo tardi, Washington deve rinunciare alla falsa idea che la nostra relazione possa essere asimmetrica e fare i conti col fatto che la Turchia ha delle alternative. Se non si riuscisse ad invertire questa tendenza all’unilateralismo e questa mancanza di rispetto, saremmo costretti ad iniziare a cercarci nuovi amici ed alleati.

 

Fonte: www.moonofalabama.org

Link: http://www.moonofalabama.org/2018/08/how-turkeys-currency-crisis-came-to-pass.html#more

10.08.2018

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

   
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