Un lancio d’agenzia degli amici e colleghi di Giubbe Rosse, ci introduce perfettamente all’articolo.
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NETANYAHU: “ENTREREMO A RAFAH E OTTERREMO LA VITTORIA ASSOLUTA”. STOP USA: “NON ESCLUSE CONSEGUENZE“
Il premier israeliano insiste: “Il male assoluto non può essere sconfitto lasciandolo a Rafah”.
”Entreremo a Rafah e otterremo la vittoria assoluta. Abbiamo eliminato Haman ed elimineremo Sinwar”. E’ la promessa fatta oggi, 24 marzo, dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha celebrato la festa ebraica di Purim insieme agli ufficiali del battaglione Erez della polizia militare. ”Oggi celebriamo la festa di Purim”, ha detto il primo ministro dopo la lettura del Libro di Ester. ”Oltre 2.000 anni fa nell’antica Persia un tiranno antisemita, il malvagio Haman, cercò di sterminare gli ebrei dalla faccia della terra. Gli ebrei si sollevarono, si unirono, combatterono e ottennero una vittoria completa”, ha aggiunto. ”Oggi nella Persia moderna è sorto un nuovo oppressore: il regime iraniano, che cerca di sterminare lo Stato ebraico. Abbiamo già visto cosa fece uno dei messaggeri di questo tiranno. Il 7 ottobre Hamas ha commesso quello che il presidente Biden ha definito ‘un atto di pura malvagità”’. E ha aggiunto: ”Il male assoluto non può essere sconfitto lasciandolo a Rafah”. (Fonte: Adnkronos)
Netanyahu, da sempre giocatore d’azzardo spericolato, chiede agli USA di mettere le carte sul tavolo. Sa che sono abituati a bluffare. Sa che che le rimostranze americane sull’azione israeliana a Gaza sono solo dettate dall’esigenza di non perdere consensi nell’elettorato democratico e che ben difficilmente abbandoneranno il loro alleato storico in Medio Oriente. Se mai Washington si deciderà a quel passo, sarà perché è già pronta in Israele una maggioranza diversa da quella attuale. Ora come ora, Netanyahu teme più il suo parlamento che le pressioni di Washington. Sta rischiando tutto, ma non è detto che gli andrà male. Giubbe Rosse
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La battaglia di Rafah: un breve passo verso la guerra regionale
Di Tawfik Chouman, thecradle.co
La tregua temporanea raggiunta il 24 novembre tra il movimento di resistenza di Hamas e il governo israeliano avrebbe potuto aprire la strada a tregue successive e potenzialmente a un cessate il fuoco sostenibile nella Striscia di Gaza.
Ma l’opportunità è stata sprecata da Tel Aviv, che ha visto la continuazione della sua guerra genocida come un mezzo per rimodellare il paesaggio politico e di sicurezza di Gaza, con il pretesto di ‘ripristinare la deterrenza’ e mitigare le conseguenze interne dell’Operazione Al-Aqsa Flood di Hamas del 7 ottobre.
Ora, a quasi sei mesi dall’inizio di quella che Israele definisce una ‘guerra di sopravvivenza e di esistenza’ contro Gaza, è diventato chiaro che l’aggressione militare dello Stato di occupazione non può scacciare Hamas né dalla Striscia né dalla più ampia arena politica palestinese.
La recente raffica di negoziati indiretti Hamas-Israele tenutisi a Parigi, al Cairo e a Doha ha rivelato una cruda realtà politica: Hamas è la principale parte negoziale palestinese per quanto riguarda Gaza. Questo tacito riconoscimento da parte di Tel Aviv segna il fallimento strategico di uno dei duplici obiettivi di Israele stabiliti lo scorso ottobre, volto a sradicare Hamas e le fazioni di resistenza alleate nella Striscia.
Gli interessi politici di Bibi contro il contraccolpo interno
Questa realtà solleva domande sui potenziali percorsi disponibili per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che sta lottando con l’immensa pressione internazionale per fermare la carneficina. Persevererà con la guerra a Gaza e rischierà lo status di paria globale, oppure sarà costretto a perseguire un accordo politicamente costoso? Quest’ultima opzione, va notato, non sarà una soluzione facile. Potrebbe potenzialmente scatenare una tempesta di contraccolpi interni in Israele, con varie fazioni politiche desiderose di ritenerlo responsabile da più punti di vista.
Da quando Netanyahu ha abbandonato la tregua a novembre, i principali commentatori politici israeliani e persino gli ex Primi Ministri sono stati sorprendentemente unanimi nella loro valutazione. Essi sostengono che la decisione di Netanyahu di prolungare la guerra serve principalmente i suoi interessi politici personali, permettendogli di proiettare un’illusione di vittoria, eludendo il controllo politico, di sicurezza e giudiziario.
Di conseguenza, la posizione di Netanyahu rimane fermamente contraria a un accordo di guerra. Ha invece raddoppiato la necessità di eliminare le capacità militari di Hamas e dei suoi alleati e sta apparentemente perseguendo una ‘vittoria assoluta’ attraverso una guerra totale.
La roadmap del Primo Ministro si basa sul proseguimento della pulizia etnica di Gaza. In questo scenario, egli immagina la Battaglia di Rafah come il culmine decisivo che renderà definitivamente obsoleta la già terminale ‘soluzione dei due Stati’ e troncherà definitivamente ogni legame tra Gaza e la Cisgiordania occupata.
La Battaglia di Rafah emerge quindi come un punto cruciale, che delinea due traiettorie in competizione: una guidata dagli sforzi regionali e internazionali verso una soluzione negoziata, e l’altra dettata unicamente dalle ambizioni di Netanyahu.
Ramificazioni regionali e dilemma dell’Egitto
Ciò solleva domande complesse sulla possibilità di Netanyahu di prolungare la guerra e di influenzare gli attori regionali e internazionali – per guadagnare tempo, se così si può dire – tenendo conto del delicato equilibrio di potere che coinvolge l’Egitto e della più ampia guerra regionale contro altri membri dell’Asse della Resistenza.
In effetti, la battaglia di Rafah rappresenta una sfida a più livelli per l’Egitto, che comprende dimensioni politiche, di sicurezza e popolari. Se l’esercito israeliano dovesse invadere Rafah, ciò avrà implicazioni significative per le relazioni del Cairo con Tel Aviv, oltre ad avere un forte impatto sul panorama della sicurezza interna dell’Egitto.
Un recente sondaggio dell’Istituto di Washington per gli Studi sul Vicino Oriente ha rivelato che tre quarti degli egiziani vedono Hamas positivamente. Questo sentimento popolare influenza la politica egiziana riguardo alle potenziali azioni israeliane a Rafah.
Il 10 marzo, il New York Times e il Wall Street Journal hanno riportato gli avvertimenti dei funzionari egiziani sulla potenziale sospensione degli Accordi di Camp David se Israele dovesse attaccare Rafah.
Diaa Rashwan, capo del Servizio Informazioni egiziano, ha sottolineato la gravità dell’occupazione da parte di Israele del Corridoio Philadelphi – una zona cuscinetto sul confine tra Sinai e Gaza designata dall’accordo di Camp David – affermando che rappresenta una grave minaccia per le relazioni tra il Cairo e Tel Aviv.
Gestire i potenziali afflussi di massa di civili gazani in cerca di rifugio e di combattenti palestinesi che attraversano il territorio egiziano pone anche significative sfide logistiche e di sicurezza. Questo scenario solleva anche domande sulle potenziali incursioni dell’esercito israeliano nel territorio egiziano e su come l’esercito egiziano risponderebbe.
Inoltre, qualsiasi intensificazione della pressione su Rafah o un’invasione israeliana su larga scala porterà a ramificazioni regionali diffuse, potenzialmente includendo lo scioglimento degli Accordi di Abraham. L’Asse della Resistenza ha chiarito che l’eliminazione di Hamas è inaccettabile e, se minacciata, potrebbe scatenare una guerra regionale.
A complicare ulteriormente le cose c’è la mancanza di pressioni sostanziali da parte degli Stati Uniti su Israele per fermare le sue azioni a Gaza. Mentre la Casa Bianca di Biden cerca un ‘piano operativo credibile’, non si è opposta in modo inequivocabile ad un attacco a Rafah. Questa ambivalenza consente e addirittura incoraggia Netanyahu a continuare le sue operazioni militari.
Rafah potrebbe rimodellare la regione
Indipendentemente dall’esito della battaglia di Rafah, sia la prospettiva israeliana che quella statunitense la interpretano come una campagna diretta contro Hamas, che vedono come un’estensione dell’influenza iraniana nella regione. Questa narrazione si allinea con ciò che Thomas Friedman, scrivendo per il New York Times, ha definito la nuova “Dottrina Biden“, che enfatizza il confronto con l’Iran e i suoi alleati in Asia occidentale. Questo segna un cambiamento significativo nella strategia statunitense dal 1979.
La convergenza degli interessi statunitensi e israeliani getta sospetti sugli sforzi in corso per raggiungere un cessate il fuoco a lungo termine, con tutti gli occhi puntati sull’attuale ciclo di colloqui a Doha. Amos Harel, scrivendo per Haaretz, inquadra le discussioni come una corsa verso un cessate il fuoco negoziato o un conflitto regionale potenzialmente esteso che coinvolge più fronti.
Il movimento Ansarallah dello Yemen, che la scorsa settimana ha ampliato le sue operazioni navali nell’Oceano Indiano, ha lanciato un duro avvertimento contro un’invasione di Rafah, minacciando una forte escalation delle operazioni sia marittime che aeree, compresa la chiusura dello stretto di Bab al-Mandab.
Allo stesso modo, il fronte libanese rimane sensibile agli sviluppi a Rafah. Nonostante l’espansione del fronte settentrionale dall’inizio del 2024, i recenti attacchi israeliani che hanno preso di mira Baalbek, a più di 100 chilometri dal confine meridionale, suggeriscono la volontà errata di Tel Aviv di intensificarsi.
Questa possibilità potrebbe tradursi in realtà se Israele invadesse Rafah, in quanto l’esercito di occupazione potrebbe ricorrere ad azioni preventive per mitigare le minacce percepite dalle forze di resistenza libanesi.
Nel complesso, la battaglia di Rafah probabilmente rimodellerà il conflitto regionale, aggiungendo nuovi livelli ai fronti di pressione esistenti. È importante notare che mette in discussione l’idea che Hamas sia solo, abbandonato a Rafah, poiché diversi attori regionali, tra cui l’Iran e i suoi alleati, stanno osservando da vicino e sono pronti a intervenire.
Di Tawfik Chouman, thecradle.co
22.03.2024
Tawfik Chouman è un giornalista e ricercatore in questioni relative al Medio Oriente e scrive per diverse piattaforme mediatiche come Al-Safir, An-Nahar e Al-Hayat.
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Fonte: https://thecradle.co/articles/the-battle-of-rafah-a-short-step-to-regional-war
Tradotto dalla Redazione di ComeDonChisciotte.org