ISLAM E NICHILISMO

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DI Flores TOVO

Comedonchisciotte

 

Alcuni grandi storici, come Dimitri Merezkovskij e Max Gallo, ci raccontano che Napoleone Bonaparte, dopo la vittoria sui Mamelucchi sul campo di Embabah, presso le Piramidi, entrasse trionfante pochi giorni dopo nella città del Cairo, il 24 luglio del 1798, pensando che la via delle Indie fosse ormai aperta. Inaspettatamente il 7 agosto gli giunse la tremenda notizia della distruzione della flotta francese da parte dell’ammiraglio Nelson nella rada di Abukir presso Alessandria. Non potendo più partire dall’Egitto, Napoleone allora progettò di arrivare alle Indie via terra, pensando di allestire, sotto la direzione degli ufficiali francesi, un grande esercito islamico. Ma per far ciò ritenne che lui stesso doveva dimostrare di essere un fedele di Maometto. Per questo egli trascorse molti giorni a parlare di teologia coi bey del Cairo (i principi vassalli dell’impero ottomano), cercando di convincerli che voleva farsi islamico, poiché era del parere che Dio fosse l’Uno e che la Trinità era una sciocchezza. Ma soprattutto egli amava dire che la Rivoluzione francese era l’Islam, in quanto essa incarnava la comunità intera della Francia, come l’Islam rappresentava la comunità di tutti i credenti dell’impero ottomano. Napoleone ottenne l’appellativo di “sultano di fuoco”, ma non fu comunque creduto come il secondo inviato dopo il Profeta. Poi, come si sa, dopo aver fallito un tentativo militare in Siria, abbandonò l’impresa, riuscendo a tornare il Francia per fare quello fece.

Ho riportato questo breve aneddoto, perché Napoleone (da genio politico qual era) colse chiaramente l’essenza della religione islamica, pur senza tanti studi e senza conoscere per davvero alcuna teologia, islamica o cristiana che fosse (di cui in realtà non gliene importava niente). Egli insomma capì che codesta religione era profondamente comunitaria.

C’è allora da chiedersi il perché l’Islam abbia questa cifra e da quali concetti di base nasca questa caratteristica fondamentale. All’uopo bisogna riportare alcuni brani-chiave del Corano (fra i più letti, studiati e pronunciati come preghiera), cominciando dalla sura (capitolo) 112 denominata Al-Ikhlas (Il puro monoteismo) che così dice:

  • Di’: “Egli Allah è unico,
  • Allah è l’Assoluto.
  • Non ha generato, non è stato generato
  • e nessuno è uguale a Lui.

per poi passare al versetto 3 della sura 87, “Al-A’la” (l’Altissimo) in cui si afferma che Allah

è “Colui che ha decretato e guidato” (1).

Sono, come si può osservare, due brani brevi, pure rari riguardo lo specifico tema, che sono però fondamentali nella rivelazione di come Dio possa essere concepito dai fedeli.

Sin dai primi 2 versetti della sura 112 può notare come Dio è sancito come l’Unico ed Assoluto. L’unicità implica l’astrazione pura del pensiero, e perciò Egli (Allah) è l’Assoluto, sciolto da ogni vincolo o determinazione, intuibile solo intellettualmente, che di per sé va oltre ogni conoscenza empirica concreta. L’Unico viene considerato l’infinito trascendente rispetto al mondo delle cose e degli esseri viventi, e  il versetto 3 della stessa  sura  ne sancisce l’eternità.

C’è da dire, per comprendere meglio la genesi di questo pensiero, che verso la fine del VI secolo e agli inizi del VII le tribù arabe si trovarono in mezzo ad una tremenda crisi dovuta a profonde discordie e povertà economica e che in questo contesto visse Maometto. Il suo genio religioso fu proprio quello di individuare il Principio unico: Allah. In un mondo senza boschi e vegetazione, senza fiumi e colline verdeggianti, dove la diversità delle cose è ridotta al minimo, l’unica divinità concepibile era un Dio luminoso e splendente che tutto comprendeva, e che tutto dominava. L’assoluta Unità è concepibile molto più facilmente nel deserto. Del resto Allah non era diverso da Jahwè, anch’esso un Dio che è l’espressione concettuale sorta nelle lande desolate dei deserti mediorientali.  Il Vecchio Testamento, in particolare il Pentateuco, si ripresentava nel Corano.  Con una differenza netta però, che Allah era il dio di tutti gli uomini e non di un unico popolo. Gli Ebrei avevano, per primi, venerato l’Uno come massima sintesi del pensiero puro. Tuttavia, come fece notare Hegel nelle sue opere giovanili, Geova (Jahwè) venne pensato come il dio di un popolo particolare, e cioè il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, un dio che strinse alleanza solo col popolo eletto, che, proprio per questo, si rese nemico con i popoli limitrofi. Hegel scrive inoltre nelle sue “Lezioni sulla filosofia della storia”, che la particolarità di tale rapporto viene cancellata col maomettismo. “Allah non ha più il fine affermativo limitato del dio ebraico” (2). La soggettività del pensiero umano trapassa nell’oggetto di un dio infinito, che, negando il mondo delle cose e dei viventi, si colloca al di là del tutto. Allah, come prima Geova, viene perciò concepito come pura astrazione intellettuale: egli non ha in sé, né la Trinità, né la prole, nè immagini o riferimenti al mondo finito, che vengono banditi. Lo stesso Maometto è solo un profeta uomo, che riceve dall’arcangelo Gabriele il libro di Allah, che diventa il libro di tutta la comunità. Un libro eterno, immodificabile, non riformabile, poiché la parola di Dio non può essere discussa o cambiata. Il Corano, che si traduce come Recitazione divina, è perciò il libro universale, che appartiene a tutti gli uomini, compresi quelli che non lo conoscono.

Se si torna alla sura 112, versetto 3, si nota altresì che Allah è eterno e non crea il mondo. La proposizione “non ha generato”, vuol significare che il mondo finito non viene dopo Dio, ma che è da sempre connaturato in Lui. Tuttavia l’eternità, che è atemporale, ha in sé il mondo degli enti che è temporale, cosicchè esso è sia perpetuo (senza inizio e fine) che indefinito, e perciò soggetto alla perenne trasformazione tra vita e morte. Questo concetto è fondamentale se si vuole comprendere il “segreto” della teologia islamica, soprattutto quella che fa riferimento ai suoi fondatori e cioè El-Farabi e Avicenna (vicini ad una dimensione neo-platonica) e ad Averroè (di ispirazione aristotelica). Per costoro, nonostante le differenze di impostazione, Allah è l’Esistenza Pura, ossia è l’ “ipsum esse subsistens”, l’Essere Supremo che esiste in sé, o meglio, che in-siste in sé. L’In-sistenza è il valore dei valori, che implica eternità, perfezione, indeterminazione, unicità e assolutezza, tutti attributi pensabili solo con una intuizione intellettuale, in quanto trascendono anch’essi la nostra esperienza sensibile. Ma soprattutto Allah è il Necesse est, il Necessario che contiene in sé la contingenza, cioè il mondo dei possibili, ossia il nostro mondo soggetto a vita e morte. Le cose naturali esistenti, derivano necessariamente da Allah, scriveva Avicenna. Questa esistenza degli enti finiti, come siamo noi, è però un ex-sistere, cioè un uscire-da dipendente da altro, poiché in sé non avrebbe alcun fondamento. E questo dipendere da altro rimanda ad un Essere necessario, inteso appunto come Esistenza pura,  che ha il fondamento di sé. E proprio per questa sua dipendenza, il mondo delle cose e della natura altro non è che un accessorio accidentale, per cui tutto ciò che è accaduto, accade o accadrà è subordinato interamente al volere conoscitivo di Allah: “Insch’Allah” ( se Dio lo vuole) è l’esclamazione più usata varie volte al giorno da tutti gli islamici. Allah è la luce che tutto illumina: egli è “Luce su luce… guida verso la sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore. Allah è onnisciente” (3).

La produzione del mondo non è un atto libero, ma una necessaria manifestazione stabilita da Dio stesso. Ciò viene conclamato dal versetto 3 della sura 87 “l’Altissimo” che sancisce che Allah è Colui che “ha decretato e guidato”: egli “ha determinato il ruolo e la funzione di ognuna delle sue creature, ha insegnato la sopravvivenza agli animali, ha mostrato agli uomini la via della salvezza eterna” (4). Dio è il Necessario Necessitante (Causa sui), mentre il mondo dei viventi è il necessario necessitato causato dal “Necesse est” divino, e perciò un accessorio accidentale assolutamente assoggettato al volere di Allah. Ecco che si spiega la parola Islam, che significa soprattutto, al di là delle tante aggettivazioni accreditate, sottomissione ed obbedienza. Sottomissione perché si dipende totalmente da Allah, ed obbedienza perché il Corano è stato scritto da Allah stesso, che attraverso l’arcangelo Gabriele,  come s’è detto, lo ha dettato a Maometto che, come profeta, lo ha solo enunciato. Gli islamici non adorano infatti Maometto, ma solo Allah.

Allah è quindi il padrone della vita e della morte di tutti gli esseri viventi e nessuno può sottrarsi al suo comando. Da qui discende l’atteggiamento spirituale più marcato presso gli islamici: quello di un fatalismo totale che determina ogni attimo della vita. Per cui viene a mancare qualsiasi  senso della libertà umana che può destinare il proprio avvenire secondo le proprie determinazioni volontarie individuali: il destino è sempre destinato. Qui sta la differenza primaria col Cattolicesimo. Mentre, per esempio, S.Tommaso, che ne è il teologo consacrato, afferma che l’atto di esistere è un atto creato dalla libera volontà divina, come atto di perfezionamento, per cui gli enti possiedono, per partecipazione, il libero arbitrio (5), Avicenna e soprattutto Averroè ribadiscono che l’esistenza degli enti è una emanazione necessaria di Allah, per cui tutti gli esseri viventi sono sottoposti a Lui. La stessa Incarnazione divina è considerata un peccato mortale (shirk) solo nel concepirla. Si deve credere in Dio solo nella sua somma astrazione.

Le ripercussioni di questa veduta sul piano esistenziale concreto sono molteplici: nella dimensione religiosa islamica non esistono la pittura e la scultura (le immagini sono vietate), sia la commedia e la tragedia (che comporterebbero situazioni personali casuali e volontariamente libere) come forme artistiche. La stessa storiografia viene accettata solo in rapporto alla storia dell’Islam, per cui le storie degli altri popoli sono considerate marginali. Se poi aggiungiamo le diversità di etica, di trattamento delle donne, di alimentazione e altro si può capire che il distacco fra la cultura europea e quella islamica è abissale.

L’Islam è una religione assai poco complessa, a cui si può aderire senza difficoltà alcuna, poiché i 5 pilastri canonici (professione di fede, le 5 preghiere giornaliere, il digiuno mensile, il viaggio nei luoghi santi, l’elemosina) sono facili da rispettare. Inoltre la legge della sharia, basata sul principio della legge del taglione o del contrappasso e la scarsa considerazione giuridica riguardo le donne, sono in sintonia con una mentalità antica propria dei popoli mediorientali.

Una religione, invero, che ci è estranea sotto tantissimi aspetti,  ma che oggi costituisce un pericolo gravissimo per il nostro continente, e che solo gli ignavi, gli sprovveduti o i nostri nemici interni possono far finta di ignorare. Proprio per la quasi assenza di implicazioni teologiche, per la  facilità che si ha nel seguirne le norme e per una legge che risponde al bisogno di giustizia compensativa che hanno le vittime nei confronti dei rei, l’Islam costituisce un formidabile antidoto nei confronti del nichilismo dilagante, soprattutto nelle grandi città dell’Europa e dell’Occidente tutto.

Allah, si diceva, è l’universalità pura ed eterna: il vero fedele islamico si deve sottomettere attraverso l’adorazione a questa Unità dalla cui attività infinita tutti discendono. Questa astrazione spirituale, libera da ogni faticoso impedimento od ostacolo teorico-pratico, profonde un entusiasmo esaltante, che può essere l’anticamera del fanatismo per coloro che si prostrano ad essa (6). Si tratta perciò di una religione sostanzialmente “dispotica”, poiché l’unico capo è Allah (infatti non esiste un clero organizzato), ma che è anche, paradossalmente, la più  democratica: infatti nella comunità emerge colui che sa proferire meglio la parola di Allah. Si può perciò dire che essa è una religione “carismatica”, in cui la comunità può essere decisamente condizionata in modo empatico da coloro, Iman o Mullah che siano, che più sanno dare pregnanza e potenza vivifica al Corano.  Proprio per questo i capi conclamati possono influenzare in modo politicamente estremistico o moderato l’insieme dei comportamenti della comunità in cui operano. La comunità risponde ad Allah perchè la dottrina principale della visione islamica è l’“Et-Tawhid”: esso determina, come scriveva Guènon (7), che il principio di ogni esistenza è essenzialmente Uno, un Uno che tutto unifica, in quanto tutto è derivato da Lui e quindi che è a comune a tutto ciò che è molteplice, pur rimanendo in Se stesso l’Invariabile. La subordinazione all’Uno crea perciò il senso della coappartenenza sottomessa, che nella condivisione comunitaria genera, abbiamo detto, l’entusiasmo fanatico. Tale entusiasmo può condurre al jihad, cioè allo sforzo santo, che può essere di natura militare (agcar jihad, piccolo sforzo) o intellettuale (akbar jihad, grande sforzo). Uno sforzo che può portare al martirio (shahid), poiché coloro che moriranno sulla via di Allah, non moriranno mai e avranno un compenso immenso (8).  Infatti si dimentica troppo facilmente che l’Islam è una religione di guerrieri. Se per secoli essa ha avuto momenti esaltanti (dal 600 al 1200 circa) ed altri deprimenti (soprattutto negli ultimi tre secoli) ciò è dovuto sia al suo fatalismo, sia alla sua incapacità di dominare in profondità su civiltà e culture più complesse come la nostra. Ma oggi l’Islam conta quasi 2 miliardi di veri credenti e ha alle spalle alcuni Stati ricchissimi di risorse economiche e finanziarie. Esso ha di nuovo rialzato la testa e ha ripreso il suo piano di espansione verso il continente europeo che nel passato l’ha sempre respinto con successo.

Il nichilismo europeo ed occidentale, che ormai pervade la nostra esistenza e il nostro pensare quotidiano, ha causato il prosperare del relativismo totalitario, come è il “politicamente corretto”, tendente ad annientare i valori naturali e tradizionali, con la conseguente distruzione dello spirito comunitario che va a segnare il trionfo dell’individualismo impersonale. Il “tutto è lecito” (tranne il mettere in discussione la forma-capitale) è la dimensione dominante del nostro esistere. L’Islam, nella sua rozza semplicità, si raffigura come radicale alternativa esistenziale incompatibile e non mediabile col nostro mondo.

Oggi nell’Ue gli islamici sono quasi 30 milioni su 500 circa di europei, a cui si possono aggiungere i quasi 50 della Turchia europea e della Russia. Un numero destinato a crescere sempre più, poiché essi sono assai più prolifici.

Ora, se si analizza anche superficialmente ciò che abbiamo scritto, si comprende che parole come accoglienza, integrazione, assimilazione sono del tutto prive di sensatezza; sono espressioni che rivelano una ignoranza totale, e che spesse volte sono mosse da stupidi interessi che già ora si stanno rivelando come atti criminali contro la nostra civiltà. Gli islamici esistono solo come comunità compatta: infatti una eventuale  apostasia di un solo singolo sarebbe duramente condannata. Spesse volte ci si meraviglia se islamici di terza o quarta generazione presenti in Europa compiono azioni terroristiche contro persone innocenti. In realtà ogni vero islamico odia la nostra cultura, che fra l’altro considera debosciata e depravata in tutte le sue forme sociali e politiche. Egli vede la nostra degenerazione dei costumi, l’individualismo nevrotico, l’assoluta mancanza di spiritualità, vede una chiesa cristiana guidata da accecati che non capiscono nulla della storia, neanche della loro, e che per giunta sognano, magari un giorno futuro, di convertirlo. Vede il nichilismo. Lo odora, lo sente e quindi comprende la nostra estrema debolezza. Credere che le popolazioni che si spostano dal centro-nord Africa, le quali compongono oggi il famoso proletariato esterno descritto dal grande storico Toynbee, si dirigano verso di noi per ricercare un lavoro è un’altra pia illusione. Esse si accalcano qui perché attratte dalla nostra ricchezza e dal nostro lassismo nel difenderla. Le invasioni sono sempre avvenute per questi motivi nel passato e a maggiore ragione avverranno nel futuro, visto lo spaventevole incremento demografico africano e sud-asiatico. Pensare poi che esse servano come esercito industriale di riserva per abbassare le paghe dei nostri lavoratori è una verità molto parziale, se non minima, in un mondo tecnico automatizzato, considerando anche il loro basso livello di preparazione tecnico-pratica.

In realtà vengono qui per depredarci e distruggerci, e bisogna capirlo in fretta perché tra non molto sarà troppo tardi.

 

Flores TOVO

Fonte: comedonchisciotte.org

Gennaio 2019

Note:

  1. I brani riportati dal CORANO sono stati tratti dal testo ufficiale tradotto e commentato sotto l’egida dell’U.C.O.I.I. (Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia), edito dalla Newton & Compton, Roma 1996. La traduzione è di Hamza Roberto Piccardo. La sura 112 si trova a p. 566, mentre la 85 a p. 539.
  2. W.F. HEGEL, Lezioni sulla filosofia della storia, ed. Laterza, Bari 2003, p. 296.
  3. CORANO, sura 24, versetto 35, pp. 307-308.
  4. CORANO, sura 87,versetto 3, p.539.
  5. Tutte le dispute fra filosofia islamica e cattolicesimo qui riportate si trovano in “L’ente e l’essenza” di TOMMASO D’AQUINO, a cura di G. GALEAZZI, Ed. Paravia, Torino 1991.
  6. W.F. HEGEL, op. cit., p. 295.
  7. GUENON, Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo, ed. Adelphi, Milano 2003, pp. 39-44.
  8. CORANO, sura 3, versetti 169-172, p. 82.

 

Testi letti e consultati:

  • ABBAGNANO- G. FORNERO, Protagonisti e testi della filosofia, vol. A, tomo 2, Ed. Paravia, Torino 1999.
  • BURCKHARDT, Meditazioni sulla storia universale, Ed. Sansoni, Firenze 1985, pp. 103-105.
  • CORBIN, Storia della filosofia islamica, Ed. Adelphi, Milano 1989.
  • A. ARBORIO MELLA, Gli Arabi e l’Islam, ed. Mursia, Milano 1981.
  • J. TOYNBEE, Storia comparata delle civiltà, Ed. Newton Compton, Roma 1974.
  • WEBER, Economia e società, vol. II, Edizioni di Comunità, Milano 1981.
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