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IRAQ, UN VIAGGIO TRA STORIA E ATTUALITÀ

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A cura di Redazione CDC
Il 23 Giugno 2023
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IRAQ, UN VIAGGIO TRA STORIA E ATTUALITÀ

Di Luca Pingitore, cese-m.eu

Uno sguardo fugace dal finestrino dell’auto sulla quale viaggiamo tradisce i nostri volti non autoctoni.

Il militare, fino a pochi istanti prima svogliato, diventa più attento e ci intima lo stop.

Riconosciutici italiani, con tono deciso, comunica al nostro autista che dovrà sottoporci ad alcune domande.

La portiera del veicolo si apre di scatto ed il soldato ci intima: “Chi è tifoso del Milan può passare. Se qualcuno fosse invece della Juventus verrà trattenuto.” Il milite se la ride divertito. Anche lui sfoggia il tipico baffo nero “alla Saddam” che qui in Iraq deve esser considerato una sorta di status symbol. Finanche alcuni manichini notati in botteghe di abbigliamento in diversi suk se ne fregiano.

La strada che va da Baghdad a Mosul, principale via di comunicazione che collega la capitale dell’Iraq con il nord e la Repubblica Autonoma del Kurdistan, è disseminata di controlli e posti di blocchi. In particolar modo il segmento che da Tikrit si snoda appunto verso Mosul. La città dove nel 2014 fu proclamata la nascita del fantomatico Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, meglio conosciuto come Isis.

Una città che ora si presenta distrutta nel suo centro storico ma già in fase di ricostruzione grazie all’aiuto anche di fondi internazionali. Chi ha visitato la Siria di recente, passeggiando adesso per Mosul, prova un sussulto al cuore ma allo stesso tempo avverte compiacimento per come la situazione sia in fase di ripresa e intravede speranza anche per il futuro dell’attiguo Stato siriano il quale si trova invece all’anno zero.

Mosul e l’area nord – ovest dell’Iraq sono tornati sotto il controllo governativo solo da pochi anni ma la situazione non è ancora completamente stabile e di conseguenza esercito regolare, polizia e diverse milizie paragovernative vigilano la zona. I resti archeologici dell’antica città di Hatra sono ancora sotto il controllo difensivo militare iracheno in quanto l’Isis stabilì proprio qui uno dei suoi quartier generali. Furia iconoclasta sulle statue e scritte nere inneggianti allo Califfato sono tuttora ben visibili. Fino a poco tempo fa l’Iraq risultava praticamente spezzato in due ed era consigliato spostarsi in aereo per bypassare la zona.

I punti di controllo disseminati sulla strada in concomitanza delle vie di accesso alle cittadine della regione o sulle convenzionali linee di confine tra i governatorati come anche in altre zone cruciali di passaggio sono numerosi. Si rallenta, i veicoli vengono sottoposti a controllo visivo e se non destano sospetto lasciati proseguire per la propria marcia.

Niente di paragonabile ai veri e propri check point militari che caratterizzano il nord della Siria da Hama ad Aleppo (1). Ma lì la guerra è ancora in corso e l’autostrada, in alcuni punti, funge sostanzialmente da linea del fronte con i battaglioni di Al Nusra. Il comune denominatore di queste postazioni di controllo è però l’affabilità e la cordialità dei militi. Sia in Siria che in Iraq, seppur nel rispetto dei ruoli, il trattamento ricevuto è sempre stato di cortesia e curiosità.

Finanche quando, nei dintorni di Mosul per un controllo più serrato in seguito ad una incomprensione, siamo costretti ad un lungo stop in casa di una delle più famigerate milizie paragovernative presenti sul territorio iracheno. Acqua fresca e thè caldo ci vengono comunque con gentilezza serviti.

Tracce di Saddam Hussein

Riconoscere i simboli e comprendere quale milizia paragovernativa opera nelle varie zone dell’Iraq o gestisce la postazione dalla quale si transita risulta di non semplice orientamento. La galassia di sigle che si alternano all’ esercito vero e proprio ed alla polizia locale è ampia.

La maggior parte si ispira a movimenti iraniani essendo maggioritaria la componente sciita tra la popolazione irachena. Risulta quasi paradossale come l’Iraq che nel 1980 iniziò una guerra contro il vicino Iran con il risultato di circa un milione di morti da entrambe le parti, è divenuto ora un Paese a forte influenza iraniana. Ma erano altri tempi e Saddam Hussein si fece convincere anche da altri attori stranieri che era giunto il momento di combattere la Repubblica Islamica d’Iran. Salvo poi restare abbandonato ed impantanato nel conflitto per circa otto anni. Una guerra insensata che vide addirittura soldati delle due parti contrapposte uno di fronte all’altro in una trincea sulla linea del fronte trascorrere il tempo scambiandosi parole e sigarette.

Saddam ci ricascò una seconda volta, nel 1990 attaccando il Kuwait, e fu quello l’inizio della sua fine. Fine che avvenne praticamente proprio per mano dei suoi ex consiglieri stranieri che, dapprima con l’immediata “Operazione Desert Storm” ed in seguito con il caos creato invadendo l’Iraq nel 2003, provocarono i presupposti per l’arresto, la condanna a morte ed il termine del governo ultraventennale del Rais.

Al Awja è il piccolo villaggio alle porte di Tikrit dove Saddam nacque. In seguito alla sua caduta il sobborgo fu svuotato di gran parte dei suoi abitanti, molti appartenenti alla tribù familiare di Saddam, e chiuso all’esterno da una sorta di assedio militare. Accessi centellinati e con permessi d’entrata da ottenere.

Anche perché il paesino ospitava il corpo del suo illustre cittadino, tumulato dopo la sua esecuzione nel 2006, in una tomba comunque riconoscibile.

Questo fino al 2015 quando, durante accesi scontri tra esercito iracheno e miliziani dell’Isis, il piccolo mausoleo fu distrutto come la quasi totalità della cittadina. Il suo corpo però fu per tempo traslato in una località ad oggi sconosciuta ai più.

Al Awja oggi si presenta come un agglomerato di macerie, case distrutte e abbandonate. Le strade di accesso sono ancora chiuse ma senza più la pressione militare di qualche anno fa.

A pochi chilometri da qui, nella città di Tikrit, Saddam si era fatto costruire una imponente residenza presidenziale che racchiudeva nella vasta area di pertinenza anche un importante reperto storico del cristianesimo assiro, la cosiddetta Chiesa Verde.

Anche questo sito, come la tomba di Saddam, è stato scenario di scontri con l’Isis e soprattutto si è trovato ad essere indiretto protagonista della più grande strage compiuta dai suoi militanti, i quali chiusero in una sorta di imbuto migliaia di militari iracheni che furono trucidati in vario modo. L’area del palazzo, ufficialmente chiusa, resta per i visitatori appassionati di storia una tangibile testimonianza di questa tragica pagina conosciuta come il “massacro di Camp Speicher”.

Come restano testimonianze del governo del Rais le diverse residenze costruite in varie località dell’Iraq, palazzi oramai lasciati all’incuria ed alla mercè di tutti.

Da Basra a Babilonia dove una delle sue dimore, utilizzata in seguito dalle truppe statunitensi le quali tracce sono ancora ben visibili, si affaccia direttamente sulla Storia: l’antica capitale della Mesopotamia.

Memorie di Saddam Hussein in giro per il paese, edifici sfarzosi a parte, è possibile comunque trovarne diverse.

Tralasciando il datato yacht rimasto ancorato sul fiume Shatt Al Arab, corso fluviale figlio dell’unione degli storici fiumi Tigri ed Eufrate, in alcuni siti è possibile notare il sigillo raffigurante la firma di Saddam o bassorilievi da lui commissionati con motivi bellico-celebrativi.

Resta più difficile invece imbattersi in sue effigi essendo state tutte rimosse e distrutte nei mesi del suo tracollo. A partire dalla celebre statua di circa quaranta metri ai tempi ubicata nel centro di Baghdad.

A meno che non ci si rechi al cospetto dell’unico ritratto raffigurativo rimasto in piedi e reso ancor più unico dai colpi di munizioni sparatigli contro nei giorni della sua caduta. Un reperto storico oramai dimenticato dai più.

Saddam Hussein non era completamente amato dal suo popolo ma alla luce di come si è sviluppata in seguito la storia del Paese, con uno stato di guerra continua per più di quindici anni, è possibile sentire affermare tra la popolazione che i tempi del “baffone di Tikrit” erano paradossalmente preferibili all’invasione degli Usa del 2003, alla conseguente guerriglia contro gli invasori, alla guerra avverso lo Stato Islamico dal 2014, alla rivoluzione con centinaia di morti contro la corruzione dei “nuovi governi” nel 2019.

Praticamente una intera generazione di giovanissimi è nata e cresciuta con la guerra.

In realtà anche quella precedente, cresciuta negli anni ’80, si può obiettare.

Vero”, puoi sentirti ribattere, “ma i nostri padri o fratelli più grandi almeno la guerra [contro l’Iran. N.D.R.] non l’hanno vissuta in casa ed in ogni angolo del paese come noi”.

Magra consolazione per i ragazzi in cui alberga la forza di rinascita di un Paese che presenta diverse zone di disperazione ma che si muove verso una beneaugurante ripresa. In fondo beni primari in campo energetico e di risorse naturali come petrolio ed acqua non mancano.

A partire dall’invaso sul fiume Tigri creato dalla diga a nord di Mosul. Raccolta di acque che gestisce l’irrigazione dei campi sin dai tempi di Saddam e fino a poco tempo fa difesa militarmente da battaglioni dell’esercito italiano trattandosi di un luogo altamente strategico.

La presenza italiana

Esercito, reparti dei Carabinieri e contractors nostrani sono stati presenti in Iraq sin almeno dal 2003 tramite l’“Operazione Antica Babilonia” che vide i militari italiani in appoggio alla coalizione anglo-statunitense dopo l’invasione. Missione attiva fino al 2006, tre intensi anni durante i quali l’Italia ha subito la più alta percentuale di attacchi e perdite di vite umane nelle sue varie partecipazioni militari di supporto a missioni internazionali.

Soldati e Carabinieri, inviati nel sud dell’Iraq, erano acquartierati anche loro insieme ad altri eserciti stranieri nei dintorni di Nassiryiah, all’interno della vasta area utilizzata come base operativa delle forze statunitensi e denominata Camp Mittica. Il distretto italiano era direttamente confinante con i resti dell’antica città sumera di Ur e, secondo la leggenda, luogo natale di Abramo. Il sito archeologico fu salvaguardato dai Carabinieri ed oggi dagli unici due piani, quel che resta, della celebre ziqqurat assunta a simbolo della antica località è possibile osservare la superficie che occupava l’enorme base militare. Poco più in là, invece, si sviluppa una prigione di massima sicurezza, caratteristica scenografica della gran parte dei pochi chilometri che separano Ur da Nassiryiah. La città che proprio sul fiume Eufrate ha ospitato le piccole basi Maestrale e Libeccio utilizzate dai reparti italiani. La Libeccio oggi ospita gli uffici del Governatorato della regione mentre la Maestrale è tornata ad essere quello che era prima della guerra, la sede della locale Camera di Commercio.

Proprio l’avamposto della Maestrale, sul lato nord del fiume, fu attaccato da un camion bomba che causò la morte di ventotto tra militari e civili ed il ferimento di altrettante persone.

Un film intenso ma esiliato all’oblio ricorda quei drammatici momenti: “20 sigarette a Nassiryiah”, realizzato poco tempo dopo da uno dei sopravvissuti, Aureliano Amadei, recatosi proprio il giorno prima dell’attentato in Iraq per girare un documentario. Ironia della sorte trovò subito La Storia da raccontare e purtroppo per lui da involontario protagonista.

L’altro distaccamento italiano sull’Eufrate, la base Libeccio, fu poco tempo dopo operativa durante la cosiddetta “battaglia dei ponti” che vide i militari italiani nuovamente sotto attacco. Come lo furono in seguito altre due volte in fase di transito da Talil / Camp Mittica verso la città. Ci furono delle perdite umane anche in quelle occasioni. Trovarono la morte in quegli anni anche il contractor Fabrizio Quattrocchi ed il giornalista freelance Enzo Baldoni. A loro andò peggio di chi fu rapito a scopo estorsivo o politico ma infine rimasto in vita come i tre compagni di Quattrocchi, (Umberto Cupertino, Maurizio Agliana, Salvatore Stefio) o le cosiddette “due Simona” (Simona Pari, Simona Torretta) collaboratrici in loco di una ong. Tutti liberati, a detta dei soliti bene informati, una volta pagato un lauto riscatto e, in particolar modo nel caso delle due ragazze, con il sospetto di trattarsi di una “operazione coperta”. Questo ultimo punto esula dal nostro oggetto ma ci permette di dire che tutti questi casi furono seguiti dal Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare (SISMI) coordinati da Nicola Calipari. L’alto funzionario trovò la morte proprio a Baghdad dopo aver preso in consegna la giornalista Giuliana Sgrena vittima di un rapimento ed appena liberata grazie ad un ulteriore intervento dell’intelligence italiana. Partiti dalla Green Zone, l’area di Baghdad ancora oggi off limits per la presenza di uffici governativi, varie ambasciate (statunitense in primis), residenze ed hotel di lusso per operatori stranieri, Calipari e Sgrena cercando di raggiungere l’aeroporto della capitale incapparono nel fuoco di un posto di blocco americano. La Route Irish, il lungo rettilineo sul quale viaggiavano, era ai tempi oggetto di attacchi, attentati e sotto la frequente mira di cecchini. Versioni contrastanti dell’accaduto e diatribe tra istituzioni portarono a controverse verità rimaste forse per sempre sospese. Atterrando a Baghdad l’ex Route Irish è ancora la prima strada, oramai ammodernata, che si percorre per giungere in centro città ma nessuno più si ricorda di Calipari e del punto in cui avvenne il fattaccio.

Influenza iraniana e lo sciismo

Tutti però sanno dove nel gennaio 2020 Qassem Soleimani e Abu Mahdi al Muhandis furono disintegrati da un drone statunitense. A ricordarli, nella posizione precisa, restano anche le carcasse bruciate ed accartocciate delle due auto sulle quali viaggiavano.

Al Muhandis era a capo delle Forze di Mobilitazione sciite irachene mentre Soleimani comandava le Brigate Quds delle Guardie della Rivoluzione iraniane. Un personaggio icona, un martire e quindi venerato dagli sciiti. Gigantografie con il suo volto le vediamo quasi ovunque in Libano, Siria, Iraq senza ovviamente citare il natio Iran.

La costante presenza di Soleimani in Iraq fa ulteriormente notare il forte legame con l’Iran.

Del coinvolgimento economico e militare, derivato appunto dalla comune radice sciita, si è già accennato. Ma è soprattutto in ambito religioso che l’interconnessione è congiunta.

Proprio le città irachene di Najaf e Kerbala ospitano le tombe rispettivamente del Primo e del Terzo Imam degli Sciiti, Alì ed Husayn. Luoghi considerati sacri da tutti gli sciiti, sciismo sul quale appunto si fonda l’Iran come Repubblica teocratica e dalla quale provengono anche le maggiori guide religiose di questo ramo dell’Islam.

Dopo Medina, La Mecca o Gerusalemme un buon sciita deve recarsi a pregare almeno una volta, non come obbligo ma come esperienza religiosa, nelle città sacre di Kerbala, Najaf e magari anche nella vicina Kufa o nella moschea di Kadhimiya a Baghdad.

La devozione popolare la si avverte anche nel cimitero sacro di Wadi al Salam a Najaf, il cimitero islamico più vasto al mondo con i suoi sei chilometri quadrati di estensione e le sue migliaia di tombe disseminate a perdita d’occhio. Esser sepolti qui è considerato un privilegio ed è facile imbattersi, viaggiando da altre località verso Najaf, in autobus collettivi che oltre a caricare persone e bagagli trasportano anche bare dirette al sepolcreto sacro.

L’atmosfera di festa e partecipazione che coinvolge migliaia di fedeli ogni giorno ed ogni notte a ciclo continuo all’interno delle aree sacre di questi luoghi, Kerbala e Najaf in particolar modo, è travolgente anche per un visitatore non religioso.

Intere famiglie che passeggiano o si ristorano in picnic improvvisati o nei numerosi ristoranti della zona, decine fedeli che pregano all’unisono all’interno delle grandi moschee, una folta calca ordinata davanti le tombe dei profeti. Dove sono riposti i sarcofagi ci si accalca per toccarli o per pregare al loro cospetto ma cercando di evitare di creare intralcio al flusso di persone che si muove all’interno della moschea-sepolcro. A far rispettare la regola ci pensano diversi addetti dotati di bastone piumato che redarguiscono chi, magari sostando a scattare fotografie, crea un ingorgo. Ma può anche capitarti che siano gli stessi addetti ad importi di farti da loro fotografare davanti le tombe scoprendoti visitatore turista.

O che il personale del servizio di sicurezza ti intimi di seguirlo nei meandri del santuario fino ad un immenso sfarzoso salone dove il responsabile generale del luogo e l’iman della moschea ti aspettano per offrirti un paio di tazze di fumante thè locale.

Tra storia ed ospitalità

Thè iracheno che ci viene offerto anche da alcuni vertici militari della zona della già citata Tikrit. Invitati a seguire gli agenti al Comando ci ritroviamo seduti a sorseggiare la bevanda nera ed a colloquiare affabilmente con l’intero reparto.

Gli unici che, almeno apparentemente, non ci degnano di considerazione sono gli eleganti uomini degli apparati di sicurezza che supervisionano l’aeroporto di Baghdad durante l’attesa del nostro volo di rientro.

Uomini d’altri tempi fuoriusciti direttamente da una pellicola degli anni ’70.

In procinto di lasciare il Paese è per noi il momento di iniziare a metabolizzare questo viaggio; un viaggio effettuato nella storia più che nella geografia. Dall’antica Mesopotamia degli Assiri, dei Sumeri e dei Babilonesi, attraversando gli anni della guerra con l’Iran prima e la cosiddetta “Guerra del Golfo” dopo, constatando di persona le reali e durature conseguenze delle fantomatiche “provette di Colin Powell”, rivivendo i luoghi dove i nostri connazionali subirono gli attacchi, imbattendoci da vicino nella figura di Saddam Hussein.

Un viaggio effettuato comunque tra la gente, la quale ci mostra in ogni momento la propria accoglienza nei mercati, nelle strade, nelle mudhif [case di canna. N.D.R.] degli abitanti delle paludi del sud di millenaria tradizione.

Ma viaggiare in Iraq, come ancor di più visitando la Siria, interesse turistico ed attuali tragiche vicende di guerra non possono purtroppo scindersi tra di loro. D’altronde si viaggia anche per questo: conoscere il passato ed apprendere il presente.

Di Luca Pingitore, cese-m.eu

21.06.2023

LUCA PINGITORE è Presidente di OTRA “Associazione Viaggiatori indipendenti”.

Il Centro Studi Eurasia Mediterraneo (CeSEM) si propone di formulare interpretazioni obiettive delle vicende della nostra contemporaneità e di fornire chiavi di lettura con le quali orientarsi e promuovere momenti culturali e sociali in grado di accompagnare la transizione dal mondo unipolare al mondo multipolare. A tal fine si avvale di un gruppo di lavoro interdisciplinare – che consente un’analisi di ogni contesto sotto più prospettive di studio- volto ad approfondire tematiche o progetti internazionali, regionali e/o di ogni singola realtà governativa nonché locali.

NOTE 

(1) Luca Pingitore, VIAGGIO IN SIRIA, IL PAESE CHE LA GUERRA NON HA ABBATTUTOwww.cese-m.eu, 9/4/2023.

Fonte: https://www.cese-m.eu/cesem/2023/06/iraq-un-viaggio-tra-storia-e-attualita/

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