Io sono una di loro

La storia dei Mapuche, nativi del Sudamerica che pretendono libertà e dignità nella loro terra oggi (come ieri) negata da Cile e Argentina. Una Storia lontana ma con dinamiche e risultanze molto molto vicine a noi.

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ComeDonChisciotte.org ha trattato più volte il caso dei nativi amerindi Mapuche nella lotta per la loro terra, da secoli colonizzata e che oggi è tra “Cile” e “Argentina”.

Abbiamo intervistato l’educatrice Juana Antieco:

E poi ospitato un recente loro SOS nella battaglia contro le multinazionali che, in complicità col governo argentino, vogliono sfruttare le ricchezze naturali che il popolo indigeno rivendica come appartenenti ai Mapu (terra).

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una nostra connazionale che vive e lavora a Buenos Aires e che supporta, assieme ad altri attivisti locali, attraverso l’associazione culturale Convergencia de las Culturas Argentina, questo popolo oppresso nel suo impervio cammino di lotta politica per l’autodeterminazione e la libertà.

Buona lettura.

Di Annalisa Pensiero

I mapuche sono un popolo millenario del Sudamerica. Raccontarne la storia o aspetti della loro cultura sarebbe riduttivo; non solo per i contenuti immensi da trasmettere, ma perché tanti e diversi possono essere i punti di vista da cui osservare e quindi raccontare.

Il valore che può avere, per quanto posso dire io, è più testimoniale che di conoscitrice di un mondo e di uno stile di vita che racconterebbero meglio di me, loro stessi. Mi dispongo come ponte tra due visioni del mondo, che prima di parlare ed esporsi, ha ascoltato. Con l’intenzione di comprendere.

La sorpresa più grande è stata rendersi conto che le aspirazioni di questa gente non sono molto diverse dalle mie, forse dalle nostre.

Io sono una di loro

Io non sono mapuche, ma le mie amiche che appartengono a questo popolo mi assicurano che non sono nemmeno winka (una bianca, ma razzista e sfruttatrice). Loro appartengono alle famiglie, le Lof, Lafken Winkul Mapu, Cayunao e Curache, tutte appartenenti alla Patagonia, Argentina.

Invece conosco il territorio e i mapuche cileni come potrebbe conoscerli chi entra nella rete e ne segue i discorsi in streaming.

Io sono una di loro

Ma con Soledad Cayunao, Mirta Curuhuinca e Juana Antieco ho parlato personalmente tante volte, a Bariloche ho visitato la casa, la ruka, dove Luciana Jaramillo, Betiana Colhuan Nahuel, Romina Rosas e Celeste Guenumil hanno scontato 8 mesi di arresti domiciliari[1]. Ho attraversato e conosciuto i loro territori, ho ascoltato le loro storie, mi hanno raccontato della loro ricerca della forza, il newen, necessaria per costruire con determinazione la strategia di resistenza che hanno scelto, di cui parlerò meglio dopo.

Io sono una di loro

Perché sono vicina alla resistenza di questo popolo?

Perché mi riconosco nelle loro motivazioni, nei loro valori: ne tessiamo insieme le trame, silenziose e quasi invisibili, fortissime però negli occhi e nei sentimenti, quando ci riconosciamo.

Per cercare di comprendere i perché della resistenza mapuche, bisogna conoscerne la sostanza più intima: la dignità. Che significa una manifestazione della non violenza, perché rifiutano il tradimento di sé stesse e della storia di resistenza dei loro antenati. Tradirsi, quindi, è continuare a subire le condizioni di vita degradanti e inaccettabili che da 150 anni gli vengono imposte.

La loro ricerca spirituale è la stessa ricerca della fonte da cui scaturisce il massimo valore della convivenza umana: la nonviolenza, e questo ci unisce. Le differenze degli stili di vita, delle forme cerimoniali della spiritualità, diventano aspetti secondari, che non ci impediscono affatto di sentici parte di un unico grande processo umano.

Questa ubicazione di fronte alla vita, è l’aspetto che né giudici, né latifondisti, né affaristi e tantomeno una parte della società argentina può cogliere. Il motore della loro resistenza non è utilitaristico, è in gioco la loro dignità e la loro profonda necessità di libertà per ricostituirsi come popolo, come tipo di società e come stile di vita. Loro pretendono di esistere, proprio come noi!

Passando ora agli aspetti legati alla legittimità della resistenza mapuche, potrei fare una lunga e noiosa lista di convegni, trattati, leggi internazionali e locali, per fare un resoconto dettagliato della storia delle relazioni interetniche tra le istituzioni degli Stati coinvolti, quelli dove vivono i mapuche: Cile e Argentina; e le diverse Lof, famiglie, e le organizzazioni mapuche.

Non prenderò questo cammino, ma per comprendere è necessario che spieghi minimamente il senso ed il perché del fallimento di questi tentativi di “mettersi d’accordo”. Questi tentativi, è importante ricordarlo, sono stati proposti dagli stessi indigeni, gli Stati si sono solo visti obbligati a rispondere alle richieste di giustizia e di diritti.

È anche buono sapere che prima della creazione dell’Argentina e del Cile, i mapuche erano un unico popolo, senza barriere geografiche.

Oggi continuano a riconoscersi come tale, anche se esistono alcune differenze nei loro processi di rivendicazione etnopolitica, perché rispondono ai governi e quindi alla legislazione nazionale di due stati diversi. Ma ciò che li unisce è molto più forte, perché risponde alla stessa necessità profonda di ricostituirsi come popolo.

Nella misura in cui il processo rivendicativo cresce, più forte è la reazione degli strumenti repressivi governativi che difendono essenzialmente gli interessi privati connessi allo sfruttamento dei territori e delle risorse naturali.

Io sono una di loro

Quando si obietta che le rivendicazioni territoriali mapuche sono impossibili da sostenere, bisogna tener presente questioni importanti: innanzitutto è buono sapere che tutta la legislazione internazionale esistente per la difesa dei diritti indigeni è frutto delle rivendicazioni, delle denunce e delle proposte delle organizzazioni dei nativi in tutto il mondo. Si tratta di decenni di assemblee, di tavoli di dialogo, di revisione di documenti e di accordi tradotti in Convegni, Dichiarazioni, Patti, ratificati poi da diversi paesi, tra cui Argentina e Cile.

Questa legislazione[2] sancisce in primis il diritto dei popoli all’autodeterminazione e alla consultazione previa e informata. Si tratta di meccanismi concepiti per facilitare il dialogo interculturale, finalizzato al raggiungimento di accordi tra lo Stato e le popolazioni indigene, attraverso la loro partecipazione nella formulazione e nella valutazione dei programmi che riguardano soprattutto i territori dove vivono.

Questo principio basico di convivenza tra “vicini”, non è mai stato applicato, in nessuno dei due Paesi.

Io sono una di loro

La resistenza mapuche in Patagonia, Argentina

Adesso mi riferirò principalmente al processo nella Patagonia argentina, che conosco più a fondo:  oggi, i territori vengono via via messi in vendita senza il minimo rispetto per le popolazioni che ci vivono;[3] recentemente è stato ceduto a società di capitale multinazionale un territorio che contiene la sorgente di uno dei fiumi più grandi della Patagonia, il Chubut. E vi si implementano fattivamente attività estrattive di gas non convenzionale, come a Vaca Muerta, regione Neuquén e limitrofe. In questo caso, la consultazione “previa e informata” verso il popolo mapuche si è limitata a spiegare quale sarebbe stato il progetto e i benefici che ne avrebbe tratto il Paese.

Benefici che non riguardano le necessità delle popolazioni locali (men che mai quelle indigene). E le azioni deleterie per l’ambiente abbondano, denunciate non solo dagli stessi mapuche, ma anche da diverse organizzazioni ecologiste del posto, trattandosi dell’uso del discutibile metodo del fraking.

Le lamuen, le donne mapuche, ci raccontano che sono figlie degli sgomberi dai territori dove vivevano. Da bambine hanno vissuto l’umiliazione di vedersi forzate ad abbandonare, con le loro famiglie,  le loro case, i loro animali ed i loro territori, per andare a vivere a Bariloche, a El Bolson a El Maiten, piccole e grandi città dell’Argentina profonda.

Hanno visto i loro genitori attivare lunghissimi e inutili processi istituzionali e pure giudiziari, per veder applicate quelle leggi che dovevano garantire il recupero dei loro territori, quindi della loro cultura. Ma dopo lunghi anni di tentativi senza alcun risultato, la nuova generazione mapuche ha deciso che, essendo una farsa il rispetto della legge – perché non dipende da loro, ma da quello stesso Stato che ha ratificato e sancito quelle norme, per poi di fatto ripudiarle come carta straccia -, ha iniziato la strategia della resistenza, ossia è tornata a vivere in quei territori da cui i loro antenati erano stati cacciati con la forza da chi si sentiva e si sente oggi padrone: nuovi proprietari e forze dell’ordine che ne difendono gli interessi.

Perché dovremmo accettare la tesi secondo cui i nuovi latifondisti hanno pagato quelle terre e quindi ne sono i padroni in diritto a difenderle, mentre non dovremmo accettare l’argomento di chi viveva in quei territori da secoli ed è poi stato sgomberato senza alcun diritto a potervi rimanere? Tutti diritti sanciti dalla Legge!

Un’altra rivendicazione comune è il rifiuto dell’implementazione delle leggi anti-terroriste che finiscono per legittimare la criminalizzazione del ritorno degli indigeni ai loro territori, con lunghi periodi di prigione preventiva, indagini protette dal segreto, e l’uso di testimoni dall’identità riservata.

Essi soffrono l’essere trattati come criminali, anche se la loro unica forma di difesa, quando l’esercito o la polizia li attacca con operazioni di forza inaudita e deliberata, è l’uso di pietre e parolacce.

Argentina e Cile non considerano i mapuche interlocutori alla pari, quindi, anche se gli concedono il diritto di dire la loro, quel parere risulta sempre marginale, ininfluente, persino inutile visto che non conta nulla, data la sproporzione dei rapporti di forza, tradotta prima di tutto nell’ inapplicata  giurisprudenza vigente a tutela dei nativi. La loro parola non ha alcun valore.

C’è di fondo un abuso di potere che rende impuniti tutti gli atti di violenza istituzionale perpetrati dai governi di turno.

Gli accordi che ogni tanto si riescono a concludere, rimangono soltanto su carta.

I governi non possono creare precedenti pericolosi, ossia favorevoli ai mapuche: perché al recupero territoriale si sommerebbe al contempo quello identitario di tutti i mapuche che oggi, invisibili e silenziosi, vivono nelle città della Patagonia. E il conflitto rischierebbe di diventare incontrollabile.

Ma non è facendo finta di niente che si risolve il problema. I nodi di 150 anni di violenza sono arrivati ormai al pettine, sono migliaia: atti di violenza non solo legata al passato, ma anche violenza istituzionale, discriminazione e razzismo che continuano tutt’oggi: antiche e nuove ferite devono essere sanate ogni giorno, ad un costo umano ed esistenziale altissimo.

Se si continua a credere che la crescita del fenomeno del risveglio etnico possa essere contrastato con l’uso della violenza fisica della polizia e dell’esercito, il futuro ci riserverà problemi ancora maggiori, perché ci si ostina a non voler comprendere la portata di un fenomeno umano che non retrocede affatto, anzi. Esso si rafforza sempre più di fronte all’oppressione e si fa ancora più forte anche grazie all’appoggio di molto di quel popolo che indigeno non è.

Io sono una di loro.

 Annalisa Pensiero, attivista di Convergencia de las Culturas Argentina

14.08.2023

 

Io sono una di loro

NOTE

[1] https://comedonchisciotte.org/resistenza-mapuche-la-lotta-di-un-popolo-millenario-che-difende-la-propria-terra/

[2] Convegno 169 dell’OIT. Sia il Cile che l’Argentina hanno ratificato tale convegno, rispettivamente nel 2008 e nel 2001. I diritti sanciti da questo Convegno in Argentina diventano un articolo della Costituzione del 1994: Art. 75, comma 17:” Riconoscere le radici etnico-culturali delle popolazioni indigene argentine. Garantire il rispetto della identità di tali popolazioni e il diritto ad un’educazione bilingue e interculturale; riconoscere la personalità giuridica delle loro comunità e il possesso e la proprietà comunitaria dei territori che normalmente occupano; regolamentare inoltre il conferimento di altri terreni adatti e sufficienti per lo sviluppo umano; nessuna di tali terre sarà alienabile, trasmissibile, né soggetta a gravami o sequestri. Assicurare la partecipazione di tali popolazioni alla gestione delle proprie risorse naturali e delle altre cointeressenze che le riguardino. Le province possono esercitare congiuntamente tali attribuzioni”. Il Diritto internazionale sancito nel Pacto Internacional de Derechos Civiles y Políticos, e nel Pacto Internacional de Derechos Económicos y Sociales della Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, ratificati in Cile nel 1972 e in Argentina nel 1976, sanciscono nell´Art. 1 che:

  1. Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione. In virtù di questo diritto essi
    determinano liberamente il loro status politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
  2. Tutti i popoli possono, per raggiungere i propri fini, disporre liberamente delle loro ricchezze e risorse naturali, senza pregiudizio per gli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale basata sul principio del mutuo vantaggio e sul diritto internazionale.

In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza. In Cile, tra il 2000 e il 2006, la Comisión de Verdad Histórica y Nuevo Trato con los Pueblos Indígenas (CVHNT) stabilisce che “gli attuali territori mapuche dovranno essere sotto l’amministrazione autonoma del popolo Mapuche, che dovrà disporre liberamente delle risorse e prendere decisioni in tutti gli ambiti che competono l’autonomia territoriale”. La Legge n. 19.253 del 1993, ha riconosciuto la preesistenza dei popoli indigeni, la loro relazione identitaria con le loro terre e ha incluso uno speciale statuto di protezione per le terre indigene.

[3] Nel 1996, l’allora Presidente Carlos Menem vende illegalmente a Joe Lewis, un multimilionario inglese, 12.000 ettari di territorio, che include il Lago Escondido, ubicato alla frontiera con il Cile. Nel 1991, vende a Luciano Benetton, 900.000 ettari di territorio mapuche, nel senso che in quel territorio vivevano al momento della vendita comunità mapuche, alcune delle quali oggi sono nuovamente nel territorio per rivendicare il loro diritto a tonare da dove sono stati cacciati.

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