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La Redazione

 

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Io chi e punti di vista

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A cura di AlbertoConti
Il 27 Giugno 2023
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Io chi e punti di vista

Disegno di Elena Carrea

Di Alberto Conti per ComeDonChisciotte.org

Comprendere un punto di vista altrui significa fare proprio, voler prendere con sé il sé di un altro, il contenuto e il senso del suo punto di vista. E’ un atto di apertura consapevole e amorevole. Per contro è una capacità atrofizzata negli egocentrici duri e puri, nei meri consumatori compulsivi, negli scettici disimpegnati dalla morale, e peggio ancora negli ipocriti funzionali, cioè in tutti quei soggetti falsamente puritani, che per quieto vivere subiscono passivamente il punto di vista del tiranno di turno, e perdono così l’autenticità del proprio, annichilendosi spiritualmente.

Un tempo si diceva che i sensi sono cinque, uno dei quali è la vista. In realtà sono molti di più, almeno una ventina, se per “senso” s’intende la capacità di utilizzare un particolare organo sensoriale del proprio corpo per provare quella particolare sensazione, che è il vivere in prima persona un’esperienza significativa, piacevole o sgradevole, sublime o dolorosa, comunque finalizzata a percepire direttamente una realtà che ci riguarda, il cui significato viene associato alla realtà stessa che facciamo nostra, interiore, comprendendola. A ben vedere siamo proprio noi a creare il significato per noi stessi, costruendoci un’immagine di realtà dotata di quel significato.

E’ il nostro modo personale ed esclusivo per sentire e capire il mondo, quella porzione minima di mondo che qui ed ora ci si para davanti, diventando accessibile, interiorizzabile, comprensibile ed eventualmente analizzabile in modo consapevole e razionale. Ed è proprio l’esame di realtà che più di tutto distingue tra loro le persone, accomunandole in gruppi più o meno eterogenei rispetto ad un centro, compresi i matti, che all’estremo tali ci appaiono proprio in base al loro esame di realtà, su se stessi e sul mondo, chiaramente alterato, non più compatibile con una realtà condivisa, e soprattutto refrattario a qualsivoglia interpretazione razionale dall’esterno.

Ma torniamo al “punto di vista”, che come dice l’allocuzione riguarda uno dei 5 sensi in particolare, privilegiandolo come rappresentante di tutti i sensi operativi nel nostro corpo. Nell’occhio sappiamo che la parte fotosensibile, la retina, comprende vari elementi percettivi, come ad esempio i coni e i bastoncelli, ma non solo, atti a rilevare qualità diverse dell’immagine, nitidamente proiettata grazie al cristallino, che è un vero e proprio obiettivo fotografico di natura biologica. Quindi la stessa vista è una sintesi di diverse percezioni (forme, colori, movimenti, ecc.), che una parte del cervello elabora processando i segnali elettrici, prodotti in tutti questi “sensori” di ciascun occhio e trasmessi dai due nervi ottici, poi sintetizzati in un’unica sensazione che è la visione del reale accessibile dal nostro punto di osservazione particolare, coincidente geometricamente coi nostri cristallini. Il tutto fondato sull’ipotesi sperimentale, non sempre confermata, che i segnali luminosi viaggino in linea retta a una velocità talmente elevata da sembrare infinita (300.000 Km/s), così che ogni variazione del segnale luminoso sembri istantanea, da qualsivoglia distanza e direzione provenga.

E’ proprio così, grazie principalmente alla vista, che abbiamo una percezione diretta dello spazio-tempo, la cui concezione è alla base della moderna fisica classica, quella fondata da Galileo e Newton, per intenderci. Un modello matematico che sembrava descrivere perfettamente e definitivamente la realtà fisica, fino alla sua successiva relativizzazione da parte di Einstein e ancor più dai fondatori della fisica quantistica, attualmente sempre più comprovata sperimentalmente nei suoi calcoli e principi matematici, quanto ancora incompresa intellettualmente nel suo significato ontologico, che sembra inconciliabile con la nostra naturale capacità di comprensione sensoriale, intesa in senso materialistico.

Eppure da sempre nella storia dell’uomo possiamo riconoscere i segni di una trascendenza nella comprensione della realtà rispetto alla sua interpretazione meccanicistica e deterministica, formulata a partire dalla mera elaborazione intellettuale delle percezioni sensoriali di cui siamo dotati. Una trascendenza che non nasce tanto dalla negazione del valore conoscitivo direttamente proveniente dalle nostre capacità sensoriali, i cui esiti sono comunque oggetto di critiche più che fondate in tal senso. Al contrario è proprio nell’approfondire il difficile processo sensoriale-conoscitivo che si possono intuire e in taluni casi cogliere nitidamente i significati più profondi delle nostre capacità conoscitive di una realtà che trascende il modello meccanicistico e deterministico dominante nella nostra attuale cultura occidentale. E’ il passaggio che riguarda un “terzo occhio” creativo e la nostra personale coscienza, di cui tutti potremmo sperimentare l’esistenza ogniqualvolta lo volessimo fare onestamente, coltivandola amorevolmente al riparo da un’inflazione di stimoli esterni. Cosa tutt’altro che facile, schiacciati come siamo da una montagna di condizionamenti d’ogni sorta, che falsificano o semplicemente annientano l’esercizio del nostro libero arbitrio, reso possibile proprio da una serena e corretta autoindagine coscienziale.

Il nostro “punto di vista” estemporaneo il più delle volte è del tutto falso rispetto alla realtà, essendo anche il risultato, oltre che di falsificazioni strumentali esterne, di un compromesso interiore, che comprende la strenua autodifesa inconscia dall’aggressività ambientale, intesa come ostilità sistemica della componente competitiva nelle relazioni sociali, per come le abbiamo costruite e istituzionalizzate sul modello mercantilistico della nostra civiltà. E’ il prezzo oscuro da pagare per “il progresso”, e individualmente per sentirsi adeguati e inseriti nel sistema che ci da da vivere, quando non siamo in grado di pagare un altro e ben più nobile prezzo per la critica e il contrasto allo stesso sistema così com’è, divenuto insostenibile agli occhi virtuali della nostra coscienza più autentica. Un sistema che rende ipocriti nell’autoinganno di doverlo accettare comunque senza alternativa, giustificandolo impropriamente come il migliore dei mondi possibili, fino a subirne passivamente i parossismi, nel linguaggio descrittivo capovolto in senso orwelliano, nelle conseguenti dissonanze cognitive, nel transumanesimo strisciante, nel nichilismo valoriale, nelle sperequazioni sociali divergenti all’infinito, e più in generale nel male imperversante, reiterato e imposto con la forza bruta, a partire dal mostrificato vertice dominante della piramide sociale.

C’è chi dice che questo è il finale inesorabile nell’evoluzione della nostra civiltà greco-romana, dipanatasi nei secoli fino alle attuali distopie centrate nell’anglosfera unipolare, ultimo bastione di un mondo decadente e morente, schiacciato dalla sua stessa insostenibilità del privilegio.

Il mio punto di vista è però un altro, che restituisce piuttosto l’immagine di una crisi di crescita, un difficile passaggio evolutivo da un’adolescenza viziata dagli agi tecnologici in rapida evoluzione, talmente seducenti da rappresentare il moderno vitello d’oro, il falso Dio pagano, in realtà tentazione demoniaca, che solo un adeguato risveglio della coscienza può contenere e contrastare, per poter governare la crescente potenza strumentale delle nuove tecnologie al fine di scongiurarne un loro cattivo e letale utilizzo, spinto da una malsana pulsione primordiale a crogiolarsi nel soddisfacimento delle peggiori debolezze dell’animo umano, che da sempre rappresentano il lato oscuro della libertà intrinseca all’esperienza umana nel mondo.

Parliamo di un rischioso principio di libera scelta individuale con relativa assunzione di responsabilità, che tuttavia rimane un sacrosanto privilegio della razza umana, forse radicato nella coscienza propria della vita stessa nel mondo naturale, cioè in una realtà evoluta ben più universale e armoniosa di una qualsiasi storiaccia geopolitica ideologicamente assistita e sostenuta dai più bassi istinti dell’età evolutiva. Non possiamo rinunciare alla libertà spirituale caratteristica del nostro essere, ormai non foss’altro che per obbedire all’istinto di sopravvivenza, comune a tutta la biologia, della quale costituiamo un esempio particolarissimo, ma non per questo esentato dall’obbedire alle leggi universali. La libera e volontaria obbedienza alle regole di Madre Natura non è un paradosso, ma uno dei tanti modi di partecipare degnamente a questa meravigliosa avventura cosmica, ove regna l’armonia dei contrari.

Ultimo esempio: questi ragionamenti sembrano incentrati su un individualismo che parte dall’attenzione a se stessi, volta a concretizzare la necessità e la grande valenza positiva di una continua fatica personale per aprirsi al cambiamento, anche profondo, grazie alla tensione nel voler conoscere se stessi, ovvero la risposta più autentica alla domanda di sempre: “io chi sono veramente”. Sono però ragionamenti utili anche all’apertura al sé altrui, alla comprensione del prossimo e dei valori umani di fondo, senza la quale è impensabile la maturazione di una convivenza sociale civile, organizzata nel segno del bene di ognuno e del sostanziale rispetto reciproco e universale.

Ovvero conoscere se stessi per partecipare e valorizzare l’armonia universale dei contrari, verso la maturazione di una coscienza collettiva amorevole liberamente scelta e applicata alle contingenze relazionali. Utopia contro distopia, pace con la Natura contro guerra alla Natura, che la sa infinitamente più lunga di noi, ed è l’unico “sistema” che merita la nostra fiducia incondizionata. Altrimenti saranno cavoli amarissimi per chi pensa di sfidarne impunemente i limiti, o sfidare Dio stesso, a seconda dei gusti e delle culture, cioè dei punti di vista sociali variamente personalizzati.

Di Alberto Conti per ComeDonChisciotte.org

 23/06/2023

Alberto Conti. Laureato in Fisica all’Università Statale di Milano, docente matematica e fisica, sviluppatore software gestionale, istruttore SAP, libero pensatore, collaboratore di Giulietto Chiesa, padre di famiglia, appassionato di filosofia, psicologia, economia politica, montagna, fotografia, fai da te creativo, sempre col gusto alla risoluzione dei problemi.

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