DI ANTONIO TURIEL
The Oil Crash
Sicuramente a nessuno suona
strano dire che il sistema sanitario spagnolo sia tra i migliori al
mondo. Anche se ultimamente
sembra incontrare un periodo di difficoltà,
per il momento, il febbraio del 2012, sembra essere ancora ben supportato
dalle statistiche internazionali che collocano il nostro paese tra quelli
che hanno una maggiore speranza di vita alla nascita, pur avendo una delle
spese sanitarie pro capite annuali più contenute.Potremmo cercare di mentire
a noi stessi dicendoci che è dovuto alla dieta mediterranea e alle
buone abitudini a cui quasi nessuno oramai si attiene, ma la realtà
è un’altra. Anche se il sistema sanitario spagnolo sta cercando di
incentrarsi sulla prevenzione e la diagnosi precoce, il contenimento
della spesa sanitaria in rapporto al numero degli abitanti viene da
una spinta al ribasso degli stipendi dei dipendenti del sistema sanitario,
un dato a cui si giunge grazie a un’analisi comparativa dei costi globali
per trattamento tra i paesi dell’UE (“health
basket project“,
realizzato dall’Associazione Europea per la Gestione della Salute, EHMA. È la rimunerazione dei professionisti
sanitari spagnoli, una
delle più basse dell’Europa comunitaria e quindi del mondo sviluppato, che riesce a ridurre il costo
finale del costo della sanità (estratti
dalla stampa sull’argomento).
Questa situazione – unita
alla tirannia che viene esercitata dalla struttura di una carriera sanitaria
basata sullo sfruttamento
abbondante dei borsisti
e la scarsità
di posti per le promozioni,
l’eccesso di carico lavorativo dovuto al fatto che in Spagna i medici
concentrano la gran parte dell’attività sanitaria e un organico infermieristico
ridotto rispetto al resto dell’Europa,
ha obbligato centinaia di professionisti della sanità a emigrare ogni
anno col titolo di studio sotto braccio alla ricerca di un futuro migliore.
Ovviamente, questo processo si è aggravato
con la crisi odierna e la riduzione della contrattazione. Malgrado i fatti appena esposti,
il sistema sanitario spagnolo continua ad essere di buona qualità e
riesce a coprire quasi la totalità della popolazione. Per questa ragione,
è ancora uno dei settori economici più importanti in rapporto al PIL,
con una spesa sanitaria totale (pubblica più privata) dell’8,4 per
cento nel 2007, del 9.0 per cento nel 2008 e che nel 2009 ha
raggiunto per la prima volta il livello medio dei paesi dell’OCSE con
il 9,7 per cento del PIL nazionale,
essendo questo l’ultimo
dato disponibile pubblicato dalla Banca Mondiale.
Bisogna sottolineare che, malgrado la
spesa pubblica abbia rappresentato nel 2009 il 74% della spesa sanitaria
spagnola, il
fatto che la sanità spagnola abbia raggiunto il livello del resto di
paesi sviluppati non è dovuto a un miglioramento sostanziale dei servizi,
del personale, della contrattazione o delle retribuzioni (che tutte
le imprese hanno cercato di attaccare con maggiore o minore successo
prima e durante le prime fasi della crisi), ma alla contrazione
progressiva del PIL nazionale.
Dopo questo ripasso necessario,
possiamo comprendere che il sistema sanitario spagnolo era una macchina
che funzionava in modo regolare grazie al livello dei finanziamenti
concessi fino all’inizio della crisi, e ha fornito un servizio di qualità
ai residenti e persino
ai non sporadici turisti sanitari
(meno male che il
parlamento europeo ha posto l’anno scorso un limite a questa diaspora, di modo che, quando ci sarà
qualcuno che parla di una sanità spagnola non efficiente, potrà tranquillamente
incurvare le sopracciglia.
È vero che se consideriamo
anche il costo di formazione, la “TRE” della sanità non ne usciva
granché bene, ma ancora poteva accontentarci che il sistema continuasse
a funzionare… fino a che siamo giunti alla discussione attuale: la
sanità e il Peak Oil. Come abbiamo potuto apprendere in alcuni
post precedenti, una delle prime manifestazioni del Peak Oil
è una crisi economica che nei
termini attuali non avrà mai fine.
La sanità, che come il
resto delle amministrazioni pubbliche si finanzia con l’emissione
di debito (parte a carico del governo centrale e parte a carico degli
enti locali per le competenze che gli sono state trasferite) si trova
di anno in anno in una situazione di bancarotta totale, non potendo
far fronte ai pagamenti dovuti per la stagnazione e la riduzione delle
entrate fiscali. Per questo, i gestori della cosa pubblica – che sembrano
saper poco o non voler sapere niente del Peak Oil, ma che se
sanno molto di BAU – cercano di puntellare il sistema
nel miglior modo possibile con nuovo debito, ma ci sono limiti
al deficit di bilancio che non possono essere evitati.
Siccome non c’è denaro
per tutto, gli amministratori – che non sono fessi e che sanno che devono
ritardare quanto più possibile il conflitto sociale – danno
preferenza al pagamento del personale ed evitano al massimo la riduzione
o la chiusura dei servizi (anche se talvolta
non rimangono alternative).
Non avendo il denaro per
tutto, bisogna comunque mantenere il livello del servizio a ogni costo,
e si procede allora a incrementare un altro tipo di debito: quello dei
fornitori. L’acquisto a credito (il pagamento differito, trattando
un certo interesse sul costo di acquisto) – che non era una cosa insolita
a causa delle difficoltà degli stanziamenti dei fondi che di anno in
anno erano sempre maggiori – diventa in questo caso (per le inadempienze
dei pagamenti) il “modus vivendi” di un’amministrazione
dalle risorse sempre minori.
Ciò ci porta al punto
attuale in cui nel complesso l’industria sanitaria reclama circa
12 miliardi di euro al sistema sanitario pubblico, 6,3
miliardi da parte dell’industria farmaceutica
e il resto viene dal
settore dei prodotti sanitari
(dai cerotti alle macchine per i raggi X, passando per siringhe, contagocce
e tutto il resto), industrie che stanno
minacciando azioni di ritorsione per i mancati pagamenti che, come vedremo più tardi,
potranno avvenire.
Come si può capire,
questa situazione è analoga a quella di qualsiasi “impresa
pubblica” ed è quindi un’economia di guerra non dichiarata
in cui ognuno si difende come può. Vediamo le armi a disposizione di
ciascuno: le amministrazioni centrali e quelle autonome hanno cercato
soprattutto di favorire
l’uso dei medicinali generici per risparmiare sulla spesa farmaceutica, di centralizzare
in ambito regionale l’acquisto di materiale deperibile per evitare la complessità delle
relazioni commerciali e per ottenere prezzi migliori grazie al volume
degli acquisti e, ovviamente, tagliare costi che la gente non riesce
a percepire, ma che le statistiche terranno di conto.
Gli effetti della prima
misura sono limitati, per il fatto che i
rappresentanti dei farmaci continuano a fare il proprio lavoro in totale
libertà (io
direi impunità) e che, in realtà, un farmaco generico e uno di marca
non sono la stessa cosa perché, pur condividendo
il principio attivo principale
possono differire notevolmente nel resto degli ingredienti (eccipienti
che possono essere soggetti a brevetto), modificando completamente la
dinamica degli effetti e quindi il criterio decisionale del medico e
del paziente.
La seconda misura è
ancora in fase di introduzione ma ha
notevoli limitazioni
perché, pur suggerendo un risparmio potenziale, l’amministrazione deve
farsi carico di una sfida logistica gigantesca, che prima veniva ripartita
tra centinaia di imprese farmaceutiche e dei trasporti, dovuta all’infinità
di prodotti sanitari esistenti e alle variabili dei ritmi di consumo
dei differenti centri sanitari. Per evidenziare i risultati di questa
ultima misura, per i posteri rimarranno le centinaia di professionisti
fuggiti della Spagna per mancanza di lavoro e le statistiche. Intanto, abbiamo già
qualcuno che si dichiara innocente.
In tutte le guerre ci sono
almeno due fazioni e in questa il rivale viene rappresentato da un’industria
che ha anch’essa i suoi problemi, un calo del numero delle imprese
nazionali, una sempre maggiore concentrazione di potere e che comunque
sta imparando a difendersi. L’aumento progressivo dei costi di produzione
degli ultimi quindici anni, associato al prezzo dell’energia (anche
se non lo sapessero) ha costretto l’industria sanitaria a cercare un
delicato equilibrio tra i prezzi di produzione e quelli di vendita,
da cui sono fuggite le imprese che hanno potuto portare la produzione
nell’Europa dell’est o in Cina.
Quello che sembrava essere
una panacea è invece diventato un mal di testa senza fine: i produttori
orientali non sono mai del tutto fidati e specialmente i cinesi sembrano
non avere limiti nello spedire merce problematica, in alcuni casi per
difetti “che non vengono rilevati“, in altri in modo
deliberato da parte di lavoratori disperati che vivono nelle fabbriche
e che passano al lavoro giornate interminabili per paghe miserabili.
A questo bisogna aggiungere i costi folli e sempre più alti delle materie
prime e del trasporto che obbligano
a negoziare continuamente i prezzi di vendita,
spremendo al massimo i margini di sopravvivenza delle imprese.
È drammatico il caso della
plastica utilizzata in migliaia di prodotti, perché i principali fornitori
della materia prima sono in Europa e, come non poteva essere altrimenti,
il prezzo segue quello del petrolio. Per questo, quando l’amministrazione
ritarda un pagamento (generalmente a centinaia), si tratta spesso di
un colpo (un mitragliamento) di grazia per decine di PMI che non possono
accumulare altro debito.
E se anche rimanesse una
qualche possibilità per le PMI, il sistema di acquisto centralizzato
tende a escluderle, perché normalmente non hanno la capacità
di produzione necessaria per partecipare ai concorsi, oltre ad avere
una capacità scarsa o nulla per vendere a credito.
In questo modo, a poco
a poco, solo i pesci multinazionali più grassi continuano a restare
nell’acquario e l’amministrazione elimina senza volerlo la concorrenza
dal mercato, facendo andare all’aria i vantaggi della strategia di
un acquisto centralizzato. Non esistendo una concorrenza reale, gli
ospedali devono accettare le condizioni imposte dall’industria se vogliono
ottenere una fornitura con l’acquisto a credito.
Credo sia chiaro che quando
un’industria multinazionale minaccia di sequestrare un governo non lo
dice invano, e
mi rimetto ai fatti.
E anche se intuiamo che
la situazione può solo peggiorare a causa della spirale deflazionistica
e debitoria in cui si trova l’economia, può aggravarsi ancora di più
per un qualcosa che la maggioranza ignora: l’ambito delle regolamentazioni.
L’adozione di nuovi protocolli e materiali in ambito sanitario è una
corsa di fondo che sembra non avere fine. E ci sono dubbi sta che questa
maratona abbia avuto un effetto positivo sulla qualità e l’efficacia
del servizio (“che la speranza di vita media continua ad essere
di 80 anni nonostante la vita che facciamo“). Ma niente è
gratis e le migliori tecnologie sanitarie si fanno ben pagare.
Evidentemente, l’industria
non ha gli stessi costi se deve fabbricare un ago che dura una vita
(ago, adattatore conico e cappuccio) rispetto a un ago con capacità
di autodistruzione (ago, adattatore conico e cappuccio con parti mobili
che impediscono un secondo utilizzo), e per questo i costi maggiorati
di progettazione e di produzione si ripercuotono sul prodotto finale.
Si potrebbe può pensare “compriamo allora aghi che durano una
vita”, ma qui c’è il problema, perché la trasposizione delle
normative europee obbliga progressivamente il settore sanitario all’adozione
di materiali moderni in vari aspetti (qualità del servizio, sicurezza
dell’operatore, sicurezza del paziente…). Cosicché sia per interessi
lobbistici dell’industria, sia per necessità reali del servizio, la
trasposizione di alcune normative europee garantisce la creazione di
un collo di bottiglia ai bilanci per niente marginale, per cui ancora
va trovata una soluzione.
Dopo avere saputo tutto
questo e senza prendere in considerazione quello che ci è sfuggito, è evidente che nel settore sanitario si sta sviluppando un’autentica guerra di guerriglia economica, in cui quale i centri medici decimati nel personale si vedono accantonati e fanno quello che possono
per mantenere il servizio, anche cercando di riciclare o di riutilizzare il materiale (non fatevi spaventare dalle informazioni tendenziose degli uffici stampa dell’industria, perché molte di queste pratiche sono fattibili e non venivano realizzate solo per comodità) si fidino del personale sanitario che si affida più di altri a valori umanisti).
Per fortuna, la sanità
sembra essere l’ultima cosa che i gestori della cosa pubblica pensano
di tagliare, ma la situazione non è agevole.
Dato che pagare il debito è una priorità, sentirete sempre più spesso parlare di più di un
“ticket” che è invece un salasso (asimmetrico, inefficace e ingiusto, DITE NO!) o di privatizzazioni parziali. Quindi non mettetevi comodi e scendete in strada a protestare perché somiglia sempre di più ad una tragedia greca con frasi epiche come questa. Le conseguenze non saranno per niente lusinghiere.
Salute e buona fortuna.
Fonte: Impacto del Peak Oil en nuestro sistema sanitario
23.02.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE