La novella del grasso Matteo
Dopo la morte di Carlo Azeglio Ciampi, l’unico politico che abbia pronunciato una frase degna di una mia (modesta) approvazione è Matteo Salvini: “Al di là del cordoglio … è stato uno dei traditori dell’Italia e degli Italiani … al pari di Napolitano e Prodi come gli altri si porta sulla coscienza il disastro … sulle spalle di 50 milioni italiani … Politicamente parlando, è stato uno dei complici della svendita dell’Italia ai poteri forti, ai massoni, ai banchieri e ai vecchi finanzieri … quindi … lontanissimo da quello era l’interesse dei cittadini”.
Ineccepibile.
Tanto ineccepibile che la dichiarazione ha subito fatto insorgere i pasciuti difensori dello status quo, da Grasso (nomen omen) a Letta, da Fiano a Zanda sino a Maurizio Lupi e al seduttore Casini. Lo sdegno di disapprovazione sincrona ca-cantato da questi satolli eunuchi dell’harem italico (che fanno volentieri entrare cani e porci per fottere le ultime nostre bellezze) ha raggiunto vertici di compiacimento mistico.
Il M5S non ha partecipato. Se queste cose le pensa (come la maggior parte del loro elettorato), però non le dice. E perché? Per il solito motivo: la paura. Sì, il potere fa paura e allora è meglio non prenderlo per le corna. Ragionano gli stellati: i tempi non sono maturi, meglio aspettare, far decantare e usare altri toni. È così, non c’è niente da fare. È già tanto che abbiano trovato il coraggio di gettare nel ventilatore la merda del “no” alle Olimpiadi, anche se l’hanno dichiarato dopo mille cautele e tentennamenti. Sì, il potere fa paura, i linciaggi ti rovinano la vita e aspettare il cadavere del nemico sul fiume è la scusa buona per chi il coraggio politico non ce l’ha. Peccato che nella realtà il cadavere del nemico non arrivi mai; più probabile che il detto nemico sia dietro di te, con un randello in mano.
Ma torniamo a Salvini, unico spetezzo dissonante nel coro angelicato di elogi al Salmone Ottimo Massimo.
Lo condivido, tale spetezzo, ma riconosco che non è una cosa seria.
E perché? Perché Salvini è grasso.
Calma.
Non intendo sovrappeso, per carità. È che lo trovo soddisfatto di sé, pacioso, senza preoccupazioni di sorta. Egli dice certe cose solo per compiacere le rabbie del proprio elettorato e nulla più. La sua è una battuta, da gettare nel teatro del prendingiro nazionale chiamato democrazia liberale. Grasso, Zanda, Mattarella e compagnia, inclusi i sedicenti destri all’opposizione come Lupi, sono altrettanti attori d’una farsa ignominiosa.
Loro lo sanno, conoscono le battute e le compitano oramai a memoria.
I leccapiedi telegiornalistici le amplificano adeguatamente.
Una volta esaurite le facce truci, le vociferazioni e le rodomontate, tutto si dimentica, tutto si scorda.
Il beota democratico, anzi, dimentica più in fretta di loro.
Salvini è solo l’attor giovane di destra, così come Vendola, prima di cadere in disgrazia, era l’attor giovane di sinistra.
Voci recitanti, nulla di serio.
Inutile aspettarsi conseguenze pratiche e materiali da ciò che essi dicono.
Su Salvini (e tipi a lui affini) la penso come Giulio Cesare (William Shakespeare, Julius Caesar, atto I, scena seconda):
“Cesare: Vorrei che attorno a me ci fossero degli uomini piuttosto grassi, e con la testa ben pettinata, e tali, insomma, che dormano la notte. Quel Cassio laggiù ha un aspetto troppo magro e affamato: pensa troppo, e uomini del genere sono pericolosi.
Antonio: Non aver paura di lui, Cesare: egli non è pericoloso. È un nobile romano e si dice che sia persona di fama specchiata. Ed è anche ben disposto.
Cesare: Vorrei soltanto che fosse un poco più grasso! … se il mio nome fosse suscettibile d’una qualche paura starei tanto attento a evitare quanto quello sparuto Cassio. Egli legge molto e si guarda sempre in giro con occhio intento, e penetra del suo sguardo le azioni degli uomini fino al loro più intimo segreto. E non gli piace andare a teatro come pure a te piace, Antonio; né gli piace ascoltare la musica. Sorride raramente e quando lo fa sembra che egli derida piuttosto se stesso e si prenda giuoco del proprio animo, che può essere indotto a sorridere di cose senza importanza. Uomini come lui non son buoni a trovar pace, quando vedono qualcuno che sia più grande di loro; ed è per questo che sono molto pericolosi”
Insomma il despota Cesare teme lo sparuto Cassio. Sparuto, magro, febbricitante, scettico, irridente e gonfio di odio e di logica politica. Un lucido fanatico, pronto a sacrificare sé stesso sull’altare azteco della propria idea.
Il contrario esatto del Matteo legaiuolo.
Chiedo scusa a chi ancora crede alla boutade della democrazia. In fondo anch’io, a tratti, ci credo ancora.
Una cosa è sicura: se dovessi puntare le mie ultime fiches non lo farei su Salvini.
Anche perché la roulette è truccata.
Il grasso degli italiani
Uno dei miei primi articoli su pauperclass s’intitolava: “L’italiano ribelle? Forse quello in mutande“.
Gli Italiani non si ribellano? È perché c’è ancora grasso da tagliare.
Ma è un grasso costruito sul debito, sull’aspettativa, sulla speranza.
Gli usurai potrebbero accampare quando vogliono diritti su quel grasso, così come Shylock accampava diritti sulla libbra di carne del buon Antonio, ne Il mercante di Venezia.
Anche il grasso (le ricchezze) di Antonio riposavano sulla speranza, sui futures. Egli, infatti, era ricco di tremila ducati. Purtroppo la sua fortuna, il suo grasso, come quello degli italiani, c’è e, allo stesso tempo, non c’è.
Dice Shylock (atto I, scena 3):
“La sua fortuna [di Antonio] è alquanto ipotetica. Egli ha una ragusea in rotta per Tripoli, un’altra per le Indie … una terza in Messico e una quarta diretta in Inghilterra: e altre mercanzie alla ventura sparse qua e là per il mondo. Ora le navi non sono che tavole e i marinai non sono altro che uomini. Vi sono topi di terra e topi d’acqua, ladri d’acqua e ladri di terra, voglio dire pirati, e poi c’è il pericolo delle onde, dei venti, degli scogli …”.
Se vivesse oggi Shylock presterebbe denaro a usura in una banca.
E direbbe, cauto, fra sé e sé:
“Le fortune degli Italiani sono alquanto ipotetiche. Un investimento a nord, uno a sud, un conto qui, uno lì, una speranza nel fondo sotto, un’aspettativa dei BOT sopra … ma sono fortune disseminate per il mondo e che soggiacciono tutte alle nostre regole … le potremmo avere in qualsiasi momento … ma noi siamo vampiri spietati e cauti e godiamo a dissanguare le gole pian piano, senza farci accorgere … sì, in realtà gli Italiani son seduti sulla nostra benevolenza a doppio taglio … hanno voltato i loro risparmi in numeri digitali. Tutto sotto controllo. Lo stillicidio si addice a noi … però, però … guai a farci inquietare, potremmo volere tutto indietro, all’improvviso, come una libbra di carne da tagliare all’istante …“
Nella tragedia shakesperiana Antonio, garante di un prestito, vede le proprie ipotetiche fortune inabissarsi una dietro l’altra (le navi che, teoricamente, gli avrebbero assicurato un guadagno nove volte superiore all’investimento, fanno naufragio).
Rimane in mutande, insomma, ricco solo della sua obbligazione verso lo strozzino: pagare una somma che non può più pagare o farsi tagliare una libbra di carne nella parte del corpo che più aggrada al sanguinario creditore.
Si salverà Antonio dal laccio mortale del debito i cui capi sono tenuti da Shylock, un uomo “duro come un macigno … un essere disumano, incapace di pietà, completamente privo del più piccolo senso di compassione“? Da uno strozzino che lo odia perché, a differenza di lui, “nella sua sciocca umiltà [Antonio] presta il denaro gratis e fa diminuire … il saggio dell’interesse“? (Chi ha orecchie per intendere, intenda).
Nella tragedia Antonio si salverà; grazie alle leggi di Venezia, al Doge e alle dolci macchinazioni di Porzia.
E oggi, si salveranno gli Italiani?
No, perché le leggi di Venezia le scrivono gli usurai stessi, il Doge è il primo dei venduti e Porzia è una battona.
Shylock è intorno a noi, nelle note a pie’ di pagina delle cartelle Equitalia e nei regolamenti di cento pagine dei fondi d’investimento, negli arzigogoli del mercato libero dei servizi e via discorrendo.
Chi si illude di avere ancora grasso vedrà affondare le proprie navi al largo del neocapitalismo e, una volta in mutande, scorgerà la sagoma del macellaio che chiede indietro la sua libbra di carne.
Tutto a norma di legge!
E allora vai con strilli e urla!
Peccato: sarà troppo tardi.
Il grasso dei clientes
Chi è libero (o si è liberato) dagli orpelli ideologici del dopoguerra può guardare la scena italiana con occhi nuovi e apprezzarla per ciò che è.
Una nazione che deperisce a vista d’occhio, ostaggio di una casta e dei suoi clientes.
Per casta non intendo, nell’accezione furbesca di Rizzo e Stella, una classe politica o partitocratica.
Voglio significare una costellazione di individui ai più alti piani dello Stato e di estese corporazioni (industriali, militari, sindacali, impiegatizie) il cui unico intento è depredare le proprietà pubbliche e durare – durare oltre misura, tramite la vendita e l’accaparramento d’ingiuste prebende e la cooptazione al potere di altri sé stessi.
Va da sé che tale organizzazione criminale possiede due proprietà essenziali.
1. L’immobilismo totale, pur nella finzione della dinamicità
2. La trasversalità
L’Italia è, infatti, una nazione bloccata. In senso letterale. Ogni iniziativa indipendente o creativa subisce da subito uno stop: il potere non tollera la novità. I modi per soffocare sul nascere le alternative sono molteplici.
1. La cooptazione al potere, come detto, tramite raccomandazioni di massa, finanziamenti statali o locali, franchigie, piccole immunità, privilegi (funziona sempre).
2. La minaccia, ottenuta grazie all’apparato statale nelle sue articolazioni repressive (fisco, servizi segreti, polizia, delazioni giornalistiche … funziona sempre anch’essa).
Un’associazione variegata di circa 5-10 milioni di italiani, insomma, organizzatissima, inscalfibile e usufruttuaria di privilegi e sinecure, viene usata come arma pretoriana e clientelare contro il resto dei cittadini.
Il risultato è la paralisi economica, morale e civile del paese che, ogni giorno, decade sempre più in indifferenza e impotente risentimento.
Questo è il grasso rancido da tagliare, la libbra di carne che, però, al governo, nessuno ha mai avuto la minima intenzione di asportare; e mai lo farà (anche Monti ha girato al largo: rischiava la pelle).
Chi si assumerà il coraggio di impugnare questo coltello?
Servirebbe un fanatico, un regicida, uno sparuto Cassio.
Ma non c’è.
Sono tutti troppo grassi, soddisfatti, pasciuti.
Ho detto sono?
Siamo.
Io sono.
Che decadenza, che vitello (grasso) da tastiera.
Alceste
Fonte: http://pauperclass.myblog.it/
Link: http://pauperclass.myblog.it/2016/09/22/il-grasso-tagliare-alceste/
22.09.2016