Di Lorenzo Merlo
Comedonchisciotte
Sul fondo del barile è un saggio rivolto all’energia sepolta sotto le macerie causate da una cultura materialista, da una concezione della politica ridotta a economia, da una visione dell’uomo come merce.
Quell’energia è allo stesso tempo una potenzialità e un filone di bellezza che già qualcuno sta raccogliendo. Questo qualcuno è l’uomo circolare, ovvero colui che ha capito che questo mondo non sarà mai la sua casa se egli non si assume le sue responsabilità nel mondo. Nel seguito un estratto del saggio.
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Non si può scappare. Decenni di politiche astratte, anzi attratte dalla sola dimensione economica, hanno prodotto il populismo. Nasceva orfano. Destra e sinistra lo rinnegavano mentre spiravano l’ultimo respiro. Ora è cresciuto e ha vita dura. Ciò che resta dei suoi genitori spesso lo impiega come sinonimo di cosa spregevole. Un paradosso bio-ontologico. Il populismo è giovane e quindi più contraddittorio di quanto non si possa mediamente dire della anziana saggezza. Anche di questo è colpevolizzato. Anche su questo i suoi parenti fondano le spesso inconsistenti se non risibili argomentazioni critiche nei confronti del loro figlio.
Oltre che giovane e inesperto è davanti all’immane muraglia di macerie che ha ereditato dalle politiche che – come tappeti volanti – avevano volato staccate da terra almeno dagli ottanta del secolo scorso.
L’edonismo della Milano da bere aveva dato l’avvio alle danze. Convinto che le grevità delle politiche sociali, fino ad allora sistema nervoso di un’Italia che sapeva riconoscersi nei valori elementali del cristianesimo, erano superate. Erano un corpo morto che impediva all’Italia di essere alla pari con le potenze del mondo. Quell’Italia morì poi insabbiata dalla corruzione fatta sistema politico, annegata nei Martini Dry dei radicalchic.
Le persone avevano ora un modello differente sul grande schermo del cinema della vita, dell’educazione. Prima si rimboccavano le maniche: l’Italia era loro. Ora, sotto l’egida dell’individualismo lasciato libero, spendevano le loro migliori energie per sgomitare, sopraffare, arricchirsi… di un benefit, di una tv al plasma, di una BMW, ognuno secondo la personale misura. E ciò che più conta, con quell’unità di misura, misuravano il proprio successo, e il proprio diritto a pretenderlo. Nel frattempo l’impegno sociale era stato sostituito da un altro diritto, quello del tempo libero. L’Italia, le comunità, la nazione, il comune sentimento di appartenenza si erano sciolti in un processo socio-entropico raccapricciante.
Quando qualcuno nella sua politica ha fatto cenno a valori non solo economici, quando si è sentito parlare di attenzioni verso un aspetto che destra e sinistra non avevano nei loro sussidiari, molti di noi hanno alzato le antenne, hanno sentito una vibrazione che dai tempi del 68 non attraversava più i nostri corpi. La partecipazione socio-politica alla quale oggi assistiamo è il vero, primo elemento politico del giovane populismo. Chissà quando gliene verrà reso merito.
Mentre chi ci ha lasciati in mutande riversa di tutto sul governo di questi mesi, il consenso popolare nei confronti di quest’ultimo, cresce in modo direttamente proporzionale. L’inconsistenza delle critiche e delle colpevolizzazioni, con le quali ciò che resta della vecchia classe dirigente, soprattutto della sinistra, sembrano evidenti a tutti tranne a chi le esprime con il piglio di chi crede d’aver pronunciato qualcosa di significativo.
Pur se giovani e ingenui, pur tra errori e poca etichetta, un altro fatto profondo, culturale si sta compiendo. Quei giovani, e non alludo solo alla compagine di governo giallo-verde, nonostante la loro diversa e lontana origine genealogica che dietro lo scudo delle rispettive ideologie, li spingeva a considerarsi nemici, ora, liberatisi dei pesanti orpelli, ora dialogano. Ora hanno in dote la legittimazione dell’altro, piuttosto che la criminalizzazione come base di partenza per guardare il mondo.
È una base sostanziale per un cambiamento culturale. Se prima senza volerlo eravamo scivolati nel grande imbuto del pensiero unico, quello che ci ha fatto credere che la globalizzazione non avesse controindicazioni; che dietro il dito business is business davvero nessuno potesse vederci; che l’economia potesse a diritto capeggiare la piramide della vita, ora si percepisce che l’esigenza di una dimensione spirituale non è più solo embrionale in uteri sparsi nel cosmo della società e sconosciuti tra loro. La qualità della vita, a partire dal Butan, non è comprimibile nel Prodotto Interno Lordo. In quello semmai ci starà la miseria di ancora vuole eleggerlo ad indicatore della qualità della politica. Non a caso gli stessi che reificano lo Spread più di quanto facciano con le cose, le persone.
Ma se la nuce di una luce, che gli affanni della sopravvivenza avevano dimenticato nel sottoscala dei valori, è rimasta accesa in questi anni di politica disumana, eaa però non basta a soddisfare il sentimento di chi non si è mai sentito materialista, meccanicista, positivista. Quella nuce di luce ha bisogno delle personali rivoluzioni affinché l’utopia che ci hanno fatto credere fosse solo una bella idea possa compiersi e reificarsi in educazione, in politica, in quotidiano, in vita, valori, bellezza.
È il compito di un uomo nuovo, circolare, protagonista del nuovo paradigma. Un uomo che cerca in sé quanto per troppo tempo è stato indotto a cercare fuori da sé. Il solo uomo che sarà in grado di compiere il cambiamento. Il solo capace di imparare dalla propria sofferenza piuttosto che pretendere la cura dagli altri.
È troppo? No, è niente per tutti coloro che già sono in marcia verso la personale evoluzione. Per tutti coloro che sono l’incarnazione di una verità tanto banale quanto occulta: senza il personale cambiamento, nessuna società diversa da quella che critichiamo potrà essere generata. E non la lasceremo orfana.
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Un nuovo paradigma
Oggi siamo avveduti delle carte che abbiamo in mano. Non vogliamo più giocarle dietro consiglio di qualcuno o di qualcosa d’altro che non sia il nostro sentire.
…
Il progresso ci ha messo all’angolo di noi stessi. Ci ha comprato come con gli specchietti comprava i nativi e i colonizzati. È bastato un benefit o un mutuo per la tv al plasma. Ci ha devastato lo spirito creativo.
È tempo di riprenderlo.
Lorenzo Merlo
Fonte: Comedonchisciotte.org
Ottobre 2018