DI MAURO BOTTARELLI
sussidiario.net
Conosco Marcello Foa soltanto via mail o via Twitter. È capitato, tempo fa, che mi scrivesse per dirmi che aveva apprezzato un mio articolo e, da allora, di tanto in tanto coltiviamo questo rapporto di amicizia epistolare. Non posso quindi definirmi un suo amico o uno che lo conosce bene. A differenza di un esercito di ipocriti saltati fuori come funghi nel sottobosco dopo un temporale, non appena le agenzie di stampa hanno battuto la notizia della sua nomina, da parte del governo, a presidente della Rai. Ho molti sovranisti di rango fra i miei contatti Facebook (non li chiamo amici, perché per quanto Zuckerberg su quella parola ci abbia costruito un impero, per me rimane sacra e non si sostanzia in qualcuno visto una volta e che mi mostra dov’è andato per il weekend o cosa sta mangiando) e vi assicuro che venerdì erano scomparsi dal social nel quale sono solitamente molto attivi, ovviamente solo per dovere di propaganda: probabilmente, erano incollati al telefono o alla mail. Per complimentarsi con Foa, ovviamente. E senza cercare alcun dividendo alla loro militanza, per carità.
Scusate, ma ormai ne ho viste e vissute sulla pellaccia troppe per essere ancora un idealista: sono cinico, è vero. E lo ritengo un bene, visto l’ambientino in cui mi muovo da circa 25 anni. E spero per Marcello Foa che lo sia anche lui, perché tira una brutta aria. Ci sono infatti prove di Nazareno 2.0 attorno alla bocciatura quasi annunciata del suo nome alla riunione della Vigilanza Rai di dopodomani, chiamata appunto a ratificare con il voto le nomine del governo: servono i due terzi degli aventi diritto e, a oggi, mancano 6 voti da sommare a quelli di M5S e Lega per avere il via libera. Fondamentali, quindi, sono i sette voti di Forza Italia. La quale, attraverso la portavoce Maria Stella Gelmini, ha già fatto sapere che «al momento, il nostro è un no, serve una figura terza». E attenzione, perché la parola chiave non è “no”, ma la formula “al momento”: tipico avviso ai naviganti, tipico avvertimento dallo stile decisamente sgradevole. Insomma, quel “al momento” puzza molto di do ut des, volendo essere buoni nel giudicare quanto sta accadendo.
Come dire, se ad esempio ti mostri pronto a rompere sulla Tav o, meglio ancora, minacci di far saltare l’intero “Decreto dignità” se non compaiono modifiche sostanziali sui contratti di lavoro, allora Foa potrebbe miracolosamente trovare i voti che gli servono per arrivare a viale Mazzini. Si chiama ricatto nella vita di tutti i giorni, in politica lo chiamano pragmatismo. O, meglio ancora, compromesso. E il fatto che quelle parole escano dalle delicate corde vocali di una donna moderata come Maria Stella Gelmini, non cambia il senso: a Forza Italia – così come al Pd o a LeU – del destino della Rai, in particolare dell’informazione, non frega nulla. Per quanto li riguarda, nonostante straparlino di “figure terze” e “super partes” per pulirsi la coscienza con l’opinione pubblica, sulla poltrona più potente di viale Mazzini potrebbe poggiare le sue terga anche un perfetto sconosciuto estratto a sorte in un bar, come piacerebbe a Beppe Grillo e alla sua originalissima idea di democrazia. A loro interessa ciò che sta dietro il caso Rai: far cadere il Governo, il prima possibile o, in subordine nel caso di Forza Italia, sfruttare al meglio il periodo di opposizione forzata per recuperare consensi, facendosi appunto forti delle criticità che un’alleanza così spuria e raffazzonata pone sul cammino delle promesse elettorali e dello stesso DNA leghista, basti vedere la lettera dei 600 imprenditori veneti (sulla cui spontaneità non metterei la mano sul fuoco, se fossi in voi).
Insomma, temo che quella di Foa sia stato un caso di candidatura ad excludendum in salsa centrodestra: ovvero, un nome che fondamentalmente a Forza Italia va bene nel merito (tanto più che è stato per anni firma di prestigio de Il Giornale, non esattamente un faro di obiettività ed equidistanza editoriale nel già desolante panorama nazionale), ma che sembra fatto apposta per essere sacrificato in nome dell’interesse superiore del tornaconto politico-elettorale, ovvero il casus belli perfetto in attesa di deflagrare. Non so come finirà dopodomani in Vigilanza, auguro a Marcello Foa di farcela. O forse no. E non perché è stato così gentile da volermi esprimere ammirazione per ciò che ho scritto, né tantomeno perché ho mire di lavorare in Rai, fattispecie di cui mi interessa davvero poco, non avendone il physique du role. Qui la questione è ontologica: ovvero, per la prima volta avremmo a capo di viale Mazzini un giornalista che in vita sua ha avuto il coraggio di dire, pubblicamente, “scusate, ho sbagliato”.
Eh già, perché mentre i professionisti del fango nel ventilatore (in realtà il materiale in questione puzza un po’ di più, ma non è elegante citarlo chiaramente) si sono subito lanciati in una ricerca degna di Woodward e Bernstein nel caso Watergate relativamente a tweets imbarazzanti del candidato presidente, io sapevo benissimo da subito qual è la grande colpa e contemporaneamente il grande merito di Foa: sbagliare, ma saperlo ammettere. E in un verminaio come la Rai, uno così è più pericoloso di un vegano armato in una macelleria. La grande colpa di Foa sarebbe quella di aver utilizzato il termine “disgusto” per descrivere l’atteggiamento del presidente Mattarella nel caso Savona, di fatto per molti un palese caso di vilipendio e mancanza di rispetto che lo rende incompatibile con la carica di presidente della tv di Stato. Idiozie, degne di chi le scrive e di chi le cavalca. A sinistra come a destra.
Se Marcello Foa ha una colpa, come giornalista (all’epoca era direttore del Corriere del Ticino) è questa: essere cascato in pieno in una delle tante bufale messe in circolazione in Rete sulla questione immigrazione-criminalità, non si sa se da sovranisti con palesi problemi di analfabetismo funzionale (e sono davvero tanti) o da abili troll dell’immigrazionismo ideologico (e anche in questo caso abbondanza è la parola chiave): poco cambia, Foa e i suoi giornalisti ci sono cascati in pieno. La polizia tedesca non ha mai emanato un memorandum su come è meglio insabbiare i casi di criminalità e terrorismo legati ai migranti su ordine governativo per evitare ondate populiste, ma, come ci dice la realtà, purtroppo quella denuncia era talmente verosimile da aver giocato un brutto scherzo (altrimenti, non si spiegherebbe Alternative fur Deutschland come secondo partito del Paese, stando all’ultimo sondaggio della Bild). Capita, anche ai migliori.
Non tutti, però, mettono in cima al testo del proprio articolo sul blog de Il Giornale, pochi giorni dopo, la rettifica: ovvero, il mea culpa per l’errore, l’ammissione di colpa. La maggior parte, avrebbe taciuto, facendo affidamento sull’irrilevanza di fatto che ne contorna l’operato, sulla solidarietà di categoria (vedi la colossale figuraccia collezionata da Gianni Riotta in Russia, con la sua denuncia-patacca della repressione poliziesca verso la stampa ai Mondiali) o sul tempo che tutto manda nell’oblio. Perché amici, questa non è questione di lana caprina. Vi immaginate, visto che parliamo di Rai e alla luce di quanto emerso negli ultimi mesi, quante ore di trasmissione avrebbero portato via ai normali palinsesti della tv pubblica simili atteggiamenti di onestà intellettuale e professionale, che so, nel caso delle cronache siriane di Lucia Goracci o in quelle americane e sul Russiagate di Giovanna Botteri? Trasmissioni sospese per almeno una settimana e mea culpa non stop h24, roba che Sanremo in confronto è un cameo di pochi minuti fra un tg e l’altro. E ho scomodato solo i casi più eclatanti di disinformazione di Stato, senza ad esempio nominare le grancasse da prima serata del regime renziano prima e gentiloniano poi che rispondono al nome di Fabio Fazio o compagnia bella (e strapagata). Il problema è che se a sinistra sono ipocriti consapevolmente e come marchio di fabbrica in fatto di Rai e a destra scontano il peccato originale, oltre che di avere una classe dirigente mediamente degna della Scuola Radioelettra, anche del conflitto di interesse berlusconiano, attaccarsi come hanno fatto Lega e 5 Stelle alla presidenza della Trilaterale Italia dell’ex presidente Rai in quota sinistra, Monica Maggioni, è veramente strategia degna di Napalm 51, il complottista web impersonato da Maurizio Crozza. E vale lo stesso discorso per chi adombra complotti e trame oscure dietro la presenza di Lilli Gruber alle ultime cene del Bilberberg Group: ora, con tutta la fantasia, voi dareste vita ad agende mondialiste e cospirative con Monica Maggioni e Lilli Gruber come quinte colonne? Siamo seri, tanto più che a quelle riunioni partecipano anche Beppe Severgnini e Gianni Riotta, due che al massimo organizzano una gara di nascondino con i boy-scout, se vogliamo andare a scomodare le categorie dell’occulto applicato alla politica.
Marcello Foa, semplicemente, con le sue opinioni discutibili e le sue prese di posizione magari sopra le righe, è una persona perbene e un giornalista che ha provato a fare il suo lavoro con decenza e senso del dovere. Praticamente, la kriptonite per Superman in un sancta sanctorum della raccomandazione e dello spoil-system come Viale Mazzini. E poi, scusate ma chi la guarda più la Rai? Quantomeno per informarsi e al netto delle fiction, gli unici programmi che la tengono a galla insieme al Festival di Sanremo? È talmente un’azienda allo sbando da non aver fiutato l’affare del secolo, ovvero i Mondiali di calcio a prezzo stracciato, visto che l’Italia non si era qualificata: Mediaset e i suoi ascolti da capogiro, sentitamente hanno ringraziato. E di fronte a un caso di incompetenza macroscopico come questo, il problema sarebbe il tweet di Foa con la parola “disgusto”, ancorché indirizzata alla scelta del Quirinale sul caso Savona?
Siamo alle Frattocchie, dove si insegna l’arte della ragion di Stato o alla tv di Stato, la quale oltre al canone pubblico campa anche di pubblicità sul mercato della concorrenza, giocando quindi con un vantaggio abnorme che non sa nemmeno sfruttare, come nel caso dei Mondiali di Russia? Nel mondo dell’informazione h24 sulla Rete, di Netflix che vi offre comodamente a casa centinaia di film e serie tv, dello streaming e dello sport tutto a pagamento, voi mi dite che qualcuno ancora guarda Porta a porta o il Tg3 o La domenica sportiva? Per favore, va bene essere ipocriti, ma c’è un limite. Basti vedere come trattano l’informazione economica per dichiarare senza tema di smentita che peggio di così, in Rai, nemmeno un sabotatore di professione saprebbe e potrebbe fare. Per questo, dopo attenta riflessone, auguro a Marcello Foa di non farcela dopodomani e di tornare a dirigere Il Corriere del Ticino. Perché, ancorché addobbata di allori e impreziosita da referenze false come Giuda, la Rai sarebbe la tomba della sua professionalità. E di quella rettifica, di quell’ammissione di colpa e di umanità nell’errore, che rimane la più grande medaglia al valore che può appuntarsi sul petto.
Mauro Bottarelli
Fonte: www.ilsussidiario.net
Link: http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2018/7/30/SPY-RAI-Il-doppio-gioco-di-Forza-Italia-sulla-testa-di-Foa/832593/
30.07.2018