Il coronavirus, Hegel e i costruttori della torre di babele

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di Marco Galloni
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L’informazione dei media mainstream sul Covid-19 è piena di contraddizioni, su questo non c’è dubbio. Un virologo dice A, l’altro Z; un medico afferma una cosa e subito un suo collega lo smentisce; in Italia siamo i migliori al mondo nelle misure antivirus però abbiamo il più alto numero di morti. E via di questo passo. È vero tutto e il contrario di tutto. Ma se si fa un po’ più di attenzione, ci si accorge che sotto questo strato di incongruenze si nasconde un’inquietante uniformità. I mass media, in fondo, ripetono sempre la stessa cosa, salvo poche varianti ed eccezioni: i decessi aumentano, il contagio si diffonde, siamo sotto l’attacco di un virus sconosciuto e terribile… La mente umana scambia facilmente questa uniformità per verità, ma così facendo cade in una pericolosa illusione. La verità non è questione di conformità quanto, piuttosto, di relazione dialettica. Per questo Hegel diceva che la contraddizione è la regola del vero, mentre la non contraddizione è la regola del falso («contradictio est regula veri, non contradictio falsi»). Il termine contraddizione, è bene precisarlo, non va qui inteso come violazione del secondo principio della logica classica, ma nel senso di dialogo tra posizioni diverse.

Il linguaggio ridicolo del pensiero unico
Hegel era teologo, oltreché filosofo. Nella Bibbia, che lui conosceva benissimo, c’è un episodio che si accorda pienamente con la massima di cui sopra. Si tratta del racconto della torre di Babele (Gen 11,1-9), che non è soltanto una critica all’umana hỳbris, alla pretesa di raggiungere il cielo con le sole proprie forze, ma anche un monito contro la tentazione dell’uniformità e dell’indifferenziato, del gregge. In Gen 11,3 il narratore irride il linguaggio insipiente dei costruttori della torre. La CEI traduce il versetto con «venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco», ma il testo ebraico dice qualcosa di diverso: «Havah nilbenah lebenîm venisrepah lisrepah», che alla lettera suona come «orsù, mattoniamo mattoni e cuociamoli in cottura». È il tipico modo di esprimersi del pensiero unico e della propaganda: ripetitivo, tautologico, ridicolo. Per quanto riguarda il Covid, ne abbiamo avuto un ennesimo, fulgido esempio nel TG3 delle 19 del 27 febbraio 2021: «La terza ondata sta arrivando, ma non si può parlare di terza ondata perché in realtà la seconda non è mai finita» (!).

Un intervento provvidenziale
Al Dio della Bibbia non piace questo modo di parlare. In Gen 11,5-7 leggiamo infatti: «Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”». Non si tratta di una punizione ma di un provvidenziale intervento volto a salvare l’uomo da se stesso, dal suo egocentrismo impaziente e superficiale. Il linguaggio monocorde della propaganda è solo apparentemente unificante: in realtà è divisivo, perché nega ogni dialettica e possibilità di relazione. È l’esatto contrario del Logos creatore, del biblico dabàr, la parola/evento che compie ciò che dice. È un linguaggio che de-crea, confonde, instupidisce, separa il pensiero dall’azione. Nel Discorso della Montagna, Gesù condanna in maniera categorica un simile modo di esprimersi: «Sia invece il vostro parlare “sì sì; no no”; il di più viene dal maligno» (Mt 5,37). La prossima volta che sentiremo espressioni come «mattoniamo mattoni e cuociamoli in cottura» o «la terza ondata Covid sta non-arrivando perché la seconda non è mai passata», dunque, sapremo per certo che quelle parole non ci stanno dicendo nulla di vero né di buono.

Marco Galloni

Pubblicato da Tommesh per Comedonchisciotte.org

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