Il contropiede del Sud del mondo sulla tassazione internazionale: cosa è cambiato dopo il voto all’Onu

A novembre 2023 il Sud del mondo ha ottenuto una grande vittoria. L'Assemblea dell'Onu ha approvato la risoluzione dei Paesi africani per una Convenzione sulla tassazione internazionale. Ma la strada per un sistema fiscale più giusto è ancora lunga.

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Di Domenico Viola, kriticaeconomica.com

 

Gli equilibri tra il Nord e il Sud del mondo1 stanno cambiando a una velocità che fino a qualche tempo fa non era immaginabile. In questo mutamento, c’è già una data che potrebbe passare alla storia. È il 22 novembre 2023, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione sulla fiscalità internazionale, che mira a definire regole più inclusive verso i Paesi del Sud del mondo e più efficaci contro l’evasione e l’elusione fiscale.

La risoluzione (il cui nome ufficiale è A/C.2/78/L.18/Rev.1) ha ad oggetto la promozione di una cooperazione inclusiva ed efficace sulla tassazione a livello internazionale ed è passata con 125 voti favorevoli e 48 contrari (oltre a 9 astenuti)2. Il suo fine ultimo è il trasferimento delle decisioni sulla fiscalità internazionale dall’Ocse all’Onu. Nel breve periodo, l’obiettivo principale è arrivare a una convenzione quadro sulla tassazione mondiale, con la quale riscrivere le regole fiscali sui flussi internazionali di capitali e merci. Regole che diventerebbero obbligatorie per le politiche di tassazione dei singoli Stati nazionali, in virtù dei poteri vincolanti delle convenzioni.

 

Chi c’è dietro la risoluzione ONU?

A proporre la risoluzione era stata la Nigeria, per conto del Gruppo dei Paesi africani presso le Nazioni Unite. Si era partiti a maggio 2023, alla 54a sessione della Conferenza dei Ministri delle Finanze dei Paesi africani, con l’invito ad avviare i negoziati per giungere alla sottoscrizione di una “Convenzione internazionale sulle questioni fiscali”.

Non è un caso che la risoluzione sia stata proposta dai Paesi africani. Essa, infatti, è strettamente coerente con le loro aspirazioni come definite dall’Agenda 2063 dell’Unione Africana e, in particolare, con l’obiettivo di rafforzare i sistemi fiscali e promuovere l’equità fiscale nel continente. Il documento, inoltre, si concilia bene con un’altra risoluzione (A/RES/76/196), approvata il 10 gennaio 2022 e riguardante la cooperazione internazionale per la lotta ai flussi finanziari illeciti3.

Questi sforzi si inseriscono in un processo istituzionale più ampio, volto a portare nelle mani delle Nazioni Unite (togliendolo al monopolio dell’Ocse, che riunisce i Paesi più sviluppati) il potere di co-progettare e riformare le norme internazionali contro i flussi finanziari illeciti di natura fiscale, l’erosione della base imponibile, il trasferimento degli utili e l’evasione fiscale, compresa la questione della tassazione dei guadagni in conto capitale (o “plusvalenze”). Così, queste decisioni fondamentali diventerebbero molto più democratiche.

I dati

Nel suo rapporto State of Tax Justice 2023, il Tax Justice Network (TJN) ha stimato che le perdite annue di gettito fiscale per gli Stati causate dai paradisi fiscali ammontano a circa 480 miliardi di dollari Usa. Di questi, 311 vengono persi per abusi fiscali societari transfrontalieri da parte di multinazionali e 169 per abusi fiscali offshore da parte di individui ad elevato patrimonio.

È interessante vedere come si distribuiscono le perdite di gettito fiscale tra i Paesi a reddito più alto (afferenti all’area Ocse) e i Paesi a reddito più basso o medio. In termini assoluti, il primo gruppo registra 433 miliardi di perdite fiscali annue, mentre per il secondo gruppo le perdite ammontano a circa 47 miliardi. Ma se si rapportano questi numeri ai budget sanitari pubblici degli stessi Stati, il quadro si ribalta. Per il gruppo dei Paesi “ricchi”, le perdite causate da paradisi fiscali equivalgono al 9% delle spese pubbliche sanitarie aggregate, mentre per il gruppo dei Paesi “poveri” la percentuale sale a ben il 49%. È evidente: il Sud del mondo, che storicamente ha avuto poca voce in capitolo sulle norme fiscali internazionali, patisce il maggior peso degli abusi.

In particolare, Tax Justice Network sottolinea come la maggior parte dei danni fiscali a livello mondiale sia resa possibile dalla regolamentazione fiscale abusiva adottata dai Paesi dell’Ocse, responsabili del 78% dell’evasione ed elusione fiscale globali. In pratica, sono soprattutto 4 Paesi a provocare ingenti perdite di gettito fiscale, soprattutto a danno dei Paesi del Sud globale: il Regno Unito, i Paesi Bassi, il Lussemburgo e la Svizzera, tutti membri dell’Ocse.

Sempre secondo le stime del rapporto, qualora i processi decisionali e le norme in materia di fiscalità internazionale venissero mantenuti sotto la leadership Ocse (come avvenuto nell’ultimo decennio), nei prossimi 10 anni le perdite di gettito fiscale ammonterebbero a 4,8 trilioni di dollari. Una montagna di soldi, che ricchi e multinazionali eviterebbero di pagare se non passasse una Convenzione Onu sulla tassazione. Ovviamente, se venissero adottate linee guida e norme contro gli abusi, questo importo finirebbe dove dovrebbe stare: nelle casse pubbliche dei Paesi che subiscono gli effetti negativi dell’evasione e dell’elusione. C’è poi una curiosa coincidenza: 4,8 trilioni sono quanto viene speso in tutto il mondo per la sanità pubblica.

 

La giustizia fiscale non è un pranzo di gala

Considerato tutto questo, si può ben capire perché l’iter della risoluzione sia stato tortuoso. Già a marzo 2022 un gruppo di esperti di tassazione internazionale aveva avanzato le prime bozze per una Convenzione Onu in materia fiscale all’Eurodad (una rete di 58 organizzazioni della società civile da 28 Paesi europei) e alla Global Alliance For Tax Justice. Ma l’approvazione di una risoluzione in merito pareva una chimera. L’ultimo tentativo di trasferire le decisioni fiscali internazionali all’Onu risaliva agli anni ‘70 del secolo scorso. E poi era chiaro che i Paesi promotori (in sostanza, il Gruppo Africano delle Nazioni Unite) avrebbe incontrato non pochi ostacoli, prima di tutto per i tentativi di boicottaggio da parte dei Paesi Ocse.

Ma il reiterato ostruzionismo di Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito non ha impedito di giungere al deposito della risoluzione in Aula e alla sua definitiva votazione, complice l’accresciuta coesione tra i Paesi del Sud del mondo, oltre al sostegno politico del segretario dell’Onu, Antonio Guterres. A riguardo, è sicuramente rilevante il respingimento da parte dei Paesi del Sud globale (ad ampia maggioranza) di un emendamento del Regno Unito, che mirava a svuotare il senso stesso della risoluzione chiedendo di rimuovere qualsiasi riferimento all’obiettivo di una Convenzione Onu.

Il Gruppo dei Paesi Africani ha trovato sponda in 14 esperti (tra i quali figurano economisti come Thomas Piketty e Joseph Stiglitz4). Con una lettera aperta a pochi giorni dalla votazione, gli studiosi hanno esortato Stati Uniti ed Unione Europea a sostenere la risoluzione:

Questa settimana assisteremo o a un successo storico nella creazione di un’economia mondiale più giusta, o a un terribile fallimento”.

Le implicazioni del successo della risoluzione sono chiare. Il trasferimento del dibattito in sede Onu provocherà un inedito coinvolgimento cooperativo di tutte le nazioni del mondo, senza che i Paesi più poveri possano esserne esclusi a causa del minor peso delle loro economie. L’altro aspetto fondamentale sarà dato dall’adeguamento delle nuove regole ai principi dell’Onu sull’uguaglianza sociale, le politiche di genere e la tutela degli eco-sistemi naturali.

La strada che manca all’approvazione finale della Convenzione è ancora lunga. Ma il Sud del mondo ha già ottenuto una vittoria, impegnando l’Assemblea dell’Onu a riformare in modo progressista la tassazione internazionale. Una speranza per uno sviluppo economico democratico, realmente sostenibile.

Di Domenico Viola

Domenico Viola. Domenico Viola, ragazzo di origini calabresi, è laureato in economic theory and policy presso il Levy Economics Institute of Bard College dello Stato di New York ed è fondatore della pagina di divulgazione economica “Folk Economy”. In passato, ha lavorato come analista economico junior presso la Commissione Finanze della Camera e come assistente dell’ex-presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, nonchè come analista finanziario presso società di consulenza alle imprese. Attualmente lavora come ricercatore economista: si occupa di analisi e previsioni macroeconomiche, di politica economica-industriale e di indagini settoriali, con particolare riferimento all’industria chimica e biotecnologica. I suoi principali interessi riguardano i processi di finanziarizzazione dell’economia, le politiche monetarie e di regolamentazione finanziaria, la tutela della biodiversità degli eco-sistemi naturali e la pianificazione mission-oriented di politiche industriali e del lavoro ai fini dello sviluppo economico regionale e nazionale.

Di Domenico Viola, kriticaeconomica.com

20.03.2024

Domenico Viola è laureato in “Economic theory and policy” presso il Levy Economics Institute of Bard College dello Stato di New York ed è fondatore della pagina di divulgazione economica “Folk Economy”. In passato, ha lavorato come analista economico junior presso la Commissione Finanze della Camera e come assistente dell’ex-presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, nonché come analista finanziario presso società di consulenza alle imprese. Attualmente lavora come ricercatore economista presso un Centro studi di politica economica. I suoi principali interessi riguardano i processi di finanziarizzazione dell’economia, le politiche monetarie e di regolamentazione finanziaria, la tutela della biodiversità degli eco-sistemi naturali e la pianificazione mission-oriented di politiche industriali e del lavoro ai fini dello sviluppo economico regionale e nazionale.

Fonte:

Il contropiede del Sud del mondo sulla tassazione internazionale

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