DI PHILIP GIRALDI
La classe dirigente e le comunità realiste di politica estera negli Stati Uniti sembrano spesso essere separate dal linguaggio che le guida nel parlarsi a vicenda. Quando un realista o un libertario parla di non-intervento o di moderazione in politica estera, come fece Ron Paul nel 2008 e nel 2012, la risposta della classe dirigente è di accusa di isolazionismo. Come osservò il Dott. Paul durante le sue campagne, il non-intervenzionismo e l’isolazionismo non hanno niente a che fare l’un l’altro poiché un paese che non si immischia negli affari degli altri può ciò nonostante essere accessibile ed aperto nel trattare con altre nazioni in molti altri modi. I non-intervenzionisti sono affezionati alla citazione del “Farewell Address” di George Washington, in cui raccomandava che “il nostro grande ruolo di condotta verso le nazioni straniere è nell’estensione delle relazioni commerciali, in modo da avere con loro i più piccoli legami politici possibili…. Armonia, confronto liberale con tutte le nazioni, sono raccomandati dalla politica, umanità ed interesse”.Gli esperti della classe dirigente tendono ad ignorare questi“piccoli legami politici”, preferendo invece segnalare come il distacco dalle politiche estere possa guidare all’ascesa di un nuovo Adolph Hitler.
Mi sono ricordato della barriera linguistica mentre leggevo il report dell’Atlantic Council “Middle East strategy task force” (“Strategia della Task Force in Medio Oriente”), apparsa il 30 novembre. Il rapporto, che promette un nuovo “compatto per il medio oriente” mentre afferma anche che “l’isolazionismo è una delusione pericolsa”, potrebbe essere considerato come il documento per antonomasia a mandare a tappetto la posizione dell’establishment su quanto dovrebbe essere fatto nella regione. È verosimilmente il prodotto di due co-dirigenti, Madeleine Albright e Stephen Hadley, ma è anche accreditato ad un team esecutivo condotto dal direttore esecutivo Stephen Grand e dal vice direttore esecutivo Jessica Ashooh, che con molta probabilità sono responsabili della stesura e dell’editing attuali.
Il rapporto pare abbia anche numerosi consulenti di alto profilo che potrebbero aver avuto o non , un ruolo nel prodotto finale. Scorrendo la lista degli associati al progetto che compare alla fine del rapporto, si nota immediatamente che non ci sono singoli o gruppi identificati che potrebbero contestare la nozione che gli USA dovrebbero avere un ruolo da leadership nel Medio Oriente. A dirla tutta, molti di coloro che sono nominati traggono uno status considerabile dall’essere parte o dall’essere di supporto al coinvolgimento dell’America nella regione.
Vorrei descrive in modo netto Albright e Hadley come intervenzionisti, un’etichetta che loro potrebbero disapprovare. Albright fu l’aggressiva Segretario di Stato di Bill Clinton, ed è famosa per il suo sostengo all’American Exceptionalism (Eccezionalismo americano), dichiarando che “ noi siamo la nazione indispensabile. Noi stiamo a testa alta e guardiamo più lontano di altri paesi verso il futuro…”
Lei è anche famosa per la sua approvazione delle sanzioni all’Iraq che potrebbero aver ucciso 500.000 bambini: “Io credo che sia una scelta davvero difficile, ma il prezzo, noi crediamo che il prezzo valga la pena” e aveva anche chiesto a Colin Powell “ A cosa serve avere queste forze militari eccezionali di cui parli sempre se non le possiamo usare?”.
Stephen Hadley fu l’interventista consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto la presidenza di George W. Bush. Fu uno dei più espliciti sostenitori dell’azione militare contro l’Iraq. Durante la sostanzialmente falsa crisi delle armi chimiche in Siria nel 2013, egli apparve sui media sostenendo l’attacco alla Siria con i missili. A quel tempo, egli faceva parte della Raytheon e possedeva 11.477 titolari azioni, cosa che alcuni considerarono un conflitto d’interessi.
Albright e Hadley erano stati chiaramente selezionati come co-dirigenti per rendere il rapporto bipartisan, un imperativo per l’Atlantic Council, che è orgoglioso di dichiararsi non-politico, descrivendosi nei siti web come “un’organizzazione imparziale che promuove una leadership americana costruttiva e il coinvolgimento negli affari internazionali basato sul ruolo centrale della comunità atlantica”. Questa auto-definizione suggerisce un coinvolgimento attivo da parte degli Stati Uniti che va ben oltre il consiglio di George Washington. E se guardate la lista degli esecutivi del Council ed esaminate i loro scritti, sarete in grado di confermare che sono decisamente coinvolti, in termini di supporto, per un ruolo deciso degli Stati Uniti negli affari mondiali.
Albright e Hadley hanno portato con sé un certo punto di vista che è stato sicuramente riconosciuto dai promotori del progetto e si potrebbe immaginare che l’Atlantic Council conoscesse abbastanza bene quanto il resoconto avrebbe sostenuto anche prima che lo stesso venisse scritto.
Il resoconto che conta circa 105 pagine, esplora quanto descrive come una nuova visione strategica per il Medio Oriente che “cambierà la traiettoria politica della regione”.
Sostiene alcune cose come questa: gli stati nella regione devono lavorare insieme per creare una “visione positiva per le loro società” per includere “la risoluzione della ricchezza della regione, ampiamente non sfruttata, il capitale umano, sopratutto i talenti sottoutilizzati dei giovani e delle donne”. Nel frattempo, le forze esterne come gli Stati Uniti avrebbero la responsabilità di essere al comando per riposarsi dai “violenti conflitti” che hanno scosso la regione. Ciò significa che i governi locali saranno responsabili di aver contrattato il loro modo per un modus vivendi accettabile, mentre gli USA dovrebbero essere maggiormente coinvolti militarmente ed utilizzare le risorse dell’intelligence per stabilizzare la Siria, lo Yemen e la Libia.
Nel caso della Siria, che è il fulcro del rapporto, l’argomento è che il regime reazionario di Bashar al-Assad è la causa alla radice della violenza che è costata più di 200.000 vite e la dislocazione di circa un terzo della popolazione del paese. Questa stima non è universalmente accettata, visto che l’80% della popolazione siriana vive in aree controllate dal governo, che sta per aumentare il suo dominio conquistando Aleppo, e non ci sono resoconti riguardo la fuga di massa dei civili verso la grande libertà offerta dalle aree difese dai ribelli, è piuttosto vero il contrario.
Il rapporto raccomanda inoltre di utilizzare la forze armate americane per stabilire aree sicure per proteggere i civili, di includere zone di interdizione area, che porterebbero al contatto diretto con le forze aeree sia di Damasco che di Mosca. Richiama esplicitamente ad una diretta azione militare contro le forze del governo siriano ed include l’utilizzo di “forze aeree, armi standoff, misure sotto copertura e potenziato supporto per le forze di opposizione per interrompere l’attuale assedio di Aleppo e ostacolare i tentativi di Assad di consolidare il controllo sulla popolazione dei centri della Siria occidentale”.
Questa valutazione è stata superata dagli eventi, ma i co-autori non hanno realmente discusso su cosa significherebbe un intervento che coinvolgerebbe gli Stati Uniti in una guerra concreta basata su un decreto esecutivo senza alcuna dichiarazione da parte del congresso. Ignora anche la realtà sul territorio, aggiunge un affidamento politico-militare ai leggendari ribelli moderati mentre si sceglie di non riconoscere che le forze armate degli USA sono gli intrusi in Siria che, piaccia o meno, ha un governo legittimo e un alleato legale in Russia. La possibilità di una seconda guerra con la Russia è ampiamente ignorata nel rapporto ma c’è la supposizione che la pressione militare da parte degli USA dovrebbe spingere Damasco e Mosca verso un “accordo politico” del conflitto, dopo che la Russia si convincerà dell’affermazione di un potere militare americano e che “sconfitta o stallo, non vittoria, sono gli unici risultati militari realistici”.
Il rapporto era stato pianificato inizialmente per servire come una strigliata alla politica attuale di Barack Obama che limita il coinvolgimento americano nel conflitto. Scritto prima delle elezioni presidenziali, i co-autori non hanno anticipato una vittoria di Donald Trump, ma potrebbero aver sperato che il rapporto servisse da linea guida per la nuova amministrazione. Fortunatamente si sbaglieranno in questa aspettativa, ma è difficile a questo punto vedere dove andrà la prossima dirigenza della Casa Bianca con la politica nel Medio Oriente.
A mio avviso ci sono molte cose errate nel rapporto. La più significativa: affida agli Stati Uniti la responsabilità di solidificare e applicare gli standard di autorità in parti del mondo in cui il popolo americano ha poco in materia di interessi attuali. Il rapporto riferisce di questo ruolo di supervisione come parte di “autorizzazione alle operazioni militari globali americane”, un obiettivo bizzarro ed anche un punto in cui arrivano problemi di linguaggio e percettivi, ascolto interventi, che sono stati una politica fallita dal 2001, in cui Albright e Hadley interpretano una missione umanitaria basata sugli interessi americani. Hanno anche difficoltà nella concettualizzazione di ciò che descrivono come il “ciclo debilitante del conflitto” in Medio Oriente che potrebbe effettivamente essere stato causato in buona parte dal coinvolgimento di Washington nella regione, iniziando dall’invasione dell’Iraq nel 2003.
Il secondo errore: gli autori assumono che i paesi nella regione, ognuno con gli interessi più disparati, agiranno in buona fede per supportare la “liberazione del potenziale umano della regione”, che il rapporto descrive con entusiasmo come parte della sua “visione positiva”. Suona bene e probabilmente piace ai globalisti, ma io sarei scettico su qualunque momento kumbaya che richiede di mettere insieme concorrenti come L’Arabia Saudita, l’Egitto e la Turchia in un movimento armonico per migliorare tutti nella regione. Tale pia illusione non è minimamente credibile.
Terzo punto, quando il rapporto fu pubblicato Stephen Hadley dichiarò all’agenzia Reuters che “potrebbe non funzionare. Ma una cosa che sappiamo è che ciò che sta accadendo ora non sta funzionando”. No, non lo sta facendo, ma potrebbe essere basato su una stima difettosa sulla natura del conflitto. Ma è molto facile usarla come giustificazione per andare in guerra contro la Siria e forse la Russia.
Una delle ovvie debolezze del rapporto deriva dalla sua visione del mondo establishment-centrica. Richiede la costruzione di istituzioni politiche più forti tra i palestinesi in modo da ottenere una soluzione a due stati senza nessun esame serio di ciò che l’occupazione israeliana sta facendo o non facendo, per impedire qualunque movimento reale in tale direzione. L’Iran viene trattato come un nemico della “visione positiva” e sta “interferendo” con i vicini, con gli USA favorevoli a “scoraggiare e contenere l’attività egemonica dell’Iran”. Vede una soluzione democratica liberale a tutti i mali e giudica gli sfaccettati conflitti regionali esclusivamente in termini di “noi contro loro”, favorendo i suoi “amici ed alleati” contro le altre numerose forze che non si trovano nella stessa pagina.
Il Middle East Strategy Task Force Final Report dell’Atlantic Council sostiene una trasformazione per l’intera regione, iniziando con la creazione della sicurezza con la sostituzione di al-Assad e con la sconfitta dell’ISIS, è desiderabile e raggiungibile. È un’impresa che deve essere lasciata ai concorrenti locali per i costrutti necessari sociali e politici con gli Usa che provvedono alla direzione e leadership, in particolare quando reprime i “conflitti violenti”. È una visione utopistica di ciò che potrebbe essere ma bisogna preoccuparsi per il fatto che l’impiego semplicistico delle forze armate come rimedio per il ciclo regionale di violenza, ignori la probabilità che fare affidamento su tale soluzione in primo luogo è stato un elemento chiave nell’evoluzione dell’instabilità attuale. Che il problema in Siria sarà risolto dall’entrata in gioco di una forza maggiore da parte di ciò che è promossa come un’alternativa progressiva ed umanitaria a Bashar al-Assad è ridicolo, ma è tipico della posizione predefinita che molti a Washington adottano quando valutano in che modo risolvere i problemi in Medio Oriente.
Fonte: www.unz.com
Link: http://www.unz.com/pgiraldi/bipartisan-war/
13.12.2016
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Steflowers