DI PINO CABRAS
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Caso Pizzarotti: un errore della nomenklatura pentastellata che il M5S rischia di pagare a caro prezzo, tagliando fuori voci democratiche e creative.
Mi posso permettere di parlare con molta libertà del Movimento Cinque Stelle, nell’ora in cui questo perde Federico Pizzarotti, proprio lui, il suo primo sindaco di una città capoluogo, con tanto di saluto finale sprezzante di Beppe Grillo.
Mi posso permettere tanta libertà perché ho combattuto contro i giudizi ingiusti che per anni sono stati espressi contro i cinquestelle, sia i giudizi di quelli che avevano interessi – spesso loschi – da difendere, sia quelli dei troppo pigri intellettualmente (quelli cioè che vedono il fascismo dove non c’è e non si accorgono di chi ha difeso in Parlamento la Costituzione contro la riforma Boschi-Verdini).
Molti amici del MoVimento sanno che nel difenderli ho affrontato rimproveri e persino qualche insulto per solo amore della verità.
Nel caso della vicenda di Pizzarotti la vedo molto semplice: a Parma nel 2012 si è prodotto per la prima volta lo schema che poi si è ripetuto uguale identico in tante altre città: un sistema di potere locale corrotto fino al marciume e imperniato sul PD – alla fine di un disastro che ha divorato le casse comunali – viene sconfitto al ballottaggio da una forza che non spunta come un fungo, ma viene da anni di opposizione senza sconti.
Per il M5S votano insieme elettori di sinistra (disgustati e in fuga dal sistema imploso) ed elettori di destra che non voterebbero mai per quella sinistra.
A Parma va dunque al governo un gruppo dirigente che si trova a gestire una catastrofe finanziaria senza avere una pregressa esperienza amministrativa, ma che sa rimboccarsi le maniche e identifica le priorità civiche all’interno della cornice delle leggi, senza dover rispondere ai ricatti paralizzanti del vecchio sistema di potere parassitario.
Non riesce a fare tutto quel che vorrebbe, perché non tutto è nelle competenze azionabili dal Comune, ma se la cava decisamente bene. Certo, sul nuovo sindaco pesano i vecchi debiti, ma il solo fatto di essersi liberato dei parassitismi politici che c’erano prima di lui offre a Pizzarotti margini di manovra mai visti. Quei debiti li riduce del 45%, e il suo comune scala persino alcune delle classifiche che contano per giudicare la qualità della vita di una città rispetto a centinaia di altre. Accade addirittura che Parma, dapprima sull’orlo della bancarotta, riesca a diventare in pochi anni la 18° città italiana per stabilità economica.
Insomma, Pizzarotti funziona, e funziona bene.
Quel che non funziona è il rapporto con la macchina politica che detiene il marchio del M5S, ossia il nucleo aziendale di Beppe Grillo e della famiglia Casaleggio, così come non funziona il rapporto con la seconda cerchia dell’emergente forza politica (il Direttorio). Ogni tanto il blog di Grillo nei confronti del “Pizza” scrive due o tre righe, sempre più fredde. È evidente che lui non è un tipo governabile con direttive dall’alto, perché possiede la pertinacia minuziosa e pragmatica di certi amministratori vecchio stampo, che hanno studiato i regolamenti fino a spremerne l’anima, gente che non convinci se prima non studi anche tu.
Nel frattempo molti altri comuni vengono conquistati dal M5S. Stesso schema: municipi con una lunga storia di amministrazioni piddine spaventosamente tarlate vengono espugnati da liste con il marchio cinquestelle che riescono a vincere i ballottaggi e mettono sindaci non ricattabili dai vecchi poteri.
L’arcipelago delle realtà locali pentastellate viene tenuto insieme sempre più a fatica da un movimento politico che – per non volersi dotare di regole da partito tradizionale – si trova a gestire le questioni politiche con regole evanescenti, meccanismi di garanzia troppo dipendenti dall’arbitrio di pochi, norme di inclusione-espulsione giuridicamente insostenibili. A peggiorare le cose ci si mette un Direttorio che – a dispetto del nome – non sembra ambire a dirigere il rapporto con le realtà locali, tranne eccezioni: i problemi minori, trascurati, diventano grandi e scavano solchi anche sul piano umano.
Fra questi problemi ci sono piccole grane giudiziarie che i sindaci del M5S subiscono quasi sempre perché il PD spodestato cerca una riscossa in tribunale. Anche qui, lo schema si ripete: gli esponenti del PD presentano degli esposti praticamente infondati, ma scritti abbastanza bene da costringere i magistrati a indagare e a far recapitare un “avviso di garanzia” all’amministratore pentastellato di turno.
Se funziona bene la comunicazione fra l’amministratore e i livelli apicali del M5S, il MoVimento è garantista e attende che l’amministratore sia scagionato (come quasi sempre accade).
Se quella comunicazione invece non funziona bene, come nel caso di Pizzarotti, il Movimento lo sospende e non revoca la sospensione nemmeno quando il sindaco di Parma viene prosciolto. Fino all’assurda cavillosità dell’ultima cosa che Grillo trova da dire a Pizzarotti: la richiesta dei «documenti che gli sono stati richiesti il 6 giugno e che non ha mai fornito». Dopo i balbettii di Di Maio sulle vicende romane, trattati con ben altra indulgenza, l’unica cosa che Grillo ha dire su un amministratore che esce pulito è questa pedanteria, riferita per di più a un regolamento interno che sarà sostituito proprio perché in tutta evidenza non funzionava.
Allora traduciamo le cose in termini politici: nessuna norma avrebbe mai potuto dimostrare che Pizzarotti si comportava in contrasto con regole e azioni tipiche del M5S né il capo poteva espellerlo senza compiere violazioni della legge passibili di strascichi giudiziari. Così lo si è tenuto nel limbo, per spingerlo ad espellersi da solo, senza dargli una risposta che fosse una, nel merito, in modo pubblico, trasparente, conforme alle aspettative tanto decantate quando tutto doveva andare in streaming.
Era così insostenibile l’autonomia parmense? A me pare che la nomenklatura pentastellata abbia commesso un errore politico madornale che finirà per pagare a caro prezzo, tagliando fuori voci democratiche e creative. L’ultima cosa che serve a chi vuole costruire un’opposizione forte oggi e un governo popolare e pluralista domani.
Pino Cabras
Fonte: http://megachip.globalist.it
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4.10.2016