MOON LANDING SKEPTIC
veteranstoday.com
I credenti sono a rischio di estinzione?
Ecco, quest’anno ricorre il 50° anniversario dello sbarco sulla Luna dell’Apollo 11. Nel 2016, un sondaggio aveva mostrato che il 52% del pubblico britannico era del parere che le missioni Apollo fossero false. Lo scetticismo era maggiore tra quelli che erano troppo giovani per averlo visto dal vivo in TV: il 73% di quelli con 25-34 anni di età riteneva che non siamo mai andati sulla Luna, in confronto al 38% delle persone di 55 anni o più. Queste percentuali sembrano aumentare ogni anno che passa.
I miscredenti britannici, dieci anni fa, erano solo il 25%. Non si sa quanti possano essere oggi, ma un sondaggio del 2018, condotto dal Centro Russo di Ricerca sull’Opinione Pubblica aveva rivelato che il 57% dei Russi ritiene che non ci sia mai stato uno sbarco lunare con equipaggio. La percentuale sale al 69% tra le persone con istruzione superiore: in altre parole, più le persone sono istruite e più sono capaci di ragionamento razionale, meno credono agli sbarchi sulla Luna.
Per quanto riguarda gli Americani, un sondaggio Gallup del 1999 aveva dato solo un 6% di scettici, e un sondaggio del Pew Research del 2013 aveva mostrato che la percentuale era salita solo al 7%. Questi dati sono sospettosamente bassi. Un sondaggio del 2005-2006 “ha rilevato che oltre un quarto degli Americani tra i 18 e i 25 anni ha espresso dubbi sul fatto che degli esseri umani abbiano mai messo piede sulla Luna” e questo è molto più vicino ai dati britannici e anche più credibile. È interessante notare che in un sondaggio realizzato da Knight Newspapers, un anno dopo il primo sbarco sulla Luna, oltre il 30% degli intervistati aveva dei dubbi sui viaggi lunari compiuti dalla NASA. Molti di quei primi scettici potrebbero essersi convertiti nel corso degli anni o, semplicemente, aver perso la forza di dissentire.
Ma la teoria dei falsi allunaggi ha acquisito nuovo slancio con la diffusione di Internet e lo sviluppo di YouTube, che ha permesso analisi approfondite dei filmati delle missioni Apollo a chiunque ne fosse interessato. Prima di questo, le persone che avevano seri dubbi avevano pochi mezzi per condividerli e rendere convincenti le loro argomentazioni. Uno dei pionieri era stato Bill Kaysing, che aveva rotto il ghiaccio nel 1976, con il suo libro auto-pubblicato We Never Went to the Moon: America’s Thirty Billion Dollar Swindle [Non siamo mai andati sulla Luna: la truffa americana da 30 miliardi di dollari]. Potrebbe essere chiamato un informatore, dal momento che aveva lavorato per Rocketdyne, la compagnia che aveva progettato e costruito i missili Apollo. Poi era arrivato il fisico Ralph René con NASA Mooned America: How We Never Went to the Moon and Why, [La NASA ha turlupinato l’America: come non siamo mai andati sulla luna e perché], che aveva introdotto il problema delle fasce di radiazioni di Van Allen.
La ricerca si era fatta più ampia e profonda, e l’incredulità era diventata epidemica intorno al 30° anniversario dell’Apollo 11, grazie sopratutto al cineasta britannico David Percy, co-autore con Mary Bennett del libro Dark Moon, e regista del documentario di 3 ore What Happened on the Moon? An Investigation in Apollo [Che cosa è successo sulla Luna? Un indagine sull’Apollo] (2000), presentato da Ronnie Stronge. Resta fino ad oggi un inestimabile contributo per chiunque voglia farsi un’opinione basata sui fatti.
Poi c’era stato il molto più breve A Funny Thing Happened in the Way to the Moon [Una cosa buffa è successa durante il viaggio verso la Luna] (2001), diretto da Bart Sibrel, che offre una visione del contesto storico. Sibrel aveva anche sfidato gli astronauti della NASA a giurare sulla Bibbia, davanti alla telecamera, di aver camminato sulla Luna, e aveva montato queste sequenze in Astronauts Gone Wild [Astronauti impazziti], insieme ai filmati, forse più utili, delle dichiarazioni goffe e imbarazzanti rilasciate dagli astronauti della NASA che, in teoria, avevano camminato sulla Luna, dichiarazioni che però non sembrano affatto responsabili e coerenti; Alan Bean, dell’Apollo 12, che apprende da Sibrel che avrebbe attraversato la cintura di radiazioni di Van Allen è assolutamente da vedere (anche qui).
Infine, usando i materiali di quei film e di altre fonti, è arrivato il sensazionale documentario TV Did We Land on the Moon? [Siamo sbarcati sulla Luna?] (2001), diretto da John Moffet per Fox TV. È una grande introduzione alla controversia, anche se contiene alcuni errori nell’interpretazione delle fotografie lunari. Potete guardarlo qui sotto, nella riproposta del 2013 di Canale 5:
Siamo sbarcati sulla Luna?
Molto più di recente, il fotografo e regista italiano Massimo Mazzucco, che aveva in precedenza realizzato un grande documentario sull’11 settembre, ha diffuso American Moon (2018), finora il miglior film sulla questione Apollo. È un film notevole per la precisione delle argomentazioni e per la rilevanza della documentazione. Mazzucco ha il grande merito di rispondere dettagliatamente a ciascuna delle contro-argomentazioni dei debunker. Come regista e fotografo professionista, il suo contributo principale, sebbene non l’unico, è nel campo dell’analisi fotografica (corregge alcuni degli errori comuni che si trovano, ad esempio, in Did We Land On The Moon?). Mazzucco ha sollecitato il contributo di molti altri fotografi di fama internazionale, le cui analisi sono devastanti per quanto riguarda la credibilità delle foto lunari della NASA. Potete ascoltare Mazzucco su Truth Jihad Radio di Kevin Barrett, ma consiglio vivamente il DVD:
Il trailer di American Moon:
Ci sono pochissimi libri sull’argomento. Non ne conosco uno più accurato di One Small Step? The Great Moon Hoax e Race to Dominate Earth From Space [Un piccolo passo? Il grande inganno lunare e la corsa per dominare la Terra dallo spazio], del ricercatore tedesco Gerhard Wisnewski, pubblicato originariamente nel 2005, che citerò ripetutamente.
C’è anche del materiale prezioso, che non discuterò qui per mancanza di spazio, in The Apollo Moon Missions: Hiding a Hoax in Plain Sight (Part I) [Le missioni lunari Apollo: nascondere una truffa mettendola in bella vista], di Randy Walsh, pubblicato nel 2018. Il suo capitolo 2 (ristampato nella rivista Nexus) dimostra che, come sospettava Kaysing, i motori F-1 dei razzi Saturn V utilizzati nelle missioni Apollo non avevano il carburante e la potenza necessarie per inviare il razzo a pieno carico (circa 3.000 tonnellate) in un’orbita terrestre bassa. Il suo capitolo 3 descrive in dettaglio i componenti dell’Apollo Guidance Computer, costruito da Raytheon, e i compiti impossibili che avrebbe dovuto svolgere per condurre in sicurezza una missione con equipaggio sulla Luna e ritorno.
Caldamente raccomandata è anche l’indagine umoristica del defunto Dave McGowan, Wagging the Moondoggie (anche qui in pdf).
Non ho intenzione di discutere tutte le prove presenti in queste fonti. Posso solo proporle, insieme a poche altre in seguito. Sceglierò, semplicemente, le argomentazioni che ritengo più convincenti, aggiungerò alcuni sviluppi recenti, tirerò le conclusioni che riterrò migliori, porrò il problema in una prospettiva storica più ampia e trarrò da tutto questo alcuni insegnamenti sulla Matrix in cui viviamo.
Prima di tutto, dobbiamo essere chiari sull’obiettivo di una simile indagine. Non dovremmo aspettarci nessuna prova definitiva che Neil Armstrong, o qualsiasi altro passeggiatore lunare delle missioni Apollo, non abbia mai messo piede sulla Luna. Questo non può essere accertato, senza una prova inconfutabile che si trovasse da qualche altra parte (in orbita intorno alla Terra, per esempio) nell’esatto periodo di tempo in cui affermava di essere stato sulla Luna. Nella maggior parte dei casi, non si può provare che una certa cosa non sia accaduta, proprio come non si può provare che qualcosa non esiste. Non si può provare, ad esempio, che gli unicorni non esistono. Questo è il motivo per cui l’onere della prova tocca a chiunque affermi la loro esistenza. Se io vi dicessi che ho camminato sulla Luna, voi mi chiedereste di dimostrarlo, e non prendereste come risposta: “No, dimostrate voi che non ci sono andato.” Fa differenza se io sono la NASA? Certo che la fa, perché dare del bugiardo alla NASA vi porterà inevitabilmente a mettere in discussione tutto ciò a cui siete stati portati a credere dal vostro governo, dalle vostre istituzioni scolastiche, dalla comunità scientifica e dai media mainstream. E’ davvero un salto da gigante! Proprio come i figli di genitori oppressivi, i cittadini onesti con governi autoritari tenderanno a reprimere le prove della malvolenza dei loro governi. E così, le persone scelgono di credere agli sbarchi sulla Luna, senza nemmeno chiedere le prove, semplicemente perché: “Non ci avrebbero mentito per più di 50 anni, vero? I media avrebbero smascherato la bugia molto tempo fa (ricordate il Watergate)! E le 250.000 persone coinvolte nel progetto? Qualcuno avrebbe parlato.” Posso sentire me stesso parlare così, solo 10 anni fa. Tutte queste obiezioni devono indubbiamente essere affrontate.
Prima di far ciò, la cosa scientifica da fare è iniziare con la domanda: può la NASA dimostrare di aver mandato uomini sulla Luna? Se la risposta è no, il passo successivo è decidere se dovremmo fidarci, o no, della loro parola. Ciò richiede una riflessione su quali potrebbero essere state le ragioni di una tale bugia. Ci arriveremo.
Ma, prima di tutto, può la NASA fornire prove concrete degli sbarchi sulla Luna?
Prove, solide come la roccia, dall’Antartide
Si, può farlo. Hanno riportato indietro pezzi di Luna: circa 380 chilogrammi di rocce lunari e campioni di suolo, contando tutte le missioni Apollo. Le rocce lunari sono una prova degli sbarchi sulla Luna, vero? Sì, lo dimostrano, ma solo se è possibile stabilire con certezza che [questi frammenti] non sono stati ritrovati sulla Terra. E questo è il problema. Come spiegato qui, “sono state rinvenute in Antartide meteoriti che hanno dimostrato di possedere le stesse caratteristiche delle rocce lunari.” Potrebbe essere utile sapere che, nel 1967, due anni prima dell’Apollo 11, la NASA aveva organizzato una spedizione in Antartide, a cui aveva partecipato Wernher Von Braun, il principale propagandista della NASA per le missioni lunari; l’Antartide è la regione della Terra con la più alta concentrazione di meteoriti. Alcune di queste meteoriti erano state recuperate dalla spedizione, la spiegazione ufficiale era stata che avrebbero dovuto servire da riferimento quando sarebbero poi state confrontate con i campioni delle missioni Apollo (secondo Mazzucco).
Quindi, le rocce lunari sono ben lontane dall’essere una prova degli sbarchi sulla Luna. Di fatto, non si può provare che una qualsiasi delle cosiddette rocce lunari provenga dalla Luna, piuttosto che dall’Antartide o da qualche altro luogo sulla Terra. Ma c’è di peggio: si è definitivamente accertato che alcune delle cosiddette rocce lunari sono dei falsi. Negli anni ’90, l’astrobiologo britannico Andrew Steele aveva avuto il privilegio speciale di poter esaminare alcuni dei preziosi campioni rinchiusi nelle casseforti della NASA. Immaginate la sua sorpresa nello scoprire che includevano setole, pezzetti di plastica, nylon, teflon e piccoli animali terrestri (Wisnewski 207). Un’altra roccia lunare aveva fatto notizia quando, 40 anni dopo essere stata consegnata personalmente da Neil Armstrong e Buzz Aldrin al Primo Ministro olandese, era stato esaminata e si era scoperto che si trattava di legno pietrificato.
Certo, qualche falsa roccia lunare non significa che tutte le rocce lunari siano false. Ma dovrebbe essere una ragione sufficiente per avviare un esame scientifico e sistematico delle centinaia di altri campioni che gli Stati Uniti avevano cerimoniosamente distribuito nel 1969 e negli anni ’70. Sfortunatamente, la maggior parte di questi è andata perduta. Come riportava l’Associated Press il 13 settembre 2009, “Quasi 270 rocce raccolte dagli astronauti statunitensi erano state date in omaggio a nazioni straniere dall’amministrazione Nixon. […] Delle 135 rocce della missione Apollo 17 offerte alle varie nazioni o ai loro leader, solo circa 25 sono state localizzate. […] Le prospettive di rintracciare le 134 rocce dell’Apollo 11 sono ancora più scarse. Solo per meno di una dozzina se ne conosce il luogo di conservazione.”
Le prove video-fotografiche
Quale altre prove ha la NASA degli sbarchi sulla Luna? I film e le fotografie, ovviamente! Sfortunatamente, i film disponibili negli archivi televisivi sono molto sfuocati. Come, ad esempio, possiamo essere sicuri che l’astronauta David Scott dell’Apollo 15 stia lasciando cadere un vero martello e una vera piuma per dimostrare la gravità newtoniana in un ambiente privo di atmosfera, quando a malapena riusciamo a vedere gli oggetti? (Guardate qui una sequenza rilevante da What Happened to the Moon?) Ancora più importante, come possiamo verificare che l’apparente bassa gravità nei film delle missioni lunari Apollo non sia stata ottenuta semplicemente facendo delle riprese al rallentatore? Gli scettici hanno sottolineato che, se la velocità di riproduzione dei filmati viene raddoppiata, si ha l’impressione di un normale incedere sulla Terra. Alcuni si chiedono addirittura se i movimenti al rallentatore dei film delle missioni Apollo siano realistici. William Cooper, ad esempio, spiega che in un ambiente con un sesto della gravità terrestre, i salti degli astronauti dovrebbero essere molto più lunghi e più alti di quelli sulla Terra: potrebbero saltare logicamente sei volte più in alto che sulla Terra. Ad alcuni astronauti, come Eugene Cernan dell’Apollo 17, piaceva divertirsi sulla Luna facendo il “salto del canguro“, ma perché sembrano tutti incapaci di saltare più in alto di 30 cm.?
La scarsa qualità delle riprese televisive è dovuta al processo con cui erano state ottenute: “Poiché le apparecchiature della NASA non erano compatibili con la tecnologia televisiva dell’epoca, le trasmissioni originali dovevano essere visualizzate su un monitor e riprese da una seconda videocamera per poter essere messe in onda” (come spiegato in questo articolo del 15 agosto 2006 di Reuters). Per essere precisi, la NASA aveva affermato che la trasmissione originale dalla Luna era in video a colori e che veniva rifilmata su nastri da 16 mm da un monitor in bianco e nero (a colori da Apollo 14 in poi), utilizzando un cinescopio, una lente che permette di focalizzare un monitor.
Ciò di cui avremmo bisogno per un’indagine adeguata sono le registrazioni video originali della NASA. I ricercatori hanno chiesto per decenni di poter accedere a questi film, ai sensi della legge sulla libertà di informazione. Nel 2006, era stata data loro una risposta. Il portavoce della NASA, Gray Hautaluoma, aveva dichiarato: “Non li vediamo da un bel po’. Abbiamo cercato per oltre un anno ma non li abbiamo trovati.” Mancavano 700 cartoni di videocassette magnetiche, afferma il già citato articolo di Reuters, e aggiungeva: “La NASA ha ammesso nel 2006 che nessuno poteva rintracciare le registrazioni video originali del 20 luglio 1969, quelle dell’atterraggio. Da allora, Richard Nafzger, un ingegnere del Goddard Space Flight Center della NASA, nel Maryland, che aveva supervisionato l’elaborazione dei dati televisivi presso i siti di tracciamento terrestre durante la missione Apollo 11, li ha continuamente cercati. La buona notizia è che ha scoperto dove erano finiti. La cattiva notizia è che facevano parte di un lotto di 200.000 nastri che sono stati smagnetizzati, cancellati magneticamente, e riutilizzati per risparmiare denaro.”
Presumibilmente, si sono persi anche tutti i dati di telemetria, ricevuti e registrati, che servivano a monitorare la posizione e il funzionamento meccanico della capsula spaziale, così come il battito cardiaco degli astronauti. Sono andate smarrite anche le cianografie dei moduli lunari, dei rover lunari e degli interi razzi multisezione Saturn V.
Come risultato di questa ammissione della NASA, i funzionari russi hanno richiesto un’indagine internazionale.
Per concludere la questione delle videoregistrazioni originali mancanti, è opportuno citare una delle argomentazioni più forti presentate dagli increduli delle missioni Apollo: la capacità delle batterie montate sui moduli lunari (come documentato dalla NASA) era assolutamente insufficiente per la trasmissione di un segnale video alla Terra, anche con un’antenna puntata direttamente su Houston, cosa che non avevano. Questo problema è stato ben argomentato dal cineasta americano Joe Frantz e da un ingegnere delle radiofrequenze in questo video (apprezzerete anche la visione di astronauti incredibilmente ingenui, che mettono in evidenza una pessima sceneggiatura).
Ma non abbiamo solo i film, per fortuna abbiamo le fotografie. Oltre a piantare la bandiera americana e raccogliere campioni di roccia (“mai venire sulla Luna senza un martello“, scherza Alan Bean di Apollo 12), gli astronauti hanno passato molto tempo a scattare foto sulla Luna. E, diciamo la verità: nel 2015, la NASA ha rilasciato al pubblico migliaia di queste foto ad alta risoluzione. Sono accessibili qui e possono essere esaminate in dettaglio. Molte di queste sono notevoli per la loro qualità.
L’equipaggio dell’Apollo 11 utilizzava l’Hasselblad 500C standard, a cui erano state apportate alcune modifiche, come la rimozione dello specchio reflex. La pellicola utilizzata era la Kodak Ektachrome standard, 160 ASA. Questa è una pellicola esageratamente sensibile per un luogo in cui la luce del sole non è filtrata da nessuna atmosfera, specialmente considerando che alcune foto, per altro perfettamente esposte, sono state scattate direttamente controsole. Ci sono anche da prendere in considerazione problemi tecnici sull’affidabilità di questo materiale sulla superficie della Luna, dove le temperature vanno da – 100 °C a + 100 °C: l’unica protezione contro il calore, sia per la fotocamera che per il caricatore, era un rivestimento antiriflesso. (Il modo in cui gli astronauti abbiano potuto sopravvivere a tali temperature è un problema ancora più serio).
Un altro aspetto problematico è la qualità professionale della maggior parte di quelle immagini. Ogni singolo scatto di Neil Armstrong, ad esempio, è perfettamente esposto ed inquadrato. Wisnewski (144-149) sottolinea abbastanza correttamente quanto poco credibile sia la cosa, perchè Armstrong (o qualsiasi altro astronauta) non poteva controllare l’inquadratura, dal momento che la macchina fotografica era fissata sul suo petto, dove non poteva nemmeno vederla. Per non parlare poi della difficoltà di impostare manualmente diaframma, tempo di esposizione, messa a fuoco e campo visivo con i guanti pressurizzati, senza vedere la fotocamera e senza alcuna esperienza di fotografia in ambiente lunare. Dobbiamo ricordare che la fotografia, all’epoca, era un’attività da esperti anche sulla Terra ed è abbastanza sorprendente che tutti gli scatti di Armstrong siano semplicemente perfetti.
Per andare al dunque, c’è qualche prova che queste immagini siano state scattate sulla Luna? Assolutamente no. Sono facili da realizzare in studio. Di fatto, la NASA aveva fatto di tutto per addestrare gli astronauti in ambienti interni che riproducevano le condizioni della superficie lunare così come le immaginavano, fabbricando tonnellate di “polvere lunare” per questo scopo (anche prima che qualcuno avesse visto la vera polvere lunare), arrivando persino a simulare il cielo nero. Alcune delle fotografie scattate in queste scenografie di tipo cinematografico, come la seguente, che si trova negli archivi della NASA, sarebbero difficili da distinguere da quelle “vere”, se fossero inquadrate in modo diverso.
Ammettiamolo: non ci sono prove sull’autenticità delle fotografie delle missioni Apollo. Questo potrebbe non essere sufficiente a destabilizzare i credenti. Ma che cosa succederebbe se un bel po’ di queste fotografie fossero “piene di incoerenze e di anomalie“, come aveva affermato David Percy, che discute la sua tesi in What Happened on the Moon? Il film contiene un’intervista a Jan Lundberg, il Project Engineer dell’Hasselblad per le missioni Apollo. Quando gli viene chiesto di spiegare alcune delle incongruenze relative alle ombre e all’esposizione (ad esempio, gli astronauti completamente illuminati nonostante siano all’ombra del modulo lunare, come nella foto riprodotta sulla copertina del libro di Wisnewski), [Lundberg] risponde: “Non riesco a spiegarlo. Il perché… mi sfugge.”
Per inciso, l’ammissione imbarazzata di Lundberg è l’illustrazione perfetta di come la compartimentazione possa aver reso possibile l’imbroglio lunare. Come le altre centinaia di migliaia di persone coinvolte nel progetto, anche lui aveva lavorato sulla base di “ciò che bisognava sapere” e non aveva motivo di sospettare che stesse lavorando per qualcosa di diverso da quello che gli era stato comunicato, almeno finché qualcuno non lo aveva sfidato a giustificare delle immagini impossibili. Solo una manciata di persone dovevano essere a conoscenza del quadro completo e non è nemmeno certo che il presidente Nixon fosse tra queste. Si stima che circa 20.000 fra appaltatori e fornitori, distribuiti nei quattro angoli degli Stati Uniti, abbiano lavorato al progetto Apollo: nessuno dei dipendenti aveva i mezzi, per non parlare dell’interesse, di mettere in dubbio l’utilità di ciò che stava facendo.
Come sostiene Wisnewski (121-126) quando parla del Programma Corona alias Discoverer (un satellite di ricerca statunitense lanciato intorno al 1959 con lo scopo segreto di spiare l’Unione Sovietica), è sbagliato presumere che le comunità militari, spaziali e di intelligence statunitensi non possano mantenere un segreto. Per fare un altro esempio, centinaia di migliaia di persone avevano lavorato al Progetto Manhattan, che era rimasto completamente nascosto al pubblico fino a quando la bomba atomica non era stata sganciata su Hiroshima.
Non elencherò ed esaminerò le anomalie delle fotografie delle missioni Apollo, poiché è già stato fatto nei documentari sopra menzionati. Il recente film documentario di Massimo Mazzucco, American Moon, offre sicuramente le prove migliori, presentate da fotografi professionisti, della falsità delle fotografie delle missioni Apollo. Uno dei suoi meriti è anche quello di fare chiarezza su alcune argomentazioni errate, ad esempio quella che riguarda i “reticoli” [ crosshairs] coperti.
Solo per dare un’idea ai principianti, ecco un esempio di incoerenza nella direzione delle ombre sulla foto NASA n ° AS14-68-9486/7, che, secondo gli scettici, dimostra la presenza una fonte di luce più vicina del sole (e non di “più fonti di luce,” come è erroneamente riportato in Did we Go to the Moon?)
Le affermazioni basate sulle analisi delle ombre, tuttavia, sono aperte a confutazioni senza fine. Trovo molto più istruttivo esaminare attentamente alcune delle fotografie dei moduli lunari, che si possono reperire ad alta risoluzione sul sito degli archivi della NASA. Vi consiglio di visionarle e di usare il comune buon senso. Chiedetevi, ad esempio, se riuscite credere che l’Apollo 11 Lunar Module Eagle (qui, qui o qui) avrebbe potuto far scendere due astronauti sulla Luna, riportarli in orbita lunare e ricongiungersi con il modulo di comando orbitante. Oppure prendete il modulo lunare Antares di Apollo 14 (qui) o il modulo lunare Orion di Apollo 16 (qui, o qui con il rover miracolosamente fuoriuscito), o il Challenger di Apollo 17 (qui). Tenete presente che queste cadenti catapecchie dovevano essere ermeticamente pressurizzate, in un ambiente sotto vuoto, ogni volta che gli astronauti uscivano nelle loro esplorazioni extra-veicolari e che, negli ultimi due casi, due astronauti avevano trascorso più di 3 giorni (rispettivamente 71 ore e 76 ore) sulla Luna e avevano dormito tre notti nel modulo. Se volete continuare con queste riflessioni, guardatevi questo video di 15 minuti. Ma c’è una migliore esposizione del problema in American Moon.
Dove sono finite tutte le stelle?
Se gli equipaggi delle missioni Apollo avessero fotografato il cielo stellato della Luna, la NASA avrebbe potuto usare le immagini per ribattere alle accuse di frode. Negli anni ’60, sarebbe stato molto difficile utilizzare calcoli computerizzati per rendere credibili le costellazioni stellari, [come si sarebbero viste dalla Luna]. Sfortunatamente, alla NASA nessuno ci aveva pensato. Agli astronauti era stato chiesto di guardare in basso e raccogliere rocce, non di alzare lo sguardo e studiare le stelle. È come se la NASA fosse stata una congregazione di geologi che disprezzavano l’astronomia. E pensare che hanno speso miliardi di dollari per mandare telescopi in orbita terrestre!
Prima delle missioni Apollo, era opinione diffusa che le stelle sarebbero state molto luminose se viste da qualsiasi luogo oltre l’atmosfera terrestre: “sorprendentemente brillanti” è come le aveva descritte Yuri Gagarin, durante il suo viaggio orbitale intorno alla Terra, nel 1961. E gli astronauti del Progetto Gemini del 1965-66, mentre volavano in un’orbita terrestre bassa avevano anch’essi testimoniato di essere rimasti meravigliati dalla bellezza delle stelle.
Ecco una fotografia, presente sul sito della NASA, con la seguente didascalia: “Se si potesse disattivare la capacità dell’atmosfera di diffondere la luce solare, il cielo, durante il giorno, potrebbe assomigliare a qualcosa del genere” (da McGowan, 12):
Eppure, le missioni Apollo avevano apparentemente dissipato quel pregiudizio: non c’erano stelle visibili nel cielo lunare. Punto. Il problema non è che le stelle non siano visibili nelle fotografie della NASA scattate sulla superficie lunare: questo è normale, secondo i fotografi intervistati da Mazzucco, perchè l’esposizione necessaria per catturare le stelle avrebbe sovraesposto la superficie lunare. Il problema è che gli astronauti non vedevano stelle con i loro occhi. Tutti, dall’Apollo 11 all’Apollo 17, hanno costantemente dichiarato che il cielo era completamente nero, “un immenso cielo di velluto nero, completamente nero“, secondo le parole di Edgar Mitchell, il sesto uomo sulla Luna.
Era forse perché la luminosità della superficie lunare era troppo forte, così che i loro occhi non potevano adattarsi? Un giorno lunare dura 27 giorni terrestri e quindi gli astronauti sbarcati sul lato illuminato della Luna non avevano mai visto la notte. Se questa era la ragione, almeno gli astronauti avrebbero dovuto vederne molte di stelle, quando erano in viaggio tra la Terra e la Luna. Non hanno mai detto di averne viste. Quando orbitavano attorno alla Luna e passavano nella sua ombra si trovavano in totale oscurità, e ancora non vedevano stelle. Michael Collins, che aveva orbitato attorno alla Luna diverse volte nel modulo di comando, mentre Aldrin ed Armstrong erano sulla sua superficie, aveva dichiarato, durante conferenza stampa del 1969: “Non ricordo di averne viste!” Questa è una delle osservazioni più strane che ci possa aspettare da un astronauta, ma l’intera conferenza stampa era stata un’esperienza bizzarra, tutta da guardare.
La conferenza stampa del 1969 dell’equipaggio di Apollo 11
Non chiedetelo a Neil Armstrong
L’intervista a Neil Armstrong del novembre 1970 è altrettanto bizzarra. È stata usata da molti scettici come prova del fatto che stava mentendo. Consiglio vivamente questa analisi molto professionale commissionata da Richard D. Hall di RichPlanet TV a Peter Hyatt, un esperto riconosciuto a livello nazionale nello scoprire menzogne. La trovo devastante per la credibilità di Armstrong.
Peter Hyatt analizza le bugie di Armstrong:
Dopo di che, ad Armstrong deve essere stato ordinato di stare lontano dalle interviste. Aveva fatto un’ultima, rapida apparizione il 20 luglio 1994, alla presenza del presidente Clinton, solo per paragonarsi ad un pappagallo, “l’unico uccello che potesse parlare” ma “che non aveva volato molto bene“, concludendo con un criptico commento sui “progressi inesplorati a disposizione di quelli che riusciranno a rimuovere uno degli strati protettivi della verità“. Poi era ritornato nella sua clausura e aveva rifiutato di partecipare (o gli era stato chiesto di non farlo) alle celebrazioni del 40° anniversario della sua leggendaria passeggiata sulla Luna. Fortunatamente per i custodi del mito, ora ha lasciato la Terra per sempre, e la sua storia può essere raccontata da Hollywood.
Allacciate le vostre Cinture di Van Allen
Siamo partiti cercando di scoprire se esistono prove che gli sbarchi sulla Luna fossero reali. Non ne abbiamo trovata nessuna. Invece, abbiamo trovato le prove che non lo erano. Ma, in realtà, non era affatto necessario: sono gli stessi ingegneri della NASA a dirci che gli allunaggi sono impossibili, per la semplice ragione che gli astronauti dovrebbero viaggiare attraverso le letali fasce di radiazioni Van Allen, che iniziano 1000 miglia sopra la Terra e si estendono per oltre 26.000 miglia. Anche al di là di questa cintura di radiazioni, gli astronauti continuerebbero ad essere bombardati da ogni tipo di radiazione mortale (qui potete leggere un buon articolo sul problema delle radiazioni). Il 24 giugno 2005, la NASA aveva rilasciato questa straordinaria dichiarazione: “La Vision for Space Exploration della NASA [una strategia per l’esplorazione spaziale degli Stati Uniti, annunciata il 14 gennaio 2004 dal presidente George W. Bush. N.D.T. ] richiede un ritorno sulla Luna come preparazione per viaggi ancora più lunghi su Marte ed oltre. Ma c’è un potenziale ostacolo: la radiazione. Lo spazio oltre l’orbita terrestre bassa è inondato da un’intensa radiazione proveniente dal Sole e da fonti galattiche, come le supernove. […] il modo più comune per affrontare le radiazioni è semplicemente quello di bloccarle fisicamente, come fa il cemento intorno ad un reattore nucleare. Ma fare astronavi di cemento non è un’opzione.” (Citato da McGowan, capitolo 3).
Ci sono centinaia di documenti disponibili di ingegneri della NASA che spiegano perché viaggiare oltre l’orbita terrestre bassa rimane un ostacolo per le missioni con equipaggio umano, ad esempio questo: “La radiazione spaziale è abbastanza diversa e molto più pericolosa di quella che arriva sulla Terra. Anche se la Stazione Spaziale Internazionale si trova all’interno del campo magnetico protettivo della Terra, gli astronauti sono sottoposti ad una radiazione dieci volte maggiore di quanto normalmente accadrebbe al suolo. Al di fuori del campo magnetico terrestre ci sono i raggi cosmici galattici (GCR), le tempeste protoniche (SPE) e le fasce di Van Allen, che contengono radiazione cosmica intrappolata. La NASA è in grado di proteggere le persone dell’equipaggio dalle SPE consigliando loro di cercare rifugio in aree protette con materiali aggiuntivi di schermatura. In ogni caso, è molto più difficile proteggersi dai raggi cosmici. Queste particelle altamente energetiche provengono da tutta la galassia. Sono così energetiche che possono attraversare metalli, plastica, acqua e materiale cellulare. E, mentre queste particelle energetiche passano attraverso i vari materiali, generano neutroni, protoni ed altre particelle, in una cascata di reazioni che si verifica all’interno dei materiali di schermatura. Questi eventi secondari possono, a volte, causare una radiazione ambientale ancora più letale per l’equipaggio.”
L’ingegnere della NASA Kelly Smith ha spiegato in un breve documentario sull’attuale programma Orion (Orion Trial by Fire [Orion, la prova del fuoco]) che le cinture Van Allen sono un ostacolo talmente serio che “dobbiamo risolvere questa sfida prima di mandare gente attraverso questa regione dello spazio” (il documentario completo qui). La sequenza chiave è inclusa nel video di 10 minuti qui sotto, tra le altre ci sono spezzoni con astronauti che, inavvertitamente, ammettono che la tecnologia per inviare uomini oltre l’orbita terrestre bassa non è ancora disponibile. In particolare, è da non perdere l’astronauta veterano della NASA, Donald Roy Pettit, che spiega che questa tecnologia non è più disponibile: “Il problema è che non abbiamo più la tecnologia per farlo. Sapevamo farlo ma abbiamo distrutto la tecnologia ed è un processo doloroso ricostruirla da capo.”
La NASA ammette che non siamo mai andati sulla Luna:
L’ostacolo alle radiazioni può essere stata la ragione per cui nessuna missione umana sulla Luna, o anche oltre l’orbita bassa terrestre, è mai stata tentata fin dai tempi di Tricky Dick [Nixon]. Ricordate, la Stazione Spaziale Internazionale orbita ad una distanza di 250 miglia dalla Terra, mentre la Luna è circa mille volte più lontana. Il 14 gennaio 2004, il presidente George W. Bush, parlando al quartier generale della NASA, aveva preannunciato un nuovo tentativo di “conquistare una nuova testa di ponte sulla Luna” e oltre, sottolineando: “negli ultimi 30 anni, nessun essere umano ha messo piede su un altro mondo, o si è avventurato nello spazio più lontano di 386 miglia, all’incirca la distanza tra Washington DC e Boston, Massachusetts” (citato in Wisnewski 329). Nessuna missione umana sulla Luna era stata preannunciata dopo questa dichiarazione.
Il tempo lavora a favore di coloro che cercano la verità sulle missioni Apollo, perché ogni anno che passa fa meravigliare sempre più la gente: “Se era stato così facile mandare un uomo sulla Luna tra il 1969 e il 1972, perché, da allora, non è stato rifatto?” più della metà degli Inglesi e dei Russi crede ancora agli sbarchi sulla Luna. Tra le persone istruite, questa percentuale sta calando velocemente. Cosa accadrà tra vent’anni, quando gli Americani si renderanno conto che nessuno, a parte loro, ci crede più? Sopravviveranno gli Stati Uniti d’America allo smascheramento di questa bufala colossale? Le menzogne tendono a riprodursi come organismi viventi, poiché ogni bugia deve essere coperta con altre bugie. Viceversa, la messa a nudo di una bugia porta a scoprirne altre, perché le persone perdono fiducia e iniziano a mettere in discussione tutto ciò che è stato loro insegnato.
Se gli sbarchi sulla Luna fossero stati reali, sarebbe facile per la NASA porre fine alle polemiche. Come racconta Massimo Mazzucco nel suo film American Moon: “La possibilità di ispezionare i siti degli sbarchi sulla Luna era arrivata nel 2007, quando Google aveva lanciato il concorso internazionale Lunar X Prize. Il concorso avrebbe offerto una ricompensa di 30 milioni di dollari alla prima organizzazione privata in grado di inviare sulla Luna un robot capace di viaggiare per almeno 500 metri, trasmettendo immagini dal vivo sulla Terra. Più di venti organizzazioni diverse da tutto il mondo avevano espresso il loro desiderio di partecipare al concorso. Google aveva anche introdotto un bonus aggiuntivo di 4 milioni di dollari per coloro che sarebbero stati in grado di trasmettere riprese televisive in diretta da uno dei siti di atterraggio lunari delle missioni Apollo. All’epoca, la Astrobotic Technology, una società di Pittsburgh, aveva annunciato che aveva in programma di visitare con una propria sonda il luogo di sbarco più famoso di tutti: quello dell’Apollo 11.” Ma, stranamente, piuttosto che considerare questo concorso come l’opportunità di una prova indipendente delle sue missioni Apollo, la NASA aveva emanato, nel 2011, una normativa senza precedenti, in cui si specificava che nessun robot si doveva avvicinare a meno di 2 chilometri ai siti di atterraggio delle missioni Apollo. Le 93 pagine di “Raccomandazioni agli enti spaziali: come proteggere e preservare la storia e il valore scientifico degli artefatti lunari del governo degli Stati Uniti” della NASA giustificano questa decisione sulla base della necessità di preservare i siti storici degli sbarchi lunari da possibili contaminazioni. Per soddisfare la richiesta della NASA, la Astrobotic Technology aveva sostituito il suo obiettivo con il polo nord lunare; anche tutti gli altri partecipanti al concorso di Google avevano deciso di giocare secondo le regole della NASA e avevano rinunciato ad un bonus di 4 milioni di dollari, come riportato nell’articolo citato da Mazzucco, intitolato “Rocketeers obey NASA moon rules” [Gli esperti missilistici obbediscono alle regole lunari della NASA]. Nel 2018, Google aveva annunciato che nessun concorrente sarebbe stato in grado di rispettare la scadenza del marzo 2018. Allo stesso tempo, la NASA aveva stilato un nuovo documento, sottolineando ancora una volta che qualsiasi progetto di interferire con i siti di atterraggio delle missioni Apollo avrebbe dovuto avere la sua approvazione.
Kennedy, Johnson e la NASA
Se gli sbarchi sulla Luna delle missioni Apollo erano dei falsi, bisognerebbe farsi delle domande serie sulla NASA, tanto per cominciare. E poi c’è bisogno di riflettere profondamente su cosa sono diventati gli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale. E, oltre a ciò, l’imbroglio lunare è il punto di partenza ideale per riflettere sul controllo ipnotico che la televisione e i media hanno raggiunto sulle nostre menti. Non è solo un problema politico. È una battaglia per le nostre anime.
Il primo passo è quello di abbandonare le nostre convinzioni infantili sulla NASA e fare uno studio ponderato di cosa si tratti veramente. La National Aeronautics and Space Administration era stata fondata nel 1958 dal presidente Eisenhower. Oggi, molte persone elogiano Eisenhower per aver messo in guardia gli Americani, nel suo discorso di fine mandato, contro la crescente minaccia del complesso militare-industriale e il “potenziale per la disastrosa ascesa di un potere mal riposto.”
Ironia della sorte, la fondazione della NASA è stata di per sé un passo da gigante per complesso militare-industriale. Non c’è dubbio che il cosiddetto “programma spaziale civile” della NASA sia stato, prima di tutto, “un’elaborata copertura per la ricerca, lo sviluppo e l’impiego di armi e sistemi di sorveglianza dislocati nello spazio” (con le parole di McGowan).
L’atto di fondazione della NASA del 1958 prevedeva esplicite normative per una stretta collaborazione con il Dipartimento della Difesa e, in pratica, il Pentagono era coinvolto in tutte le decisioni riguardanti i programmi Mercury, Gemini e Apollo. Erlend Kennan ed Edmund Harvey avevano già sottolineato questo punto nel 1969, in Mission to the Moon: a critical examination of NASA and the space program [Missione Luna: un esame critico della NASA e del suo programma spaziale] e avevano concluso: “E’ molto importante che la NASA mantenga il suo status di decoroso salottino dell’era spaziale, in modo da raccogliere il contributo dello stato per tutti i suoi progetti spaziali e dare allo stesso tempo un’efficace ‘copertura’ alle operazioni spaziali del Dipartimento della Difesa.” (Citato in Wisnewski 296).
Oltre a lanciare satelliti a scopo di spionaggio, la NASA doveva contribuire allo sviluppo dei missili transcontinentali. Perchè dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’equazione era semplice: “Razzo + bomba atomica = potenza mondiale” (Wisnewski 62).
Gli obiettivi para-militari della NASA sono essenziali per comprendere la bufala delle missioni Apollo. Perché, per quanto riguarda i programmi militari, “ciò che il pubblico conosce è noto anche al nemico. Questo significa che, in linea di principio, il pubblico e il nemico possono essere considerati essenzialmente la stessa cosa” (Wisnewski 7). Pertanto, dovremmo capire che ingannare il pubblico americano non era stata una perversione del piano originale della NASA, ma parte integrante di esso.
Era toccato a Kennedy vendere il programma lunare al Congresso e al pubblico americano, questo per aumentare in modo drastico il bilancio della NASA. Il 25 maggio 1961, appena 43 giorni dopo il volo orbitale intorno alla Terra di Yuri Gagarin, Kennedy si era presentato al Congresso e aveva parlato di “urgenti necessità nazionali.” Aveva chiesto altri 7 miliardi di dollari, che poi sarebbero diventati 9, nei successivi cinque anni per il programma spaziale, allo scopo, aveva detto, di “raggiungere l’obiettivo, prima del termine di questo decennio, sbarcare un uomo sulla Luna e riportarlo sano e salvo sulla Terra. Nessun singolo progetto spaziale in questo periodo sarà più impressionante per l’umanità, o più importante per l’esplorazione a lunga distanza dello spazio.”
Kennedy può essere accusato di aver ingannato il pubblico americano, ma è più probabile che sia stato lui stesso ad essere ingannato, proprio come era stato ingannato dalla CIA nella disastrosa invasione della Baia dei Porci, un mese prima. In ogni caso, la Luna era l’idea di Johnson, non di Kennedy. Si ritiene che Kennedy sia stato convinto da un memorandum di Lyndon Johnson, intitolato “Evaluation of Space Program” [Valutazione di un programma spaziale] datato 28 aprile 1961, apparentemente basato su discussioni con alti funzionari della NASA. Il memorandum assicurava al presidente la fattibilità di “un atterraggio e di un ritorno in sicurezza di un uomo sulla Luna… entro il 1966 o il 1967… se venisse fatto un grosso sforzo.” Per quanto riguardava i vantaggi, Johnson la pensava così: “Le altre nazioni, indipendentemente dal loro apprezzamento per i nostri valori idealistici, tenderanno ad allinearsi con il paese che, secondo loro, sarà il leader mondiale, il vincitore nel lungo periodo. Le grosse conquiste spaziali vengono sempre più identificate come un importante indicatore di leadership mondiale.”
Due settimane dopo aver ricevuto il memo di Johnson, Kennedy aveva fatto il suo famoso discorso al Congresso (25 maggio 1961): “Credo che questa nazione dovrebbe impegnarsi per raggiungere l’obiettivo, prima del termine di questo decennio, sbarcare un uomo sulla Luna e riportarlo sano e salvo sulla Terra.” Poi, un mese dopo, aveva uficialmente messo il suo vice-presidente a capo del National Aeronautics and Space Council, con l’incarico valutare il progetto lunare. Come ha detto Alan Wasser: “Poche persone oggi si rendono conto o ricordano, ma un singolo uomo, Lyndon Baines Johnson, ‘LBJ’, è il principale responsabile, sia dell’inizio che della fine, della corsa allo spazio.”
Questo spiega perché le industrie texane siano state le maggiori beneficiarie del programma spaziale, e perché il NASA Manned Spacecraft Center di Houston è stato ribattezzato nel 1973 Lyndon B. Johnson Space Center.
Sotto Eisenhower, Johnson era il leader della maggioranza al Senato, ma anche un personaggio chiave nel settore texano del complesso militare-industriale. È interessante sapere che la bozza originale del discorso di fine mandato di Eisenhower, scritta dai suoi assistenti Malcolm Moos e Ralph Williams, parlava del “Complesso militare-industriale del Congresso“, ma Eisenhower aveva cancellato la parola “Congresso,” forse per paura di Johnson. La corruzione di Johnson era peggiorata dopo la sua nomina a vicepresidente, quando aveva sistemato i suoi amici texani alla testa della Marina: prima John Connally, poi Fred Korth, che si era in seguito dimesso, nell’ottobre del 1963, dopo che il Dipartimento di Giustizia (guidato da Robert Kennedy) lo aveva indagato per corruzione nel contratto per i velivoli del Tactical Fighter Experimental (TFX), destinati alla Marina e all’Aviazione.
Il controllo di Johnson sulla NASA era stato ottenuto tramite James E. Webb, che Johnson aveva fatto nominare amministratore della NASA. Avrebbe avuto un ruolo decisivo nelle operazioni di lobbing per il programma Apollo. Webb era così strettamente legato a Johnson che si era dimesso quando Johnson aveva annunciato che non sarebbe sceso in lizza per una rielezione nel 1968, evitando così di essere in carica durante i gloriosi sbarchi sulla Luna.
Il programma Apollo aveva ricevuto anche l’efficace supporto del senatore Robert S. Kerr dell’Oklahoma, un altro stretto partner d’affari e alleato politico di Johnson. Nel suo libro Wheeling and Dealing: Confessions of a Capitol Hill Operator, l’aiutante personale di Johnson, Bobby Baker, “racconta i suoi sforzi per raccogliere il mezzo milione di dollari in contanti richiesto dal senatore Robert Kerr dell’Oklahoma dalle società del settore risparmio e prestiti, in cambio di un adeguamento legislativo” (Andrew Cockburn,” Come i banchieri hanno comprato Washington: i nostri politici a basso costo,” CounterPunch).
Nel suo recente film American Moon, Massimo Mazzucco fornisce informazioni chiave che arricchiscono la nostra comprensione del rapporto esistente tra Johnson e Kennedy, e potrebbero addirittura far luce sull’assassinio di Kennedy. Apprendiamo che, sebbene Kennedy avesse lasciato il progetto Apollo alla supervisione di Johnson, il 18 settembre 1963, aveva convocato Webb nello Studio Ovale per fargli presente i suoi dubbi sulla possibilità e il senso di inviare uomini sulla Luna, una cosa che sarebbe costata “una barcata enorme di soldi,” suggerendo che si sarebbero potute acquisire sufficienti conoscenze scientifiche semplicemente inviando delle sonde. “Mandare un uomo sulla Luna non vale tutti quei miliardi“, aveva detto in quella conversazione registrata. Webb aveva insistito sul fatto che era troppo tardi per cambiare piano.
Due giorni dopo questo incontro, in un discorso alle Nazioni Unite, Kennedy aveva pubblicamente invitato l’Unione Sovietica a collaborare nell’esplorazione spaziale e, in particolare, ad “una spedizione congiunta sulla Luna.” Krusciov aveva educatamente declinato l’offerta americana con queste parole: “Al momento non abbiami in programma voli di cosmonauti sulla Luna. Ho letto un rapporto secondo cui gli Americani vorrebbero sbarcare sulla Luna entro il 1970. Bene, auguriamo loro il successo. E vedremo come voleranno, e come atterreranno lì, o per essere più corretti, come ‘alluneranno’ lì. E la cosa più importante: come partiranno e come torneranno. Non vogliamo competere nell’inviare persone sulla Luna senza una preparazione approfondita.”
Due giorni dopo, Kennedy era stato assassinato a Dallas. La cronologia è importante perché rivela che Kennedy aveva cercato di neutralizzare uno dei principali motivi della corsa alla Luna: renderla un campo di battaglia della Guerra Fredda. Questo tentativo di Kennedy deve essere messo in relazione con ciò che è già noto sulle comunicazioni segrete di Kennedy con Krusciov e Castro, nei suoi tentativi porre fine alla Guerra Fredda e con la sua intenzione, ormai ben documentata, di ritirare le truppe americane dal Vietnam.
Creare convincimento
La NASA non era solo un camuffamento per i progetti militari. Era un sogno appositamente creato per tenere gli Americani con gli occhi incollati al cielo, mentre il loro governo commetteva crimini di guerra in Vietnam. E così, la NASA aveva anche stretti legami con l’industria cinematografica. Il suo primo capo, T. Keith Glennan (1958-1961) aveva avuto una lunga esperienza nella gestione di studi cinematografici ad Hollywood (Wisnewski 298).
Durante il periodo di transizione tra Johnson e Nixon, Apollo 8 aveva fatto orbitare tre astronauti dieci volte attorno alla Luna. Quindi, dopo altre due missioni di prova (Apollo 9 e 10), sei equipaggi delle missioni Apollo erano sbarcati sulla Luna dal 1969 al 1972, durante la presidenza di Nixon. Wisnewski (130-139) fornisce un parallelo spettacolare, che mostra come le notizie relative al programma Apollo distogliessero convenientemente l’occhio del pubblico americano dai crimini di guerra commessi in Vietnam (vedasi anche McGowan cap. 3). L’Apollo 11 era atterrato sulla Luna due mesi dopo che i media avevano denunciato i bombardamenti illegali sulla Cambogia. La telefonata di Nixon dalla Casa Bianca a Neil e Buzz sulla Luna aveva fatto aumentare la sua popolarità. Il programma Apollo era terminato subito dopo la fine ufficiale del coinvolgimento americano nel Sud-Est Asiatico. Quindi, scrive Wisnewski:
“Mentre gli Stati Uniti d’America stavano assassinando migliaia di Vietnamiti, bruciando un ettaro dopo l’altro di foresta vergine e avvelenando la terra con i pesticidi, allo stesso tempo cercavano di affascinare (o si dovrebbe dire ipnotizzare?) il mondo con una conquista di tutt’altro genere.” (131)
“Per il resto del mondo il brivido culturale e tecnologico causato dagli atterraggi lunari deve essere stato travolgente e disarmante, allo stesso modo del colpo negativo dell’11 settembre. Ancora oggi gli Stati Uniti traggono forza dall’ammirazione sconfinata generata dagli sbarchi lunari. E continuo a sostenere che questa ‘conquista’ della Luna, l’antico mito dell’umanità, aveva elevato l’America allo status di nazione semi-divina. Gli sbarchi sulla Luna si inseriscono nella strategia psicologica complessiva nazionale di auto-esaltazione, accoppiata all’attività di soggiogamento, compromissione e demoralizzazione degli altri paesi.“(287)
“Il viaggio spaziale civile è diventato una forma di ‘oppio per il popolo’, una promessa di redenzione che porta un futuro nuovo e migliore per l’universo.” (63)
In effetti, viaggiare fino alla Luna e ritornarne vivi è un’impresa di proporzioni mitiche. È come viaggiare nell’Aldilà e tornare al mondo dei vivi con il proprio corpo fisico. Ciò rende gli astronauti della NASA simili agli antichi eroi sovrannaturali, semidei immortali, e quella qualità semi-divina si riflette sugli Stati Uniti nel loro insieme. Questo era il significato degli sbarchi sulla Luna delle missioni Apollo: era una nuova religione mondiale che elevava gli Stati Uniti al di sopra di tutte le altre nazioni terrestri. Molto è stato detto sulle religioni istituzionali come mezzi collettivi di controllo mentale. Ma nessuna credenza religiosa può essere paragonata agli sbarchi sulla Luna in termini di cinico abuso della credulità popolare. E nessuna religione poteva competere, fino a poco tempo fa, per il numero di credenti in tutto il mondo.
La lezione più profonda è che tutto ciò è stato reso possibile dalla televisione, e sarebbe stato impossibile senza di essa. Quasi nessuno ci avrebbe creduto se non l’avessero visto con i loro occhi.
In Attraverso lo specchio, di Lewis Carroll, Alice dice alla Regina Bianca “non si possono credere cose impossibili”, ma la Regina sostiene che è possibile, se si fa abbastanza pratica: “Quando avevo la tua età, lo facevo sempre per mezzora al giorno. Perché, a volte, ho creduto fino a sei cose impossibili prima di colazione.” Con la televisione, credere a sei sbarchi impossibili sulla Luna non è costato nessuno sforzo.
Appendice: l’ipotesi Kubrick
Prima di essere trasmessi in TV, gli sbarchi sulla Luna delle missioni Apollo erano stati realizzati in studio. Non c’è da stupirsi, quindi, che uno dei più influenti informatori sia stato il regista hollywoodiano Peter Hyams, con il suo film Capricorn One (1978).
Anche se non ha alcuna attinenza con la questione della realtà o della possibilità degli sbarchi sulla Luna, e non dovrebbe quindi essere preso come argomento di discussione, vorrei menzionare qui uno degli sviluppi più intriganti della teoria della cospirazione lunare: l’idea che il regista Stanley Kubrick abbia collaborato con la NASA ai filmati lunari delle missioni Apollo mentre realizzava il suo 2001: A Space Odyssey (1968), a cui aveva iniziato a lavorare già nel 1964, subito dopo aver terminato il suo film antimilitare Dr Stranamore. Si dice che Kubrick sia stato poi costretto ad un patto faustiano in cambio di finanziamenti ed altri aiuti. Che Kubrick abbia ricevuto il sostegno della NASA per il suo film 2001, in realtà, non è un segreto: la sceneggiatura era stata in parte scritta anche da Arthur C. Clarke, entusiasta sostenitore e collaboratore delle avventure della NASA, e anche diversi collaboratori del film, come Harry Lange e Frederick Ordway, avevano lavorato per la NASA e per gli appaltatori del settore aerospaziale. Alcuni, pertanto, ritengono che 2001 facesse parte di un programma della NASA per affascinare il pubblico con i viaggi nello spazio e testare le tecniche di produzione.
Questa ipotesi era nata quando gli scettici che studiavano le foto e i film delle missioni Apollo si erano convinti che fossero stati realizzati in studio utilizzando una tecnica chiamata frontscreen projection, che era stata perfezionata da Stanley Kubrick per il suo film 2001.
La teoria era già in circolazione da qualche tempo, quando un “mockumentary” francese, intitolato Dark Side of the Moon, del regista franco-israeliano William Karel, era stato trasmesso su Arte Channel nel 2002, come tentativo di screditare questa teoria, utilizzando la confessione filmata di un falso Kubrick e un editing ingannevole di alcune interviste a Rumsfeld e Kissinger. La strategia era di fingere di supportare una teoria complottista con qualche falsa “prova” facilmente smentibile, in modo che fosse poi possibile screditare l’intera teoria dell’imbroglio lunare. Secondo me, il fatto stesso che un’organizzazione mediatica istituzionale abbia finanziato e trasmesso un tale programma, dopo aver ottenuto il permesso di Rumsfeld e Kissinger di poter alterare le loro dichiarazioni per screditare la tesi Kubrick, è una ragione sufficiente per prenderla sul serio.
La teoria Kubrick aveva acquisito nuovo vigore quando il regista Jay Weidner, dopo aver documentato l’uso della frontscreen projection nelle foto e nei film delle missioni Apollo (qui), aveva fatto l’ipotesi che Kubrick avesse descritto in modo criptico la sua partecipazione [al progetto Apollo] nel film del 1980 The Shining. Weidner presenta le sue argomentazioni nel documentario del 2011, Kubrick’s Odyssey: Secrets Hidden in the Films of Stanley Kubrick. Part One: Kubrick and Apollo. Fornisce anche un breve riassunto della sua teoria nel documentario Room 237 (2012), disponibile su Vimeo (il contributo di Weidner è tra i minuti 00:44:25 e 00:51:55 e tra 1:16:00 e 1:16:45).
Quando avevo sentito parlare per la prima volta questa teoria avevo guardato Room 237 (non ho visto Kubrick’s Odyssey) e non avevo dato molta importanza alla cosa. Ma, dopo aver rivisto, con questo in mente, The Shining, ed aver analizzato gli altri film di Kubrick (specialmente il suo fatale Eyes Wide Shut, pubblicato il 16 luglio 1999, nel 30° anniversario del lancio di Apollo 11, come espressamente richiesto da Kubrick per contratto) e i loro molteplici strati di significati nascosti e conoscendo la sua ossessione da perfezionista per ogni dettaglio, trovo questa teoria non soltanto affascinante, ma altamente plausibile.
Il punto di partenza di Weidner è l’osservazione che, sebbene il film The Shining sia basato sul romanzo di Stephen King con lo stesso titolo, Kubrick aveva ignorato lo scenario adattato dallo stesso King, cambiando così tanti particolari nella sceneggiatura che si può quasi considerarla una storia completamente diversa, cosa che aveva fatto arrabbiare notevolmente King. Kubrick sembra aver usato il romanzo di King come copertura per una sua storia personale. Pertanto, quello che interessa è concentrarci esclusivamente sugli elementi del film che divergono dal romanzo di King, e sui dettagli che sembrano non avere alcuna relazione diretta con la narrativa principale. Weidner non è il solo a seguire questo approccio: molti ammiratori di Kubrick credono che il film abbia significati nascosti. Alcuni sostengono, credo in modo convincente, che contenga riferimenti criptici all’abuso di minori, un tema di fondo anche in Eyes Wide Shut. Ma Weidner legge nel film un sottotesto che equivale ad una confessione autobiografica sul ruolo avuto da Kubrick nel falsificare gli sbarchi sulla Luna delle missioni Apollo, undici anni prima.
Secondo questa interpretazione, Jack Torrance (Jack Nicholson) rappresenta lo stesso Kubrick, mentre l’Overlook Hotel (costruito su un cimitero indiano) è l’America. Il manager dell’hotel, Stuart Ullman (Barry Nelson), truccato per assomigliare a JFK, rappresenta il governo degli Stati Uniti (e forse anche il Centro spaziale JFK), mentre il suo assistente Bill Watson, che continua ad osservare Torrance senza pronunciare una parola, rappresenta il mondo sotterraneo dell’intelligence.
Due scene in particolare danno le chiavi di questa narrativa criptica. La prima è quando Danny (che rappresenta il figlio di Kubrick, cioè i filmati delle missioni Apollo) si alza in piedi, indossando un maglione dell’Apollo 11, su un tappeto con un design simile al complesso di lancio da cui erano partiti i missili Apollo. Poco dopo, Danny entra nella stanza n° 237, che contiene il segreto dell’hotel. Il numero della stanza, nel romanzo di King, era 217, ma Kubrick lo aveva cambiato in 237, in riferimento alla distanza di 237.000 miglia che separa la Terra dalla Luna (secondo la stima comune all’epoca). La “stanza n° 237” è infatti la “stanza della Luna“, perché “stanza” sembra simile a “Luna” quando viene letta al contrario [room – moon] e Kubrick ci ha insegnato a leggere le parole al contrario nella scena in cui la parola “redrum” diventa “murder” [omicidio] nello specchio.
La seconda scena più importante dal punto di vista del sottotesto criptico di Kubrick è quando Wendy scopre che Jack, che dovrebbe scrivere un romanzo, non fa altro che ripetere più volte una singola frase: “All work and no play makes Jack a dull boy”. [Solo lavoro e niente gioco rendono Jack un ragazzo sciocco.] Quella frase, che deve essere stata scelta da Kubrick per uno scopo ben preciso, assume un significato secondario una volta capito che la parola “All”, nella battitura di una macchina da scrivere americana, è indistinguibile da “A11,” che può voler dire Apollo 11.
Quando Jack poi scopre che Wendy sta leggendo le pagine, le spiega quanto sia impegnativo il suo contratto:
“Hai mai pensato, anche per un solo momento, alle mie responsabilità nei confronti dei miei datori di lavoro? […] Ha importanza per te che i proprietari abbiano riposto la loro completa fiducia in me e che io abbia firmato una lettera di accordo, un contratto, in cui ho accettato una tale responsabilità? […] Ti è mai venuto in mente cosa succederebbe al mio futuro se non riuscissi a vivere all’altezza delle mie responsabilità? ”
Oltre a queste due scene, c’è tutta un’altra serie di altri indizi che supportano questa lettura subtestuale. Perché Kubrick, ad esempio, aveva voluto che il design dell’arazzo indiano nel salone principale assomigliasse a dei missili? Jack che lancia [shooting] una palla contro di essi rappresenta Kubrick che “gira” [to shoot] i film delle missioni Apollo?
Subito dopo quella scena, Wendy e Danny entrano nel labirinto di siepi. Jack quindi guarda un modellino del labirinto all’interno del salone, che si confonde con il vero labirinto in dissolvenza incrociata, suggerendo che il labirinto non è reale. Questo è anche suggerito dalla ripresa aerea dell’Overlook Hotel, che mostra chiaramente che non c’è un labirinto di siepi nelle sue vicinanze. Da parte di Kubrick, questo non può essere stato un errore di continuità.
Altre sconcertanti impossibilità spaziali presenti nel film sono state scoperte da attenti studiosi del film, come Rob Ager. Non sono errori, perché Kubrick si era impegnato a fondo per realizzarle. Pertanto, devono avere un loro messaggio, probabilmente che ciò che sembra essere all’aperto è stato, infatti, girato in interni.
Ci sono anche due brevi allusioni alla televisione che si adattano al presunto sottotesto: un’osservazione sarcastica sulla nozione che ciò che è visto in televisione è “OK” (guardate la scena qui), e un apparecchio televisivo misteriosamente wireless (impossibile nel 1980) che mostra il film Summer of 42.
“Vedi, è OK, lo ha visto in televisione!”
Un altro possibile indizio lasciato da Kubrick per farci sapere che The Shining fosse da intendere come una criptica autobiografia, è il documentario che aveva chiesto a sua figlia Vivian di girare sul set del film (ora incluso come bonus nel DVD). Nel documentario Kubrick sembra quasi un’immagine speculare di Jack Torrance. La cosa era stata notata anche da alcuni critici che non avevano alcun interesse nella teoria lunare, come Rob Ager, che scrive:
“La decisione di Kubrick di autorizzare un film documentario sul set di The Shining è stata una deviazione senza precedenti dalla sua normale politica di lavoro ultra-secretiva. Tutti i filmati dietro le quinte erano stati girati dalla figlia Vivian. Senza rendersene conto, molti critici cinematografici e biografi hanno accidentalmente identificato il motivo di Kubrick per il rilascio di questo documentario. Più e più volte hanno descritto il suo comportamento spigoloso dietro le quinte, paragonabile a quello del personaggio principale del film, Jack Torrance. In una delle biografie che ho letto […] si affermava anche che sul set giravano barzellette riguardo alle somiglianze nell’aspetto e nel comportamento tra il personaggio di Jack Nicholson e Stanley Kubrick. La mia teoria è che Kubrick stesse deliberatamente creando questi parallelismi caratteriali tra lui e Jack, non solo per il documentario ma anche per tutto il cast. Ma l’esempio più importante di questo parallelismo è il trattamento degradante di Kubrick nei confronti dell’attrice Shelley Duvall (Wendy) e dell’attore Scatman Crothers (Halloran); entrambi i personaggi sullo schermo sono vittime della follia di Jack Torrance.”
Moon Landing Skeptic
Fonte: veteranstoday.com
Link: https://www.veteranstoday.com/2019/07/15/landings/
15.07.2019
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org