Di Katia Migliore per ComeDonChisciotte.org
L’occasione di tornare a parlare del ragionier Ugo Fantozzi ce la dà l’interessante iniziativa a San Felice sul Panaro, in provincia di Modena, dove domenica 1° ottobre 2023 si terrà l’evento-rappresentazione Il Villaggio Fantozzi: con 200 attori e figuranti e 20 set riprodotti fedelmente, questa iniziativa si preannuncia come il più sentito degli omaggi a un simbolo della nostra cultura che ha abbracciato, dagli anni ’70 in poi, intere generazioni di italiani.
Ormai da tempo Fantozzi è stato rivalutato e studiato dagli storici e critici del cinema [1]. La creatura di Paolo Villaggio risiede stabilmente nell’Olimpo dei grandi personaggi che attraverso la pellicola dicono qualcosa di più profondo rispetto a ciò che sembra alla gran parte degli spettatori. La forza comica dei primi due film, rispettivamente del 1975 e 1976, non ha impedito ai più attenti di leggere il messaggio geniale di Villaggio, autentico intellettuale prestato dalla scrittura prima alla televisione e poi al cinema,
“Il prototipo del tapino, la quintessenza della nullità”.[2]
Così Villaggio definiva la sua creatura, già nota ai lettori dal 1971 con l’uscita del best seller Fantozzi. Ci aveva lavorato molto, elaborando una figura di omino mediocre, senza coraggio, legato alle sue piccole manie quotidiane, debole coi forti e forte coi deboli, stritolato da un meccanismo enormemente più grande di lui.
Una sola volta Fantozzi però, in mezzo alla lunga sequenza di soprusi e figuracce, si arma di coraggio. Nel famosissimo, universale episodio de La corazzata Potëmkin Fantozzi, esasperato, si lancia nel dibattito finale ed esprime, con ovazione finale, il suo “profondo giudizio estetico”:
“Per me, la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca!”
La scena è inserita ne Il secondo tragico Fantozzi, film del 1976 diretto da Luciano Salce con la sceneggiatura di Salce stesso, Paolo Villaggio, Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi.
La genialità dell’episodio si esprime attraverso una doppia lettura, un doppio livello interpretativo. Il lato comico è immediato, dirompente: il perdente si ribella, non può vedere la partita dell’Italia, la seratona col programma formidabile che comprende “frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero!” salta a causa dell’ennesima proiezione imposta dal dirigente megagalattico Guidobaldo Maria Riccardelli, capo di Fantozzi e grande appassionato di cinema d’essai che obbliga i dipendenti e famiglie a recarsi al cineforum aziendale per visionare per l’ennesima volta il film muto capolavoro di Ėjzenštejn del 1925.
Fantozzi si esalta per il lungo applauso e la solidarietà dei suoi colleghi, e lo spettatore partecipa e si diverte a vedere questa specie di rivoluzione contro la prepotenza e arroganza del dirigente con velleità di critico cinematografico.
La scena diventa iconica e memorabile, attraversa gli anni e le generazioni, vista la grande efficacia.
Ma lo stesso episodio si può leggere in modo più profondo, e rivela l’intelligenza del Villaggio intellettuale. La corazzata Potëmkin è una delle più note e influenti opere della storia del cinema: il suo regista, il sovietico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (1898 –1948), era sceneggiatore, montatore, scrittore, ed è stato un pioniere e un teorico del montaggio cinematografico utilizzato per manipolare le emozioni e le convinzioni ideologiche degli spettatori. Il suo lavoro si fondava sulla ricerca di un linguaggio che intendeva scuotere lo spettatore con una sorta di violenza visiva, suscitando in lui emozioni e riflessioni. Nelle intenzioni del regista sovietico lo spettatore doveva essere stimolato a lavorare con l’intelletto attraverso il cine-pugno, una tecnica di montaggio che mirava a scioccarlo, a colpirlo con le immagini, come primi piani improvvisi e molto ravvicinati, espressioni violente, azioni dirompenti, come la famosa scena della scalinata di Odessa. Era un cinema, in sintesi, con una intenzione educativa, dedicato alle masse, legato alla Rivoluzione del 1917 alla quale il regista aveva attivamente partecipato facendo parte dell’Armata rossa. Un cinema per il popolo, un cinema educativo, un cinema anche di propaganda, che aveva trovato ne La corazzata Potëmkin la sua più compiuta espressione.
Il colpo di genio di Villaggio fu proprio questo: l’aver denunciato in chiave comica che il cine-pugno di Ėjzenštejn non arrivava ai suoi spettatori ideali. Villaggio, come tutti gli amanti del cinema, conosceva perfettamente la teoria del montaggio delle attrazioni e le sue implicazioni “educative”. Doveva essere un cinema per illuminare le menti intorpidite del popolo: nella sala della proiezione aziendale l’unico risultato che ottiene invece è la rabbia e la rassegnazione dei piccoli impiegati, che di tutto questo percepiscono solo la noia della proiezione e l’atto coercitivo del loro capo, al quale tentano di opporsi con piccoli escamotage. Vogliono vedere la partita, loro. Ecco: il dirigente, colto professore e amante del cinema di qualità, impone la visione di un film muto dell’Unione sovietica dei primi anni, ma suoi subalterni non lo capiscono, lo odiano, reprimono la rabbia finché esplode, trascinata dall’esternazione di Fantozzi. Ėjzenštejn perde: il cinema del popolo non arriva al popolo, ma si ferma alle élite intellettuali. Nella vendetta degli impiegati è compresa la visione forzata ai danni del frastornato dirigente del cinema popolare italiano fatto di “Giovannona coscialunga, L’Esorciccio e La Polizia s’incazza”.
Fantozzi si ribella quando il professore lo obbliga a rinunciare alla partita dell’Italia, e solo in quel caso trova il coraggio di dire quello che tutti pensano in azienda.
«Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio».
Questa frase, attribuita a Winston Churchill, calza a pennello per interpretare la rabbia comica espressa in questo episodio. Ma l’epilogo finale è altrettanto tragicamente sarcastico: il film della Rivoluzione socialista verrà utilizzato da Guidobaldo Maria Riccardelli per la sua vendetta. Gli impiegati vengono costretti a girare la drammatica scena della scala di Odessa ogni sabato pomeriggio, e così il cinema di Ėjzenštejn diventa addirittura strumento di tortura e di ritorsione. Fantozzi, manco a dirlo, ne pagherà il prezzo comicamente più alto, “recitando” nella parte del bimbo nella carrozzina che precipita giù per le lunghe scale.
Più e più volte, s’intende. Fantozzianamente.
Di Katia Migliore per ComeDonChisciotte.org
17.09.2023
NOTE
[1] Manzoli Giacomo, Da Ercole a Fantozzi. Cinema popolare e società italiana dal boom economico alla neotelevisione (1958-1976), Roma, Carocci Editore, 2012
[2] https://www.ilrecensore.com/wp2/2010/05/fantozzi-quarantanni-del-rag-intervista-a-paolo-villaggio/