Ecco perché il sistema bancario sta andando in pezzi

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Michael Hudson
unz.com

I crolli di Silvergate e Silicon Valley Bank sono come iceberg che si staccano da un ghiacciaio antartico. L’analogia finanziaria con il riscaldamento globale è l’aumento della temperatura dei tassi d’interesse, che giovedì e venerdì scorso hanno raggiunto il 4,60% per i titoli del Tesoro americano a due anni, nonostante i depositanti bancari continuassero a ricevere solo lo 0,2% sui loro depositi. Questo ha portato ad un costante ritiro di fondi dalle banche e ad un corrispondente calo dei saldi delle banche commerciali presso la Federal Reserve.

La maggior parte dei resoconti dei media si augura che le corse agli sportelli siano localizzate, come se non ci fosse un contesto o una causa di fondo. C’è un imbarazzo generale nello spiegare come la disgregazione delle banche, appena agli inizi, sia il risultato del modo in cui l’amministrazione Obama aveva salvato le banche nel 2008, con quindici anni di Quantitative Easing (QE) per rigonfiare i prezzi dei mutui bancari a pacchetto – e con essi i prezzi delle case, insieme a quelli delle azioni e delle obbligazioni.

I 9.000 miliardi di dollari di QE della Fed (non conteggiati nel deficit di bilancio) avevano alimentato un’inflazione dei prezzi degli asset che aveva fatto guadagnare trilioni di dollari ai detentori di attività finanziarie – l’1% al vertice, con un generoso effetto di ricaduta sugli altri membri del 10% appena sotto. Il costo della casa di proprietà era salito alle stelle, grazie alla capitalizzazione dei mutui a tassi d’interesse in calo in immobili ad alta leva finanziaria. L’economia statunitense aveva sperimentato il più grande boom del mercato obbligazionario della storia, mentre i tassi di interesse scendevano sotto l’1%. L’economia si era polarizzata tra la classe dei creditori con patrimonio netto positivo e il resto dell’economia e, se volessimo fare un’analogia con l’inquinamento ambientale e il riscaldamento globale, questo è inquinamento da debito.

Ma, nel servire le banche e la classe proprietaria finanziaria, la Fed si è messa in un vicolo cieco: Cosa sarebbe successo se e quando i tassi di interesse fossero finalmente aumentati?
In Killing the Host ho scritto ciò che sembra abbastanza ovvio. L’aumento dei tassi d’interesse fa crollare i prezzi delle obbligazioni già emesse, insieme ai prezzi degli immobili e delle azioni. Questo è ciò che sta accadendo nell’ambito della lotta della Fed contro l'”inflazione,” il suo eufemismo per opporsi all’aumento dell’occupazione e dei livelli salariali. I prezzi delle obbligazioni stanno crollando, così come il valore capitalizzato dei mutui ipotecari e degli altri titoli in cui le banche tengono in bilancio le loro attività a garanzia dei depositi.

Il risultato rischia di far scendere gli attivi delle banche al di sotto dei loro depositi, azzerando il loro valore netto – il loro patrimonio netto. Questo è ciò che si era paventato nel 2008. È quello che si era verificato in modo più estremo negli anni ’80 con le S&L (Savings and Loan Association) e le casse di risparmio, cosa che aveva portato alla loro scomparsa. Questi “intermediari finanziari” non creavano credito come le banche commerciali, ma prestavano i depositi sotto forma di mutui a lungo termine a tasso fisso, spesso a 30 anni. Tuttavia, sulla scia dell’impennata dei tassi d’interesse volkeriani che aveva inaugurato gli anni ’80, il livello generale dei tassi d’interesse era rimasto più alto dei tassi d’interesse che le S&L e le casse di risparmio ricevevano. I depositanti avevano iniziato a ritirare il loro denaro per ottenere rendimenti più elevati altrove, perché le S&L e le casse di risparmio non potevano pagare ai loro depositanti tassi più alti con le entrate derivanti dai loro mutui bloccati a tassi inferiori. Quindi, anche senza frodi in stile Keating, lo squilibrio tra le passività a breve termine e i tassi d’interesse a lungo termine aveva posto fine al loro giro d’affari.

Le S&L dovevano denaro ai depositanti a breve termine, ma erano bloccate in attività a lungo termine a prezzi in calo. Naturalmente, i mutui delle S&L erano molto più a lungo termine rispetto a quelli delle banche commerciali. Ma l’effetto dell’aumento dei tassi di interesse ha sugli asset bancari lo stesso effetto che ha su tutti gli asset finanziari. Così come il calo dei tassi d’interesse del QE mirava a sostenere le banche, oggi la sua inversione deve avere l’effetto opposto. E, se le banche hanno fatto operazioni in derivati sbagliate, sono nei guai.

Ogni banca ha il problema di mantenere la valutazione delle proprie attività superiore a quella dei propri depositi. Quando la Fed alza i tassi di interesse in modo così brusco da far crollare i prezzi delle obbligazioni, la struttura patrimoniale del sistema bancario si indebolisce. Questo è il vicolo cieco in cui la Fed ha spinto l’economia con il QE.

La Fed, ovviamente, riconosce questo problema intrinseco. È per questo che per così tanto tempo ha evitato di aumentare i tassi di interesse, fino a quando il 99% dei salariati non ha iniziato a beneficiare della ripresa dell’occupazione. Quando i salari hanno iniziato a riprendersi, la Fed non ha potuto fare a meno di combattere la solita guerra di classe contro il lavoro. Ma così facendo, la sua politica si è trasformata in una guerra contro il sistema bancario.

Silvergate è stata la prima ad andarsene, ma si tratta di un caso particolare. Aveva cercato di cavalcare l’onda delle criptovalute fungendo da banca per diverse valute. Dopo la scoperta dell’enorme frode di Sam Bankman-Fried c’era stata la corsa per liberarsi delle criptovalute. Gli investitori/giocatori avevano abbandonato la nave. I gestori di criptovalute avevano dovuto pagare attingendo ai depositi che avevano presso Silvergate. La società è fallita.

Il fallimento di Silvergate ha distrutto la grande illusione dei depositi in criptovalute. L’impressione popolare era che le criptovalute fornissero un’alternativa alle banche commerciali e alla “moneta fiat.” Ma in cosa potevano investire i fondi di criptovalute per sostenere gli acquisti di monete, se non in depositi bancari, titoli di Stato o azioni e obbligazioni private? Che cos’è la criptovaluta, in definitiva, se non un semplice fondo comune di investimento con la segretezza della proprietà per proteggere i riciclatori di denaro?

Anche la Silicon Valley Bank è, per molti versi, un caso particolare, data la sua specializzazione nei prestiti alle startup IT. Anche la New Republic Bank ha subito una corsa agli sportelli, e anch’essa è specializzata nella concessione di prestiti a ricchi depositanti nell’area di San Francisco e della California settentrionale. Ma la scorsa settimana si è parlato di una corsa agli sportelli e i mercati finanziari sono stati scossi dal calo dei prezzi delle obbligazioni, quando il presidente della Fed Jerome Powell ha annunciato che intendeva aumentare i tassi di interesse anche più di quanto avesse previsto in precedenza, in considerazione del fatto che l’aumento dell’occupazione avrebbe reso i salariati più arroganti nella loro richiesta di tenere almeno il passo con l’inflazione causata dalle sanzioni statunitensi contro l’energia e i prodotti alimentari russi e dalle azioni dei monopoli per aumentare i prezzi “per anticipare l’inflazione in arrivo.” I salari non hanno tenuto il passo con i conseguenti alti tassi di inflazione.

Sembra che la Silicon Valley Bank dovrà liquidare i suoi titoli in perdita. Probabilmente sarà rilevata da una banca più grande, ma l’intero sistema finanziario è sotto pressione. Venerdì la Reuters ha riferito che le riserve bancarie presso la Fed sono crollate. Non c’è da stupirsi, visto che le banche pagano circa lo 0,2% sui depositi, mentre i depositanti possono ritirare i loro soldi per acquistare titoli del Tesoro americano a due anni che rendono il 3,8 o quasi il 4%. È ovvio che gli investitori benestanti stiano scappando dalle banche.

Bisognerebbe chiedersi perché la Fed non si limita a salvare le banche nella situazione della Silicon Valley Bank. La risposta è che il calo dei prezzi delle attività finanziarie sembra la Nuova Normalità. Per le banche con patrimonio netto negativo, come si può risolvere il problema della solvibilità senza ridurre drasticamente i tassi di interesse per ripristinare la politica dei tassi zero (ZIRP) durata 15 anni?

Nella stanza c’è un elefante ancora più grande: i derivati. La volatilità è aumentata giovedì e venerdì scorsi. Le turbolenze hanno raggiunto dimensioni ben superiori a quelle che avevano caratterizzato il crollo di AIG (American International Group) e di altri speculatori nel 2008. Oggi, JP Morgan Chase e altre banche di New York hanno decine di trilioni di dollari in derivati – scommesse da casinò su come cambieranno i tassi di interesse, i prezzi delle obbligazioni, i prezzi delle azioni e altre misure.

Per ogni ipotesi vincente ce n’è una perdente. Quando si scommette su trilioni di dollari, qualche trader bancario è destinato a subire una perdita che può facilmente cancellare l’intero patrimonio netto di una banca.

Ora c’è una fuga verso il “contante,” verso un rifugio sicuro, qualcosa di ancora migliore del contante: i titoli del Tesoro americano. Nonostante i Repubblicani si rifiutino di alzare il tetto del debito, il Tesoro può sempre stampare il denaro per pagare gli obbligazionisti. Sembra che il Tesoro diventerà il nuovo deposito di scelta per coloro che hanno le risorse finanziarie necessarie. I depositi bancari diminuiranno. E con essi anche le riserve bancarie presso la Fed.

Finora il mercato azionario ha resistito al crollo dei prezzi delle obbligazioni. La mia ipotesi è che ora assisteremo all’apoteosi del grande boom del capitale fittizio del 2008-2015. Quindi, i nodi stanno venendo al pettine – e il “grosso nodo” è, forse, l’enorme sovraccarico di derivati alimentato dall’allentamento della regolamentazione finanziaria e dell’analisi del rischio dopo il 2008.

Michael Hudson

Fonte: unz.com
Link: https://www.unz.com/mhudson/why-the-banking-system-is-breaking-up/
13.03.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Michael Hudson è presidente dell’Institute for the Study of Long-Term Economic Trends (ISLET), analista finanziario di Wall Street, professore ricercatore di economia presso l’Università del Missouri, Kansas City.

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