Di Paolo Mainardi per ComeDonChisciotte.org
In questi ultimi anni abbiamo sentito spesso il termine terrapiattisti, che riferisce ad una società di persone, https://theflatearthsociety.org/home/, che, ancora oggi, credono che la Terra sia piatta. Questo termine è stato utilizzato per denigrare coloro che erano e sono scettici sui vaccini a mRNA e su molti aspetti che la comunicazione pro-vax ha sostenuto. Ed è sorprendente come, in realtà, i veri terrapiattisti sono proprio i sostenitori dell’utilità dei vaccini anti-COVID19. Infatti, il termine, in senso astratto, indica coloro che non si sono aggiornati sulle più recenti conoscenze scientifiche e la comunicazione ufficiale sul COVID-19 ha rispolverato una vecchia e obsoleta teoria del microbo, secondo la quale le malattie infettive sono causate dai microbi. Chi di voi non la pensa così? D’altronde lo riporta ancora oggi l’ISS. La teoria del microbo come causa di malattia è stata proposta nel 1500 da Fracastoro, laureato in giurisprudenza, ma con il pallino della medicina. Poi è stata ripresa nel 1800 da Agostino Belli, che la dimostrò nella malattia del baco da seta. Ebbe il suo culmine con Pasteur, che, però, negli ultimi anni della sua vita, aveva già intuito il ruolo del terreno, ossia dell’ambiente. Già dai primi del ‘900 era evidente che tale teoria era obsoleta in quanto microbi fortemente patogeni potevano convivere tranquillamente in un ospite, mentre microbi, considerati scarsamente patogeni, potevano produrre esiti fatali in soggetti fragili.
Chi di noi non ha sorriso, leggendo da studente, la caccia agli untori durante la peste del 1600? Quando gli untori venivano perseguitati in quanto ritenuti responsabili della trasmissione della peste.
Eppure, in questi ultimi anni abbiamo assistito ad una nuova caccia agli untori, più moderna, utilizzando software, droni, elicotteri, ma nessuno ha sorriso, anzi, eravamo terrorizzati, pronti a scagliarci contro chi non indossava correttamente una mascherina su un mezzo pubblico, abbiamo vissuto mesi di terrore con la paura di essere contagiati.
Ci siamo sottoposti a continui test per verificare se fossimo stati contagiati. E’ stato sufficiente risultare positivi a questi test (sulla cui attendibilità ci sarebbe da scrivere un capitolo) per essere considerati non solo contagiosi, ma anche malati, anche se asintomatici.
D’altra parte, anche prima del COVID-19, chi non ha pensato di essersi “preso” una forma influenzale in quanto contagiato da una persona che era andato a visitare? Quando abbiamo ragionato in questo modo, siamo stati terrapiattisti. Ancora nel 2019, Casadeval pubblica un articolo a domande e risposte per ribadire concetti che dovrebbero essere arcinoti: non è il microbo a causare le malattie, ma la sua relazione con l’ospite. Casadeval scrive. “i patogeni opportunisti causano malattie solo nelle persone con immunità ridotta. Uno stesso microbo può comportarsi da commensale, ossia convivere con l’ospite, o da opportunista, ossia causare malattia, dipende dalla capacità dell’ospite di gestirlo. Processi che dipendono dalla forza del microbiota, ossia dalla sua biodiversità dei ceppi.
Nonostante queste siano le attuali conoscenze, anche gli studi clinici sull’efficacia dei vaccini si sono basati sul contagio come endpoint. Mentre una falsa comunicazione sosteneva che gli studi clinici erano mirati a verificare la capacità del vaccino di proteggere da esiti gravi, lo stesso Tal Zacks, chief medical officer at Moderna, nel luglio ’20, ammetteva. “il trial non può valutare la riduzione di esiti gravi in base alla dimensione e alla durata dello studio. Lo stesso per la capacità di interrompere la trasmissione”.
Quali sono le attuali conoscenze?
Ad ottobre ’22 sono stato invitato ad Acqui a un convegno sul confronto del microbiota dell’uomo, dei grandi animali e del suolo. Abbiamo mostrato come in realtà siamo immersi in un unico microbiota ambientale, che se lo potessimo vedere, sarebbe una fitta nebbia. Microbiota che si differenzia tra suolo, piante, animali, ma che è in continuo equilibrio. Nella mia slide finale, c’era una tavolozza di colori, dalla quale il nostro microbiota può attingere per aumentare la sua biodiversità dei ceppi batterici.
Il bello della ricerca scientifica è che evolve. I ricercatori sono come i detective di un’indagine di polizia, ogni tanto emergono nuove prove che possono anche ribaltare la pista fino allora seguita. Sarebbe sbagliato non considerare le nuove prove. Immaginatevi un detective che consideri colpevole di omicidio solo il maggiordomo e non consideri altri personaggi.
Così a gennaio di quest’anno, su Nature è stato pubblicato un articolo molto, ma molto interessante [1]. L’autore di riferimento è Nicola Segata, Università di Trento, che ho avuto modo di conoscere (siamo anche co-autori in un articolo). Un brillantissimo giovane ricercatore. In questo studio dimostra come il nostro microbiota sia influenzato da quello delle persone con cui conviviamo: un 13% del microbiota intestinale e un 30% di quello orale. Non solo, ma questa condivisione è dinamica. Infatti, viene persa in gemelli allontanati per 30 anni. Segata et al riportano anche che questa condivisione tra conviventi è molto più importante della dieta e degli stili di vita nel determinare la composizione del microbiota.
Questo articolo segna veramente una svolta nell’evoluzione della ricerca scientifica medica.
Durante il passaggio della vita dall’acqua alla terra abbiamo perso ceppi batterici, così come oggi quando viviamo molto staccati dal suolo. L’istinto del microbiota è di aumentare la sua biodiversità, per aumentare la sua forza. In un microbiota ambientale molto staccato dal suolo, dalle piante, dagli animali, la fonte maggiore di ceppi batterici derivano dalle persone. Pensate che in un solo grammo di feci espelliamo da 100 a 1000 miliardi di microbi, virus inclusi. Pensate quanti miliardi di miliardi di microbi entrano nel corpo umano ogni giorno! L’articolo di Segata e al spiega anche perché il microbiota degli indigeni del Burkina Faso siano più diversificati di quello degli abitanti di Firenze, nonostante una dieta più semplice.
Il concetto stravolgente che emerge dallo studio di Segata et al è che il contagio non è causa di malattia, ma, anzi, è un modo per il microbiota di biodiversificarsi maggiormente, di diventare più forte. Pertanto è fonte di salute, non di malattia. Per nostra fortuna il contagio è un modo normale di comportamento del microbiota, che, per natura, tende a biodiversificarsi.
Dovremo dare ampia visibilità allo studio di Segata, ma, soprattutto, dovremo fare in modo che le attuali conoscenze siano applicate nella pratica clinica, altrimenti continueremo a comportarci da terrapiattisti.
Di Paolo Mainardi per ComeDonChisciotte.org
Paolo Mainardi. Dall’anno della sua laurea in chimica (1982) entra a far parte di un gruppo di ricerca su epilessia dell’Università di Genova. Partecipa a studi sul ruolo della serotonina cerebrale nell’epilessia, che dimostrano una sua azione protettiva delle crisi, anche se era ampiamente ritenuta essere pro-convulsiva. Ricerca un modo per confermare questo suo ruolo anti-epilettico e individua in una sieroproteina del latte, principalmente del colostro umano, la molecola capace di aumentare la sintesi cerebrale di serotonina. Approfondendo le sue azioni, scopre il microbiota, di cui si innamora, diventando un profondo studioso.
www.dottpaolomainardi.it – www.unamedicina.it
NOTE
[1] Valles-Colomer M, Blanco-Míguez A, Manghi P, Asnicar F, Dubois L, Golzato D, Armanini F, Cumbo F, Huang KD, Manara S, Masetti G, Pinto F, Piperni E, Punčochář M, Ricci L, Zolfo M, Farrant O, Goncalves A, Selma-Royo M, Binetti AG, Becerra JE, Han B, Lusingu J, Amuasi J, Amoroso L, Visconti A, Steves CM, Falchi M, Filosi M, Tett A, Last A, Xu Q, Qin N, Qin H, May J, Eibach D, Corrias MV, Ponzoni M, Pasolli E, Spector TD, Domenici E, Collado MC, Segata N. The person-to-person transmission landscape of the gut and oral microbiomes. Nature. 2023 Jan 18.
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Pubblicato da Massimo A. Cascone per ComeDonChisciotte.org