Anche la rivista scientifica britannica BioMed rafforza i dubbi sulla gestione italiana dell’emergenza Covid e lo fa dando spazio a uno studio a firma di due medici italiani, Serafino Fazio, già Professore di Medicina Interna all’Università Federico II di Napoli, e Paolo Bellavite, già Professore di Patologia Generale all’Università di Verona.
La recente pubblicazione è una breve rassegna degli studi fatti fino al febbraio 2023 e conferma che l’utilizzo precoce di una semplice terapia a base di farmaci antinfiammatori non steroidei avrebbe potuto ridurre fino a 10 volte il sovraccarico ospedaliero dei primi due anni di pandemia e, molto probabilmente, anche migliaia di decessi. Fazio e Bellavite, in particolare, hanno pubblicato i dati dell’utilizzo di indometacina in sinergia con flavonoidi (esperidina e quercetina) e aspirina a basso dosaggio. CDC ne parlò più di un anno fa, appena la ricerca fu pubblicata dalla rivista peer-review Medical Science Monitor.
A questo punto viene da pensare che, grazie anche a questa nuova pubblicazione, che peraltro non è l’unica sulle cure domiciliari (sono, infatti, citati altri studi all’interno del lavoro Fazio-Bellavite, tra cui una corposa rassegna che documenta tutte le diatribe tra i medici e il Ministero della Salute), potrebbero essere ampliate le indagini rispetto al filone d’inchiesta già esistente presso la Procura di Bergamo e non rimanere limitate ai primi mesi dell’emergenza sanitaria imputata al nuovo coronavirus SARS-CoV-2.
La domanda infatti, a questo punto, dovrebbe sorgere spontanea anche in chi finora non se l’è evidentemente posta: se erano presenti farmaci per la cura precoce ed efficace della COVID-19 – come più volte è stato fatto presente dai vari medici impegnati nelle cure domiciliari, sia quelli del gruppo di IppocrateOrg, che quelli del gruppo creato dall’Avvocato Erich Grimaldi, oltre che da altri sanitari che autonomamente operavano sul territorio con i propri pazienti – per quale motivo si è puntato tutto solo sui prodotti genetici sperimentali (cosiddetti “vaccini anti-COVID-19”) fino ad imporne l’obbligo?
Non si possono dimenticare, inoltre, tutti quei medici che hanno curato con ottimi risultati i propri pazienti nelle loro abitazioni. Essi sono stati denigrati e ridicolizzati nelle varie trasmissioni televisive e trattati senza rispetto dalla maggior parte della stampa, dalle istituzioni politiche e professionali e da buona parte degli stessi colleghi.
Sulla base della negazione di queste terapie domiciliari – che, invece, questa recente pubblicazione scientifica ancora una volta dimostra che erano possibili ed efficaci – molte persone non sono state prontamente curate, aggravandosi a casa e giungendo in condizioni già critiche negli ospedali. Viceversa, intere categorie sono state costrette alla vaccinazione con farmaci non adeguatamente sperimentati per ottenere il “green pass” o dietro la minaccia di perdere il posto di lavoro. Un’altra parte dei cittadini ha fatto, sì volontariamente questa scelta, ma solo apparentemente perché in realtà la decisione è stata presa sotto la spinta di una martellante propaganda e senza la necessaria consapevolezza, che sarebbe dovuta arrivare da un’informazione completa e corretta.
C’è ancora molto da indagare, dunque, in merito a queste terapie domiciliari, note sin dal 2020 e a lungo ignorate, anzi addirittura ostacolate dalle autorità, pur avendo dimostrato di avere successo anche in caso di pazienti molto anziani e con comorbidità.
Soprattutto, c’è molto da approfondire riguardo le possibili pressioni e gli interessi che ruotano attorno ai cosiddetti vaccini anti COVID-19, approvati in via emergenziale col presupposto, ormai sempre più palesemente FALSO, della mancanza di cure efficaci.
Qualunque intervento medico si giudica in base a efficacia, effetti avversi, conseguenze nel tempo, costi.
Qualunque.
Non si capisce perché questi farmaci biogenetici e chi li produce debbano avere un privilegio.
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VB