Alluminio, subdola neurotossina

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L’alluminio è onnipresente nella vita quotidiana è, infatti, ampiamente utilizzato non solo per gli utensili da cucina (grazie ai suoi costi contenuti e alla sua leggerezza), ma anche in alcuni  prodotti per la cura della pelle (come i deodoranti e le creme solari), in certi cosmetici (ad esempio è presente in forma solubile anche nei pigmenti colorati usati nel trucco e in molti dentifrici a effetto sbiancante), nei farmaci (negli antiacidi per uso orale utilizzati per curare la gastrite e proteggere lo stomaco, nei vaccini, in cui è usato come adiuvante) e in alcuni additivi alimentari (è contenuto, infatti, nel lievito chimico e nei formaggi fusi come le sottilette e il formaggino). Inoltre, può essere presente, come elemento o contaminante, in molti alimenti (frutti di mare, spinaci, cacao, the, funghi, solo per citarne alcuni) e può comparire nell’acqua per via del trattamento effettuato per renderla potabile, oppure se proviene da rocce e terreni che contengono tracce di questo metallo. Anche i lavoratori di alcune industrie sono particolarmente esposti alle sue particelle (ad esempio chi si occupa di estrazione mineraria, fusione, saldatura).

Dunque, gli esseri umani possono venire in contatto con questo metallo in molti modi: attraverso il sistema respiratorio, digestivo e cutaneo e, di conseguenza, possono andare incontro a effetti significativi per la salute. Infatti, essendo così diffuso, bisogna tenere conto dell’effetto accumulo che va a ricadere soprattutto sul sistema nervoso centrale provocando danni al cervello con cambiamenti neurochimici e comportamentali negli individui e malattie neurodegenerative.
Secondo il principio di minimizzazione della medicina preventiva, l’esposizione a sostanze estranee potenzialmente tossiche dovrebbe essere sempre la più bassa possibile; tuttavia, a partire dalla seconda guerra mondiale, diversi fattori hanno contribuito a un aumento significativo dell’esposizione a questo metallo con il superamento del consumo tollerabile da parte di un fetta significativa della popolazione mondiale e il pericolo è maggiore soprattutto per i bambini che sono i più vulnerabili agli effetti potenzialmente tossici dell’alluminio rispetto ad altri gruppi.  È stato visto, infatti, che l’esposizione orale all’alluminio è particolarmente dannosa per l’omeostasi intestinale e l’ingestione, giorno dopo giorno, va a influire sia sulla permeabilità che sul microbiota intestinale. Conseguentemente anche sulla funzione immunitaria.

Un recente lavoro scientifico condotto da un gruppo di studiosi brasiliani ha analizzato studi comparsi in letteratura dal 2012 al 2023 che mostrano esiti clinici e alterazioni metaboliche ben documentate in conseguenza all’esposizione all’alluminio.
Il principale e più critico effetto avverso di questo metallo è la neurotossicità (è stato visto che l’alluminio può influenzare la fisiologia del cervello e sembra avere un ruolo nello sviluppo di diverse malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Alzheimer). Rimane da dimostrare, invece, anche se non può essere escluso, un effetto cancerogeno. Negli ultimi anni si è osservato, infatti, un aumento dei tumori nei quadranti superiori esterni della mammella e importanti livelli di alluminio sono stati ottenuti dal liquido aspirato dal capezzolo di pazienti con cancro al seno. In seguito a ciò qualcuno ha ricollegato lo sviluppo della neoplasia all’uso di antitraspiranti contenenti sali di questo metallo.

Il modo migliore per proteggersi è quello di individuare e rimuovere le sorgenti di esposizione; quindi, essere attenti alle scelte alimentari e ai prodotti della cura personale, e ridurre al minimo necessario l’uso di farmaci che vengono contaminati con l’alluminio. Ad esempio, sarebbe bene limitare/eliminare le aspirine tamponate e gli antiacidi, le bevande e i cibi in lattina, il lievito chimico, le pentole e stoviglie di alluminio, la carta di alluminio per i cibi (l’alluminio, infatti, interagisce con gli alimenti in cottura e a temperatura ambiente, soprattutto con quelli più acidi come il pomodoro o il limone e quelli salati).
È essenziale anche aumentare l’introito di verdura e frutta fresca, biologica e di stagione (per il contenuto di vitamine biodisponibili, in particolare la C) e ottimizzare il tenore di zolfo nella dieta (aglio, cipolla, cavoli), perché il corpo ha bisogno di zolfo per produrre la sua arma numero uno contro il sovraccarico di alluminio: il glutatione.

Per sapere se si è accumulato alluminio (o altri metalli pesanti) è utile l’analisi delle urine e anche il mineralogramma dei capelli (si tagliano i capelli della zona nucale, circa un grammo che corrisponde all’incirca a 1 cucchiaio, e si fanno analizzare da laboratori specializzati).
In caso di eventuale intossicazione alcuni studi medici praticano la chelazione attraverso l’uso di EDTA (Acido Etilen Diammino Tetracetico) per endovena: una seduta terapeutica può durare fino a 2 ore e richiede esperienza da parte dell’operatore. Altre sostanze, utilizzate sempre per via endovena, sono: vitamina C ad alti dosaggi, N-Acetil-Cisteina, acido lipoico, glutatione ridotto (sono tutte sostanze ad azione chelante, che hanno, cioè, lo scopo di eliminare i radicali liberi che si formano dalle reazioni biochimiche degli alimenti e dei metalli tossici).
In certi casi, alcuni medici associano anche una terapia per via orale, con prodotti in grado di catturare le molecole dannose dall’organismo ed eliminarle attraverso i reni, il fegato e l’intestino.

C’è anche un interessante studio clinico, randomizzato e controllato, risalente al 2017, che ha valutato l’effetto della vitamina E nel trattamento dell’intossicazione acuta da alluminio.
Tuttavia, la prevenzione rimane sempre l’arma migliore; quindi, ciò che veramente è fondamentale, è evitare di venire a contatto con questo metallo.
A cominciare dalle apparentemente banali azioni quotidiane.
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VB

 

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