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DI ANTONIO TURIEL
The Oil Crash
Effetto Cassandra

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti

Cari lettori,
nel programma di Radio Libertad di giovedì scorso Juan Carlos Barba ha annunciato

che questa settimana avremmo parlato delle misure che si dovrebbero

prendere per adattarsi al futuro della Grande

Scarsità. Siccome c’è

stato un cambio di invitati (io stesso non potrò partecipare questa

settimana), è possibile che ci sia anche un cambio di dibattito, anche

se il tema in questione finirà un giorno per essere discusso. Inoltre,

è una domanda assai logica che già è solita emergere nei discorsi

sull’Oil Crash e che, semplificando e abbreviando, si potrebbe

formulare in questo modo: che raccomandazioni farebbe al Governo (o

ai Governi) per gestire l’Oil Crash, se l’ascoltassero?Mi preoccupa abbastanza mettermi in

questo pasticcio, quello cioè di dare consigli o linee d’azione,

perché più che in altri ambiti mi rendo conto dei miei limiti

o carenze. Non so praticamente nulla di economia e nemmeno delle difficoltà

di gestione della cosa pubblica, per non parlare di come legiferare

correttamente. Un errore fatale in qualsiasi di questi o altri indirizzi

e le nostre migliori intenzioni lastricheranno il cammino per l’inferno.

Ma, d’altro canto, non sarebbe onesto da parte mia eludere completamente

la responsabilità di fare osservazioni dure che avranno bisogno di

elaborazione, e non poca, prima che si possano interpretare in chiave

di azione politica. D’altra parte, credo che in questa missione, quella

di definire adeguate linee guida di attuazione, i diversi commentatori

che sono soliti leggere questo blog apporteranno i loro diversi

punti di vista e, sicuramente, dal dibattito che un post come questo

susciterà si potranno tirar fuori idee interessanti di fronte a quello

che potrebbe essere un piano di Governo di Transizione. Perciò, credo

che possa essere utile e istruttivo, in particolare per me stesso, aprire

finalmente questo dibattito e vedere cosa possiamo mettere in chiaro.

Naturalmente altri prima, e con maggior

merito e conoscenza, hanno affrontato questo compito: ecco, per esempio

il Real

New Deal del Post Carbon Institute.

A livello più locale, c’è il piano di Transizione elaborato dall’associazione

galiziana Véspera

de Nada (guardate sulla

colonna di destra della sua pagina web, Misure per far fronte al

picco del petrolio) che mi ha fatto l’onore di chiedere la mia opinione.

Io, senza arrivare ai particolari di quest’ultima, vorrei raccogliere

alcune idee che credo debbano far parte di questo piano di transizione

governato dall’alto. Ecco alcune di queste idee chiave:

Abbandonare il BAU (Business

as usual, continuare come al solito)

Questo è il più difficile

dei compiti da intraprendere e quello che ha più implicazioni.

Dobbiamo far comprendere ai nostri governanti che il BAU, il modo di

fare degli ultimi decenni, non ha senso in un mondo dove le risorse

sono limitate, in diminuzione e non sostituibili. Lo abbiamo discusso

molte volte: l’accesso sempre più limitato al petrolio, in particolare,

e all’energia in generale implicano il fatto che questa crisi economica non

finirà mai, perché all’interno

del nostro sistema economico dobbiamo sempre crescere a un certo ritmo;

questo è il motivo per cui la nostra società è chiamata “la

società dei consumi” e il motivo

di tanto spreco. I nostri

leader reagiscono sulla base di ricette economiche apprese durante

gli ultimi cento anni, secondo le quali la crescita è la miglior garanzia

per avere un alto tasso di impiego ed evitare rivolte sociali, oltre

che per accontentare e soddisfare i poteri economici e industriali.

Tutta la politica attuale di tagli della spesa pubblica e la diminuzione

dello stato sociale è diretta a risparmiare sulla parte non produttiva

della società per concentrare il flusso economico sulle parti produttive,

con la speranza che queste si riprendano, generino un nuovo ciclo di

crescita economica e nuovo impiego, così si potrà far marcia indietro

nella politica dei tagli che mette tanto a disagio il cittadino medio.

Il problema è che la premessa è falsa: destinare maggiori risorse

per concentrarsi nel riscatto del settore finanziario e nell’alleviare

la pressione delle imposte nel settore industriale e dei servizi non

ci porterà a una nuova crescita dell’economia, perché andando avanti

l’energia e i materiali consumati saranno più cari e più scarsi. E

non per mancanza di investimenti nella loro estrazione e produzione,

ma per ragioni fisiche e geologiche di cui tante volte abbiamo discusso

in questo blog. Tuttavia, c’è tanta teoria economica sviluppata

ignorando il fatto che non si può crescere per sempre, e contrastare

questa idea falsa e autoconvincersi della necessità di un cambio di

paradigma, di schema mentale, ci prenderà molto, molto tempo.

Un nuovo ordine sociale

Una volta compreso che il BAU non può

continuare, si devono ristabilire le priorità perché la

priorità fino ad ora è stata sempre la crescita, visto che

da essa derivavano come corollario le soluzioni alla gran parte delle

necessità. Se non c’è una crescita, bisogna tornare a fare una politica

della verità e decidere cosa si deve fare a come. A mio parere, la

prima priorità è quella di garantire il lavoro in modo generalizzato

come mezzo fondamentale per preservare la pace sociale, per intenderci:

dare impiego alla gente di modo che si possa guadagnare da vivere degnamente.

Alcune persone obiettano che la pace sociale non sia importante, che

la sola cosa che interessa al poteri economici (che usano i leader

politici per attuare il loro programma) è guadagnare sempre più denaro,

anche se per far questo devono sottomettere con la forza tutta la popolazione.

Evitando di metterci a discutere se questa sia o no l’intenzione di

questi poteri economici, un tale metodo non è sostenibile a lungo termine:

oggi come oggi il potere economico si basa sul vendere molti prodotti

a molta gente ma, se la gente perde la capacità economica perché è

disoccupata o sottoccupata, è evidente che i benefici precipiteranno

e molte grandi imprese sprofonderanno, come di fatto sta già accadendo

ora. (Quale credete che sia il futuro a breve termine della BMW o, a

più lungo termine, della Apple?) Altro è che alcune persone ben posizionate

intendano garantirsi una posizione di privilegio in un nuovo ordine

feudale che potrebbe sopraggiungere, anche se, a mio parere, analogamente

a quanto accadde nel Medioevo, se sopraggiungesse il caos anticipato

dai sostenitori di questo futuro, avrebbe più possibilità di diventare

un neo-barone un capo di un gruppo di comando elitario che non un banchiere

grasso che agita mazzette di dollari senza più valore o brandendo carissimi

e inutili pezzi di oro e argento. Ma, infine, supponiamo che i nostri

leader abbiano compreso l’impossibilità del BAU e cerchino ciò

che è socialmente più conveniente. Come dicevo, la prima cosa è stabilire

un sistema che dia impiego a tutti e questo in un contesto di un’economia

che non cresce. Cosa che non appare facile, anche se non impossibile.

Economia stazionaria

Se gli introiti non possono crescere

e , come sembra, la smaterializzazione

assoluta dell’economia

non è un obbiettivo possibile (e, soprattutto, efficace) a breve termine,

è chiaro che, in un determinato momento, l’economia debba smettere

di crescere e tornare stazionaria, vale a dire a dimensione costante

e questo probabilmente dopo un periodo di decrescita. Un’economia stazionaria

ha approcci completamente diversi da una in crescita. La forza lavoro

non può modificarsi sostanzialmente durante il tempo, né il numero

di fabbriche, né i mezzi di produzione in generale. Peggio ancora,

si deve stabilire un qualche tipo di pianificazione su grande scala

(non sulle attività specifiche, ma sul consumo generale di risorse)

per evitare che si producano grandi scompensi. Essere competitivi nel

momento in cui si impongono le restrizioni è un compito che trovo piuttosto

complicato. In ogni caso, le variabili da controllare sono fisiche (energia

consumata, tonnellate di materiale) e non monetarie. Se possibile, la

miglior unità di misura di questa economia è l’energia di lavorazione

o, meglio ancora, l’exergia.

Funzione del lavoro

Si deve ripensare il lavoro, la sua

funzione sociale e il grado di soddisfazione che si potrà dare

alle necessità umane, quelle reali e quelle percepite. È

fondamentale garantire cibo, acqua, vestiario e alloggio alla popolazione.

È conveniente e rilevante fornire anche educazione e sanità. A partire

da lì, è naturale lasciare che la gente sviluppi la propria iniziativa

personale, per ragioni buone e convincenti; il come lo stabiliranno

le persone con più capacità e conoscenza. Ciò che non è facile né

banale è garantire la produzione con mezzi sostenibili di questi beni

fondamentali. È pertanto importante identificare le risorse locali,

le capacità locali di produzione e verificare come mantenere reti sufficienti

per il commercio di quei prodotti di cui ciascun territorio sia deficitario

o abbia un’eccedenza. Avendo accesso a quantità di petrolio e gas in

diminuzione nel medio termine e a nessuna quantità nel lungo termine,

è importante decidere come si può mantenere la meccanizzazione dell’agricoltura

e dei trasporti. Si deve stimare qual è la quantità di biocombustibile

che sia ragionevole produrre senza compromettere l’alimentazione umana

e animale e dove risulta più conveniente. Si deve anche decidere quanti

animali si possono ragionevolmente allevare, come distribuire la popolazione

sul territorio, come evitare l’erosione del suolo, come assicurare l’acceso

all’acqua per l’irrigazione e il consumo umano e animale, come potabilizzarla

e ripulirla avendo accesso a minori quantità di prodotti chimici specialistici

e via ancora un lunghissimo eccetera di questioni tecniche che richiederanno

lunghi studi specialistici e che devono essere adeguatamente coordinati.

Pianificazione e limitazione

nell’accesso alle risorse

La finitezza delle risorse – e, ancor

di più, la disponibilità limitata delle stesse a causa dell’impossibilità

di incrementarne la produzione (e di distribuirle da parte dei produttori)

– implica che tanto per cominciare si devono lasciar perdere certi utilizzi

superflui delle risorse non rinnovabili (quelli che li bruciano o li

disperdono fino a renderle irrecuperabili), incluse quelle risorse rinnovabili

per le quali non si sono ancora trovati utilizzi di interesse generale,

in previsione che nel futuro possano essere importanti. Si dovrà assicurare

sia il risparmio sia il riciclaggio dei materiali, il che implica un

cambiamento della progettazione per facilitare la riparazione e il recupero

dei materiali, anche se ciò implicasse la produzione di beni meno efficienti

di quelli attuali. E questo richiede uno sforzo ingegneristico su grande

scala di tutta la società, sforzo che porti a ripensare completamente

i cicli di vita dei prodotti.

Un punto complicato è la necessaria

pianificazione, più o meno centralistica, dell’accesso ai materiali,

sia quelli rinnovabili, sia quelli non rinnovabili, perché anche i

secondi hanno dei limiti e mal gestiti possono deteriorarsi e diminuire

(di questo abbiamo molti esempi oggigiorno, dall’erosione del suolo

coltivabile all’esaurimento dei bacini di pesca). L’ideale sarebbe lasciare

al libero mercato la regolamentazione di questo accesso, ma l’esperienza

ci dimostra che, forse per l’imperfetta psiche umana, il libero mercato

è solito portare a squilibri e abusi di potere da parte di coloro che

hanno di più e ciò devìa il mercato da essere libero a ostaggio dei

loro interessi. Ma anche un sistema di pianificazione è tendente all’abuso,

soprattutto se chi lo gestisce approfitta della propria posizione per

ricevere prebende o favorire i propri interessi. Non sembra esserci

una soluzione semplice in questo caso.

Libertà

e informazione: democrazia piena

Uno dei grandi problemi che ha la nostra

società occidentale è la tendenza all’opacità nei

temi chiave della gestione politica; peggio ancora, si è arrivati al

punto che una parte importante della popolazione crede che alcuni temi

siano troppo complicati perché l’opinione di un cittadino comune possa

contare. In realtà, la cosa logica sarebbe informare quel cittadino

perché possa avere un’opinione ragionata, invece di prescindere da

essa. In più, non è vero che le grandi linee concettuali siano tanto

complicate da capire come spesso si vuol far credere: molte volte si

ingrandiscono i dettagli più astrusi perché sembrino sostanziali anziché

secondari. Manca una gestione onesta che rappresenti i grandi indirizzi

politici riassumendo i dettagli e le difficoltà senza complicare e

pasticciare le discussioni (ossia ciò che fanno oggi i nostri politici

quando sullo stesso tema elencano statistiche apparentemente contraddittorie,

anche se in realtà dicono la stessa cosa solo per aumentare la confusione

nel pubblico).

È importante che, in un futuro complesso

e che in alcuni momenti richiederà importanti sacrifici, la gente abbia

una chiara consapevolezza di quali siano i veri problemi e che possa

verificare, senza sensazionalismo né cortine di fumo, che le misure

che si sono prese stiano andando a buon fine e che quelle rivelatisi

sbagliate possano essere rapidamente corrette senza confusione né denunce

incrociate. Insomma, è importante coinvolgere di più i cittadini,

cioè quel popolo da cui emana l’unica sovranità, nella gestione e

nella decisione, il che si può ottenere soltanto attraverso un’informazione

chiara e vera e che non venga confusa con migliaia di sciocchezze senza

senso.

_______________________________________

Il lettore si renderà conto che

questo programma di attuazione è molto vago e generico e non si

focalizza sui dettagli. Ma anche così implica cambiamenti strutturali

profondi da fare nella nostra società, cambiamenti che saranno molto

difficili da realizzare partendo da dove ci troviamo ora. Soltanto con

molta costanza e con l’informazione si può provare a girare pagina

ed avanzare in direzione del cambiamento necessario, un cambiamento

di cui non dovranno essere protagonisti né i politici professionisti

di oggi, né i tecnici come me, che siamo solo di aiuto, ma dalla popolazione

stessa.

Saluti,

AMT

**********************************************

Articolo originale: Construyendo el futuro desde arriba

Fonte: Costruire il futuro guardando le cose dall’alto

16.12.2011

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