Ci risiamo: Netflix al servizio dell’ideologia woke americana

In programma l’ennesima rivisitazione che volutamente ignora il ritratto storico del condottiero Annibale Barca. Lo stratega cartaginese avrà il volto di Denzel Washington 

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Di Katia Migliore per ComeDonChisciotte.org

Denzel Washington interpreterà il generale cartaginese Annibale in un film Netflix, ancora senza titolo, diretto dal regista Antoine Fuqua. Secondo la sinossi ufficiale, racconterà “la vita reale del guerriero Annibale, che è ampiamente considerato come uno dei più grandi comandanti militari della storia. Il film ripercorre le battaglie cruciali che ha condotto contro la Repubblica di Roma durante la Seconda Guerra Punica[1]”.

 

Al di là del merito di Denzel Washington, grande interprete che non ha bisogno di alcuna presentazione, ci chiediamo cosa possa aver spinto un regista che ha la pretesa di raccontare la “vita reale” di un gigante della storia a non informarsi sulle sue origini (Cartagine era città fenicia, non subsahariana) e sul fatto che, quando scese in Italia Annibale aveva circa 30 anni, e non quasi 70 come invece l’attore statunitense.

In attesa perplessa di questa nuova produzione Netflix, rendiamo omaggio alla memoria di Annibale Barca ricordando brevemente la sua più memorabile impresa.

Se è vero, cosa che nessuno mette in dubbio, che il popolo romano superò in valore tutte le genti, non si può negare che Annibale di tanto fu superiore in accortezza a tutti gli altri condottieri, di quanto il popolo romano supera in potenza tutte le nazioni[2].»

Per le straordinarie qualità dimostrate durante la sua carriera militare, il cartaginese Annibale, militare e uomo politico, è considerato uno dei più grandi generali della storia. Polibio, suo contemporaneo, lo paragona al suo grande rivale Publio Cornelio Scipione detto anche l’Africano[3].

Annibale concepisce un audace piano di guerra per invadere l’Italia, marciando dalla Spagna, raggiunge i Pirenei e poi le Alpi nel 218 a.C., giungendo in Italia cinque mesi dopo la partenza da Nova Cartago e quindici giorni dopo avere valicato le Alpi.

Dopo la lunga marcia verso l’Italia, dopo aver attraversato il Rodano su zattere di fortuna e affrontato i passi alpini, molti suoi uomini non ce la fanno e alcuni elefanti muoiono appena raggiunta la pianura Padana.

 

Annibale si muove lungo la valle del Po sconfiggendo i Romani, guidati dal console Publio Cornelio Scipione (padre dell’Africano), in un combattimento lungo il Ticino; il console rischia di essere ucciso e la cavalleria numidica sotto il comando di Annibale si dimostra estremamente pericolosa.

Sul fiume Trebbia, vicino a Piacenza, il comandante cartaginese attacca ancora le forze di Publio Cornelio Scipione, questa volta congiunte alle legioni di Tiberio Sempronio Longo. La fanteria pesante romana viene accerchiata e gli uomini massacrati dalle truppe cartaginesi nascoste lungo la riva.

Nel 217 Annibale è in Etruria, seguito dalle nuove legioni romane. Con l’aiuto della nebbia riesce a sorprendere i romani nella battaglia del lago Trasimeno, calando all’improvviso dalle colline sulle truppe romane in marcia che vengono intrappolate sulle spiagge e nelle acque del lago: una completa disfatta dei romani.

 

Attraversa l’Umbria e arriva a Spoleto. Dopo avere devastato il suo territorio cerca di occupare la città; respinto dopo una carneficina dei suoi soldati, e ritenendo dal poco successo del tentativo contro una piccola colonia, che una città come Roma gli avrebbe opposto ingenti forze, dovette desistere dirigendosi verso il Piceno[4]”.

I consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone, al comando di un esercito di otto legioni accettano la battaglia nei pressi di Canne. Annibale pone al centro la fanteria ibero-gallica (che cede sotto l’urto frontale dei legionari) e sui due lati la fanteria pesante africana, facendo scattare la trappola: i Romani vengono attaccati sui fianchi dalla fanteria pesante e, compressi in uno spazio ristretto, non possono far valere la superiorità numerica. Inoltre, la cavalleria pesante numidica sbaraglia la cavalleria romano-italica, per rientrare alle spalle delle legioni romane, completando l’accerchiamento.

Roma viene catastroficamente vinta, ma non seguiranno né la resa né la richiesta di pace: Annibale, seppure vittorioso, non osa attaccare la rivale.

Non se lo perdonerà mai.

I romani non cercano più una battaglia campale ma seguono le tattiche di logoramento di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, dispiegando sul campo un numero sempre più elevato di legioni, mentre nel frattempo porta la guerra in Spagna e pure in Nordafrica, dove la situazione si fa sempre più drammatica.

Nel 203 a.C.  Annibale viene richiamato in patria, dopo molti anni trascorsi in Italia a combattere, con alterne fortune. Scipione l’Africano, infatti, era giunto nel frattempo minacciosamente a Cartagine.

 

Scipione, che da console non aveva visto una volta il nemico cartaginese in Italia, aveva osato marciare su Cartagine; lui, dopo aver massacrato centomila nemici sul Trasimeno e a Canne, si era logorato a Casilino, a Cuma, a Nola. Con queste accuse, con questi rimpianti fu strappato dal territorio italico, dopo esserne stato tanto a lungo padrone[5]”.

 

Nel 202 a.C. i due strateghi si scontrano a Zama. La battaglia è terribile, Annibale sembra avere la meglio ma alla fine l’arrivo della cavalleria di Massinissa, alleato di Roma, risulta decisivo; la vittoria di Scipione è completa e Annibale deve fuggire ad Hadrumetum, colonia fenicia sulle coste dell’attuale Tunisia.

Con la sconfitta dei Cartaginesi finisce la II guerra punica.

Annibale morirà diversi anni dopo in Bitinia, in Asia minore, nel 183 a.C., a 64 anni, lo stesso anno della morte del suo antico rivale, Scipione l’Africano.

Di Katia Migliore per ComeDonChisciotte.org

NOTE

[1] https://tg24.sky.it/spettacolo/cinema/2023/11/14/denzel-washington-annibale-film-netflix

[2] Cornelio Nepote, Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, XXIII. Hannibal. 1-2

[3] https://www.romanoimpero.com/2023/05/annibale-barca.html

[4] Tito Livio, Ab Urbe condita

[5] ibid.

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