Chi vuole la militarizzazione della Sicilia?

Lettera aperta all’Onorevole Nino Minardo, Presidente della IV Commissione Difesa della Camera in quota Lega.

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Di Stefano Vespo

Leggere la sua intervista riportata il 17 luglio di quest’anno sulle colonne del giornale La Sicilia (Nino Minardo e la fabbrica di panzer in Sicilia: «Opportunità da non perdere») farebbe comprendere a chiunque e in modo chiarissimo qual è la piaga più dolorosa che affligge la Sicilia: la vera chiave per comprendere le condizioni di svantaggio in cui versa questa regione. Mi riferisco a quell’assoluta mancanza di attenzione non solo nei riguardi dell’ambiente e del patrimonio ricchissimo dell’isola, ma anche nei riguardi del destino economico, della salute e della vita stessa della popolazione che vive in questa terra, proprio da parte della classe politica siciliana.

La guerra in Ucraina ha innescato una corsa al riarmo in molti paesi europei. E anche l’Italia sembra che abbia deciso di dotarsi dei tank tedeschi Leopard 2, con l’idea però che le industrie tedesche li producano in Italia. E a questo punto, ecco pronunciare da lei in quell’intervista una proposta: realizzare le nuove fabbriche di carri armati nella zona industriale di Termini Imerese, dove usufruirebbero anche degli sgravi fiscali, in quanto Zona Economica Speciale.

Come sempre, queste idee sono abbellite da buone, anzi buonissime intenzioni nei confronti della popolazione: la soluzione del problema della disoccupazione, in questo caso. Le fabbriche ci daranno lavoro, aumenteranno l’occupazione, lei dice. Peccato che questo dell’occupazione generata dall’industria bellica sia un mito sfatato da tempo. E recentemente le esperienze di altri paesi europei, in cui in questo momento stanno nascendo fabbriche di armi, dicono tutto il contrario.

Cito soltanto lo studio molto dettagliato di Gianni Alioti su Iriad Review Studi sulla pace e sui conflitti dell’aprile 2023, nel quale si conclude che, a fronte di un aumento vertiginoso della produzione di armi in molti paesi del mondo, l’occupazione in quel settore è diminuita di più del 50% in questi ultimi decenni. Innanzitutto, perché le industrie di quel tipo richiedono poca mano d’opera altamente specializzata; e poi a causa dell’automazione della produzione.

Inoltre, le industrie belliche esigono un investimento pubblico non indifferente per le spese di riconversione industriale. Vale a dire, dei soldi che potrebbero essere spesi per il miglioramento delle nostre infrastrutture verrebbero impiegati per la creazione di fabbriche di armi, che non avvantaggiano nessuno tranne gli azionisti che le posseggono.

Infine, il progetto è un chiaro segnale non solo della continuazione a tempo indefinito ma anche del possibile allargamento al Mediterraneo del conflitto tra NATO e Russia. E quindi, si può stabilire di mettere la Sicilia al centro di un nuovo fronte di guerra, di inserirla all’interno di un possibile fronte mediterraneo del conflitto con la Russia, facendo passare tale decisione per un atto di benevolenza nei confronti della popolazione dell’isola!

Ma c’è dell’altro. Alla fine di quell’intervista lei annunciava anche la creazione di un grande hub addestrativo nel centro della Sicilia, tra le provincie di Enna e Palermo. Sempre giustificando il progetto con indubbi vantaggi economici, vantaggi per la sicurezza e per la tutela ambientale, naturalmente. In effetti, l’8 maggio di quest’anno, cioè due mesi prima della sua intervista, i sindaci di tre paesi di quell’area, Gangi, Sperlinga e Nicosia, hanno siglato un accordo di trent’anni, rinnovabili di altri trenta, con l’esercito; un accordo che avrebbe portato alla costruzione di un poligono di addestramento di 34 chilometri quadrati, ma suscettibile di ulteriore ampliamento. Il poligono avrebbe dovuto occupare una zona in cui non soltanto vi sono siti di interesse comunitario e zone di interesse archeologico, ma anche numerose aziende agricole che operano nel biologico e comunità agricole residenti. Il poligono avrebbe dovuto sorgere alla distanza di un chilometro dal centro di Sperlinga e di quattro dal centro di Nicosia. E quindi, secondo lei, gli indubbi vantaggi sarebbero stati la distruzione di aziende che producono cereali e farine biologiche; la chiusura di allevamenti che producono latte e carne per le molte aziende sia dei dintorni che dell’intera Sicilia; l’inquinamento del territorio e delle falde acquifere che alimentano gli agrumeti della zona del catanese; l’invivibilità dei borghi adiacenti al poligono, che avrebbero visto azzerarsi qualunque tipo di attività turistica.

Tuttavia, quello che più stupisce è il fatto che lei ignori completamente ciò che è accaduto dopo quel fatidico 8 maggio. Ovvero, che la cittadinanza che vive in quel territorio si è opposta in maniera decisa e compatta a quel miracoloso progetto di sviluppo. Saputa la cosa, infatti, lo sconcerto della popolazione è stato immediato e unanime. È sorto un comitato, di cui io stesso sono stato tra i promotori, che ha contato in pochissimi giorni centinaia di iscritti. Le diverse associazioni presenti sul territorio sono state compatte nell’opporsi a quell’accordo e quasi nessuna ha ravvisato in esso una opportunità di sviluppo.

La Chiesa stessa si è impegnata, promuovendo un’azione comune tra le diverse realtà del territorio. E così, dopo numerosi confronti aperti della cittadinanza con i sindaci firmatari, finalmente sono arrivate le revoche. Ma il nostro lavoro è proseguito e proseguirà ancora: è sorto un coordinamento provinciale ad Enna che sta iniziando a sensibilizzare la popolazione e i sindaci di tutti i comuni dell’area. Sappiamo fin troppo bene che il rischio che venga militarizzato il cuore della Sicilia non è per nulla scongiurato e quanto la nostra classe politica arda dal desiderio di agire per il nostro bene e per migliorare il nostro destino!

I Siciliani le hanno dimostrato non solo quanto sia lontana da noi la sua maniera di concepire i vantaggi economici per l’isola, ma soprattutto che la cittadinanza della regione, in cui anche lei è nato, è oggi molto più attrezzata e consapevole di quanto a volte si creda.

Purtroppo, questa è una storia vecchia: il territorio siciliano possiede uno dei più ricchi patrimoni artistici e archeologici del mondo, ha un’importante vocazione all’agricoltura e all’allevamento, ha una indubitabile vocazione turistica; e tuttavia, la nostra storia è ricca di politici che hanno agito come se la Sicilia fosse un territorio vuoto, come se fosse uno spazio libero per qualunque tipo di speculazione, dove fosse normale e lecito compiere ogni sorta di abuso.

Stefano Vespo, insegnante, promotore del Comitato per la Difesa dell’Identità e lo Sviluppo

29.08.2023

NOTE

Nino Minardo e la fabbrica di panzer in Sicilia: «Opportunità da non perdere»

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