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Black Axe: l’orrore che ignoriamo (2)

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A cura di Rosanna
Il 1 Marzo 2019
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DI ROSANNA SPADINI

comedonchisciotte.org

Arriva la seconda puntata di “Black Axe: l’orrore che ignoriamo”, per approfondire il diffondersi in Italia di questa nuova mafia, i cui boss non sono nati in Sicilia e non parlano il siciliano, ma vengono da lontano, e la loro organizzazione ha un una storia cresciuta nel continente africano.

Dalla Nigeria si sta espandendo da tempo in Italia, c’è la Supreme Eiye  Confraternita, ci sono i Vikings, e poi c’è Black Axe, la più potente tra i cults. Arrivata in Italia parallelamente ai flussi migratori, è protetta da un vincolo di omertà e da una capacità intimidatoria molto simili a quelli usati dalla piovra nazionale. Quando la Procura di Palermo ha portato alla sbarra i boss di Black Axe, nessun nigeriano in tutta la Sicilia ha accettato di fare da perito o da interprete.

Da qualche anno i tentacoli di questa nuova piovra criminale hanno occupato il territorio italiano, e i boss nigeriani hanno iniziato a dettare legge nei sobborghi di diverse città. La struttura criminale nigeriana è frazionata in bande aggressive, i cults, organizzazioni nate in patria all’interno delle università locali, e cresciute al fianco di gruppi più articolati e complessi, definiti vere e proprie holding del crimine. Infatti, la struttura delle cellule criminali nigeriane varia a seconda dei contesti in cui i clan si trovano a operare, dimostrando una elevata adattabilità ambientale.

Ciò che accomuna i diversi gruppi criminali è l’assenza di una reale affiliazione all’organizzazione, perché chiunque può partecipare, chiunque può essere membro di un clan che gestisce traffico  droga, di organi o sfruttamento della prostituzione. Il sistema organizzativo reticolare appare privo di una struttura gerarchica, al contrario del processo di affiliazione all’interno dei clan, che invece sono spesso dotati di un assetto piramidale.

La sua eterogeneità strutturale poi produce cellule di piccole dimensioni, spesso dotate di maggiore fluidità, che permettono l’assenza di particolari clausole di affiliazione per i giovani iniziati, se non una buona dose di propensione al rischio. Del resto la popolazione nigeriana, spesso oppressa da gravose dittature, estrema povertà, eccessiva violenza, è molto sfiduciata nei confronti del futuro, quindi maggiormente assuefatta ad affrontare azioni rischiose.

L’Italia rappresenta la principale piazza di sfruttamento delle donne nigeriane, le quali giungono principalmente dallo Stato meridionale di Edo, e vengono sfruttate dalle loro connazionali, le madame, ex vittime di tratta entrate a far parte del medesimo circuito criminale da cui sono state assoggettate.

Molte sono le domande rimaste ancora inevase che ruotano intorno a queste organizzazioni criminali, dunque proveremo ad approfondire l’argomento con un’intervista fatta ad un giornalista infiltrato che vivendo a Torino ha conosciuto questi ambienti.

Ciao. Hai mai avuto contatti con qualche affiliato della Mafia Nigeriana?

Assolutamente, sì. Non è stato difficile entrare in contatto con persone affiliate alla mafia nigeriana, anche perché la maggior parte dei nigeriana presenti nel territorio, se non tutti, un 98% appartengono o vogliono appartenere alle associazioni per delinquere. Le organizzazioni sono molte, quali Aye Confraternite, Eiye, Black Axe, e non mi è possibile stabilirne le intesità sul territorio, essendo queste tristemente dinamiche. Cosa diversa vale per gli africani francofoni e anglofoni.

La piramide sociale che compone la ”mafia” nigeriana è composta dai nigeriani puri in primis, poi dai francofoni e, successivamente, dal resto degli africani appartenenti al continente. Tra di loro vi sono alcuni che per varie ragioni parlano francese e che godono di una diversa percezione da parte dell’organizzazione. Quest’ultima, qualsiasi essa sia, è una lanterna che attira innumerevoli francofoni africani, giovani, giovanissimi e donne.

Tutti quelli con i quali sono venuto in contatto ‘lavoravano’ in gruppo e vivevano in simbiosi, felici di spacciare e dediti all’alcolismo. I capi branco scimmiottavano e scimmiottano molto lo stereotipo del ”nigga”, il nero americano tipico dello stile rap statunitense. Ci sono diverse etnie e, nonostante abbia girato i bassifondi di Torino e Milano in lungo e in largo, infiltrandomi tra i tossicodipendenti ed i bar dediti allo spaccio, non ho visto l’ombra di un siriano o di un libico. Ho avuto esperienza di un solo siriano, oramai residente in Italia da diversi decenni, che ha preferito appoggiarsi ai marocchini per la droga ed il contrabbando. I cinesi, solo loro, sono stati gli unici che hanno aperto le porte delle loro rivenditorie alla Black Axe, assieme a qualche discoteca o night club detenuto da albanesi e latini. Questi gruppi etnici non disprezzano, ma, anzi, vedono di buon occhio il traffico di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione ed il contrabbando (basta notare il personale di ”sicurezza” o di antitaccheggio per comprendere quali siano gli equilibri in corso di validità tra le varie etnie).

Tutto gira intorno allo sfruttamento  delle etnie ritenute rivali, nemiche.Tutto è droga, usura, sfruttamento. Gli stereotipi vengono confermati, e solo qualche idiota continua a diffondere leggende sull’esistenza di una camorra, ‘ndrangheta o mafia siciliana operativa ed attiva al nord Italia. Queste strutture sono state oramai tutte assorbite in ben altri circuiti, legalizzate e sostituite. Le sostituzioni che sono entrate in campo si chiamano mafie africane.

Come hai fatto ad agganciare simili contatti?

Ho dovuto comprare qualche volta della droga e, molte volte, per simpatia me ne hanno dato un po’ di più. Ed è lì che ho capito che potevo instaurare un rapporto di fiducia che potevo sfruttare per fare domande e ottenere risposte. Inoltre, stavo simpatico ad alcune bariste latino americane, fidanzate con alcuni di questi spacciatori. Tra un bicchiere e l’altro mi hanno raccontato, mi hanno mostrato foto, video, e alle volte narrato vicende assurde, come quando hanno portato in caserma il fidanzato di una di queste e gli hanno trovato, su whatsapp, le foto erotiche che si inviavano loro due.

Quali sono le pratiche criminali più diffuse all’interno di quel mondo?

In città come Torino e Milano, ove vi è il più alto consumo di droga in Europa, lo spaccio di stupefacenti è sicuramente il business più redditizio e diffuso. Professionisti, padri di famiglia comprano, come fossero in gita campestre, il ”crack”, la cocaina cotta dei ”neri” che, immobili, presidiano gli incroci. La polizia si limita solo a fermare e a portare in caserma chi va da loro a comprare un po’ di erba o qualche pezzo di crack, mentre si tiene volutamente alla larga dai neri. Da quanto ho potuto apprendere direttamente, la polizia ed i carabinieri non hanno nessuna voglia e nemmeno i mezzi per fermare tutto ciò. Dovrebbero, se non sbaglio, cogliere sul fatto minimo 10 volte un ”sospetto” per poter avallare un procedimento d’allontamento. Gli africani sono consapevoli della loro immunità e rimangono tranquilli se gli parli di strane macchine nere che girano per i quartieri. Personalmente, sono portato a pensare che esista una forte corruzione nei nuclei della prefettura e della questura, poiché è assurdo vedere 24 ore su 24 gli stessi ragazzi fermi a spacciare.

Di molti di loro ho i numeri di cellulare, sono andato a comprare droga e ci scambio anche qualche parola in francese. Quando mi vedono, addirittura mi salutano. Ed io ricambio. Per quanto riguarda la prostituzione, esistono le cosiddette ”cantine”, case ove avvengono gli ”spacci di fiducia” e ove è possibile ”prenotare” qualche prostituta. Molte sono giovanissime, alcune non molto presentabili, altre davvero brutte. Le più belle, quelle che fanno girare tutti gli uomini al loro passaggio, o sono le badanti dei figli dei boss o portano i succhi di frutta e le merendine agli spacciatori capo referenti. Sì, addirittura hanno il servizio a domicilio. Roba assurda, da non crederci. Comunque, i business principali sono droga e prostituzione, principalmente crack ed erba. La novità sconvolgente, che dovrebbe allarmare i nuclei antimafia, è che gli africani hanno i propri personali laboratori. E questo è assurdo. Per produrre e raffinare la droga, sono necessarie certe sostanze che si possono reperire difficilmente. La ‘Ndrangheta è la principale importatrice di tali sostanze a livello europeo, e non si esclude una connessione tra le due organizzazioni. Sappiamo da tempo che la ‘Ndrangheta ha sostituito Cosa Nostra in un complesso molto più ampio ed esteso di traffici e commerci, e di come essa sia diventata una struttura unica insieme a finanza, massoneria e sezioni di politica e intelligence.

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Come avviene lo smercio al dettaglio?

La produzione è oramai monopolizzata. I nigeriani producono, i francofoni principalmente rivendono (promoter) e gli africani non nigeriani lavorano negli angoli delle strade. Rumeni, albanesi e marocchini si uniscono difficilmente a questi ultimi negli incroci e nello spaccio, ma non è raro trovarli. Tutti lavorano nella stessa strada o davanti allo stesso bar, parco o piazzetta. I capi, tuttavia, sono quelli che naturalmente danno gli ordini. I facchini prendono la droga e te la portano, così se capita qualcosa i carabinieri fermano loro. Il punto forte degli africani è l’immunità legislativa che possiedono. In virtù di ciò sono pochi gli extracomunitari non africani che spacciano per le strade, preferendo il commercio al dettaglio, con qualche bar o negozio sempre da referenza strategica. Il tutto è collegato come una ragnatela: compartimenti sezionati ma interconnessi, e non è difficile scorgere i punti che legano tra loro i vari segmenti. I veri capi difficilmente compaiono per le strade, ma a cercar bene, se vuoi, li incontri.

Vero che controllano oltre allo spaccio anche la prostituzione minorile?

Anche in questo caso, sì. Le donne sono praticamente schiave. Molte di loro nemmeno utilizzano droghe poiché i loro ”mariti” non vogliono che si contaminino. Le meno fortunate e belle sono schiave del sesso, parlano esclusivamente l’africano e non vanno in giro per le strade. Le più emancipate vanno a fare la spesa o vanno a prostituirsi a casa dei clienti facoltosi. Poche hanno il permesso di frequentare i locali e di partecipare alle attività quotidiane. Quelle meno ”belle” esercitano liberamente la professione. Ogni tanto si vede fuori casa di una di loro un energumeno che le ”protegge”. Nel mio caso, la mia vicina è una di loro. Una donna ”in carne”, che ama diventare amica di qualche cliente. Molte volte io e i miei amici, uscendo di casa, la incontriamo con qualche signore e qualche amica. Salutiamo, scherziamo, e ce ne andiamo. In passato, per qualche tempo, abbiamo incontrato un paio di volte un marocchino che parlava spagnolo, e che, prendendoci in simpatia, ci regalò anche un pezzo di fumo. Un giorno, senza preavviso, non vediamo più la simpaticona in carne. Siamo venuti a sapere giusto qualche giorno fa che si trova in Francia, sempre sottoposta alla legge della sua giungla. Erano mesi che non avevamo sue notizie.

Hai sentito parlare di regolamenti di conti a colpi di scure e machete?

Non solo. Ho conosciuto persone che hanno assistito in diretta a questi scontri. Nei ghetti difficilmente succede qualcosa del genere, poiché nonostante l’incompetenza e la corruzione della polizia, qualche pattuglia, se si trova a passare, deve pur sempre intervenire se succede una cosa del genere. Nessuno è interessato a suscitare eclatanti episodi di violenza o a far sì che il livello d’attenzione aumenti. Quando qualche tossico richiede un decimo di grammo in più, i nigeriani o chi lavora per loro glielo concede senza troppo discutere, preferendo liberarsi del momentaneo fastidio. Quest’agire mi ricorda molto quello dei Casalesi. Calmi e tranquilli: gli affari si curano in silenzio. Non è un caso che la base della mafia nigeriana sia a Castel Volturno e che il modus operandi somigli a quello dei Casalesi. E non è nemmeno un caso che la maggior parte dei poliziotti in borghese, di cui ho scorto la presenza nei diversi ritrovi, fosse partenopeo. Sono portato a pensare che il legame che un tempo vi era tra i Casalesi e servizi segreti adesso abbia come referenti i Nigeriani. Ma non bisogna intendere i vecchi Casalesi come una struttura criminale con la quale lo ”stato deviato” veniva in contatto, bensì come un sottoposto, un esecutore di una struttura statale parallela che, dalla caduta della Prima Repubblica ad oggi, è stata un tutt’uno tra criminalità, apparati di spionaggio e di finanza.

Questo trio tecnicamente ricade nella definizione che oggi diamo di ”intelligence”. Nel concreto, ciò non si configura altro se non come un meccanismo che al posto della ”proiezione” casalese oggi ha quella nigeriana. Come espresso dal libro inchiesta ”Codice Inverso” della giornalista Francesca Nardi, le cui ricerche ho approfondito sul campo, i casalesi erano gli esecutori economici di un mercato che richiedeva azione e mediazione politica locale. Ora sono i nigeriani gli esecutori di quella mediazione economica, ma non politica. Molti politici espressione della sinistra, incarnazione di interessi economici e finanziari, tentano senza troppe finzioni di sostituire la criminalità nazionale, legata ai circoli berlusconiani, con quella nigeriana, immigrata, e fedele alla sinistra. Dunque, di affidargli anche la mediazione politica. Ciò distruggerebbe ogni prerogativa nazionale, anche in materia criminale, esautorando l’interesse nazionale a vantaggio di pochi potentati. Precisiamo: quando pensiamo alla ‘mafia’ di sinistra includiamo sia ‘ndranghetisti che immigrati. E, come sempre, non è un caso che questi circoli siano legati ad ambienti in odor di massoneria e magistratura deviata.

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Hai mai avuto esperienza con i suoi riti di affiliazione, che si dicono molto violenti, come quello di imporre di bere sangue umano?

Purtroppo, no. E mi hanno consigliato di non avvicinarmi troppo. Ho chiesto ad uno spacciatore che parla milanese, simpaticissimo, se poteva presentarmi qualcuno dei suoi capi. La faccia che ha fatto è stata di puro terrore. Dire che un nero diventa bianco come un lenzuolo sarebbe divertente e renderebbe bene l’idea. Ciò mi ha permesso di capire quale sia la violenza di questa nuova organizzazione. E non dovrebbe meravigliarci nel complesso, poiché come potrebbero mai agire persone prive di civiltà ed abituati a culti tribali? Nessuno mi ha parlato bene dei nigeriani. Nessuno. Una volta un cubano ”negro” (come si definiva lui), omosessuale, mi disse: ”Questi neri fanno proprio schifo. Ed io lo posso dire, che mia nonna, che mi ha cresciuto, è una di loro. Io sono per metà africano. Ma pur sempre cubano. Un ‘signorina’ un po’ troia, ma mai come questi.”

Ti sembra anche che sia autonoma rispetto alle altre mafie, oppure no? E che differenza esiste tra di loro, magari anche in base al loro radicamento sul territorio italiano, nord e sud?

Ci sono libri che spiegano perfettamente cosa è accaduto e perché, come quello di Francesca Nardi. In sintesi, Cosa Nostra ha lasciato libertà d’azione alla mafia nigeriana perché oramai quella siciliana non esiste più. E’ notizia di qualche tempo fa che alcuni vecchi nostalgici palermitani avevano deciso, morto Riina, di inaugurare un ”concilio mafioso” per eleggere il nuovo capo dei capi. Anche i bambini sanno che dopo Riina, il potere è passato a Provenzano e, in seguito, a Messina Denaro. Tale sciocco tentativo non è altro che la riprova di quanto oramai la criminalità italiana sia diventata un fenomeno ricollegabile al banditismo armato. Solo la ‘Ndrangheta, per via della sua attuale conformazione, è classificabile come un potere istituzionale e non di coercizione. Il concetto stesso di criminalità è cambiato. Al Sud, tuttavia, essendo la cultura della criminalità nazionale radicata rispetto al Nord, si è portati per istinto a contrastare quella nigeriana, nonostante l’ordine certo dei servizi di lasciarla indisturbata. Vi è addirittura una competizione con quest’ultima specialmente nel napoletano, ove si tenta di emulare l’immunità a cui li sottopone la legge: se i nigeriani non possono essere arrestati allora i partenopei utilizzano i bambini, In Sicilia è diverso, anche se a tratti analogo. Lì è nata la mafia, ma senza il padrone di casa… come si dice, quando il gatto non c’è i topi ballano. Penso che anche Messina Denaro sia messo alla strette più per la sostituzione dell’apparato criminale che per l’illecito che rappresenta.

Come mai nessuno pensa di risolvere il problema e di mettere un freno a questa lenta ma visibile ed inarrestabile avanzata?

Sicuramente, vi sono degli interessi in gioco. Gli africani rappresentano da sempre una merce da poter sfruttare, anche in campo criminale. Per l’appunto, ricordi quando Sciascia ‘accusò’ Borsellino di essere un professionista dell’antimafia? I due si parlarono e si ”chiarirono”. Borsellino non convinse nessuno, fu Sciascia a capire che quella mafia di cui aveva tanto narrato era cambiata, e che non esistevano più i professionisti di un qualcosa che si era oramai estinto, ma solo anime dedite a combattere un male, o meglio il male, l’illecito, una corruzione che si fa strada e che si evolve nei circuiti macro sociali di un’organizzazione statale per mera brama di potere.

Ora che farai?

Andrò all’estero. Ho visto troppo degrado e mi è venuto lo schifo dell’Italia. Mi dedicherò a qualche lavoro sociale. Per un po’ voglio staccare la spina. Ho attirato troppa invidia da parte delle persone, che non si spiegano come chi ti scrive possa essere amico di buoni e cattivi e avere come dame di colloquio ragazze strafighe nonché fidanzate di spacciatori. Parlo di ‘amici’ che mi hanno preso ad odio, ma anche di nemici. Il mondo del nord Italia è una somma di stereotipi che già conosco alla perfezione. Me ne andrò dove c’è bisogno di studiare qualche fenomeno nuovo, raccontando e servendo la causa della verità, della correttezza e della chiarezza tra i vari livelli che compongono questo nostro mondo. Per chi ama la verità, non c’è spazio per una vita ‘normale’.

 

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org

28.02.2019

 

Nota: la prima parte dell’articolo, pubblicata a ottobre 2018 è questa: Black Axe, l’orrore che ignoriamo

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