di Massimo Reina (webnews)
La scelta di Twitter e Facebook di censurare Donald Trump e i suoi sostenitori, fortemente criticata anche dai suoi oppositori, sembra aver sortito l’effetto opposto per gli autori. A Wall Street, infatti, il titolo di Twitter perde il 10% in apertura, mentre quello di Facebook, cala del 3,2%.
Bandire l’account personale di Donald Trump per il rischio di ulteriori incitazioni alla violenza, insomma, si è rivelato un boomerang per i due social. Una scelta, condivisa da altre aziende, come Amazon, mal vista tra l’altro anche da coloro che non sono certo dei fan dell’ex Presidente degli Stati Uniti.
Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, ha per esempio evidenziato, in una dichiarazione rilasciata all’AGI, che la decisione di Twitter di chiudere l’account personale di Donald Trump e la cancellazione di alcuni messaggi che lo stesso politico aveva scritto, può essere considerato “pericoloso”, in quanto a valutare certe questioni dev’essere “un organismo indipendente, che non sia caratterizzato da controllo governativo o politico, perché in tal caso sarebbe anche peggio, in quanto potrebbe dare una connotazione proprio politica al controllo stesso”.
Anche Massimo Cacciari, in un’intervista rilasciata a Repubblica, ha dichiarato che “se non c’è una struttura politica che decide un controllo preciso su questi strumenti di comunicazione e di informazione decisivi ormai per le sorti delle nostre democrazie, è evidente che saranno gli Zuckerberg di questo mondo a decidere delle nostre sorti“.
Insomma, decidere di bloccare un leader politico o i suoi sostenitori sui social solo perché non piace (o non ne fa gli interessi) dei suoi proprietari, potrebbe minacciare il concetto stesso di democrazia. A maggior ragione, sostiene qualcuno, se un trattamento analogo non viene riservato anche a coloro che fomentano la violenza dalla parte opposta.
In tanti hanno infatti evidenziato in queste ore proprio sui canali social come su Twitter, Facebook e altri network prosperano tranquillamente pagine o account che inneggiano alla jihad, che mostrano immagini di cattivo gusto, o di politici e sostenitori anti-Trump che utilizzano un linguaggio altrettanto violento, al punto da accendere gli animi sfociati poi in aggressioni e scontri con la polizia o gruppi di elettori repubblicani prima e dopo le ultime elezioni americane. Ma per loro, nessun ban o sospensione.
Ecco perché anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel ritiene “problematica” la chiusura da parte di diversi social network degli account del presidente uscente degli Stati Uniti Trump, come ha riferito il suo portavoce:
È possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale. Questo è il motivo per cui il Cancelliere ritiene problematico che gli account del presidente americano sui social network siano stati chiusi in maniera definitiva”.
Anche il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, il capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber, e il ministro francese dell’Economia, Bruno La Maire, hanno espresso “perplessità” sulla decisione delle piattaforme di bandire il presidente americano.
Insomma, il concetto che molti capi di Stato, politici, pensatori e gente comune bipartisan sembrano voler evidenziare è che è giusto criticare certi atteggiamenti, condannarli e invitare chi, come Trump, ha una certa influenza su milioni di persone a moderare il linguaggio per evitare di creare tensioni.
Ma a patto che ciò riguardi tutti coloro che si comportano in questo modo, e che avvenga senza abusi anti-democratici, censure politiche e decisioni unilaterali compiute da imprenditori privati o da oppositori.