DI HOWARD ZINN
Bisogna ritirarsi dall’Irak, prima è meglio è. La
ragione è semplice: la nostra presenza è un disastro
per noi e uno maggiore per gli iracheni.
A Washington circola una strana logica, si dice che
abbiamo sbagliato ad invadere l’Irak ma che facciamo
bene a rimanerci. Un recente editoriale del New York
Times riassume bene la situazione: “Dopo 21 mesi di
occupazione gli USA sono ancora soli nel contrastare
quella che appare un’insurrezione sempre crescente,
senza prospettiva di un successo definitivo
nell’immediato futuro” concludendo in modo alquanto
illogico che, data la mancanza di altri paesi disposti
ad impegnarsi volontariamente, la sola risposta sembra
essere quella di inviare ancora più truppe americane,
e non solo per i prossimi mesi, come attualmente
previsto. Le forze americane devono essere
aumentate secondo un impegno crescente.La logica sarebbe la seguente: “Siamo soli in questa
invasione, la resistenza cresce sempre di più, non ci
sono prospettive visibili di successo, quindi:
dobbiamo mandare ancora più soldati.”
Si ha un esempio di fanatismo quando ci si accorge di
essere sulla strada sbagliata ma si raddoppia la
velocità.
Esiste inoltre una premessa non sottoposta ad esame: e
cioè che il “successo” consiste nella vittoria
militare.
Senz’altro si può ammettere che gli USA, detentori di
un enorme potenziale bellico, sono in grado di
piegare la resistenza irakena. Il costo però sarebbe
pesante. Finora hanno perso la vita decine di
migliaia, forse centinaia di migliaia, di persone (e
non dobbiamo fare differenza fra i nostri e i
loro, se pensiamo che ogni vita ha lo stesso diritto
degli altri). Questo sarebbe un successo?
Nel 1967, si sentivano ripetere gli stessi argomenti a
proposito del nostro ritiro dal Vietnam. Si sono
attesi altri sei anni, e nel frattempo c’è stato un
altro milione di vittime da parte vietnamita e circa
30.000 da parte USA.
Si dice e si ripete che dobbiamo rimanere in Irak per
riportare stabilità e democrazia nel paese. Non è
ancora chiaro, dopo quasi due anni di guerra e
occupazione, che in quel paese abbiamo portato solo caos e violenza, violenza e morte, e nessuna forma di
democrazia?
Si può far nascere la democrazia distruggendo le
città, bombardando le case e facendo fuggire gli
abitanti?
Certamente non sappiamo cosa potrà accadere con la
nostra partenza. Ma esiste una certezza assoluta sul
risultato della nostra presenza, aumento dei morti da
ambo le parti.
Le perdite umane da parte irakena sono particolarmente
impressionanti. La rivista medica inglese Lancet
riporta che, a causa della guerra, sono morti almeno
100.000 civili, di cui molti bambini. Le perdite da
parte americana comprendono 1.350 soldati e migliaia
di feriti, mutilati, invalidi. Altre decine di
migliaia soffrono disturbi psicologici gravi.
Non abbiamo imparato nulla dalla storia delle
invasioni imperiali, tutte condotte con la pretesa di
aiutare il popolo occupato?
Gli USA, l’ultimo dei grandi imperi, è forse quello
che più si auto inganna, dimenticando la storia,
compresa la nostra: i nostri 50 anni di occupazione
delle Filippine, la nostra lunga occupazione di Haiti
(1915-1934) o delle Repubblica Dominicana (1916-1924),
il nostro intervento nel Sud-Est asiatico e i nostri
interventi ripetuti in Nicaragua, El Salvador e
Guatemala.
La nostra presenza militare in Irak non aumenta la
nostra sicurezza ma la diminuisce. Provoca un aumento
degli avversari nel Medio Oriente, ingrandendo il
pericolo del terrorismo. Ben lungi dal combatterli
lì, anziché qui, come ha dichiarato il Presidente
Bush, l’occupazione aumenta la possibilità che degli
infiltrati arrabbiati ci colpiscano in casa nostra.
Abbandonando il campo possiamo aumentare le
possibilità di pace e stabilità incoraggiando un
gruppo internazionale di negoziatori, in gran parte
arabi, che medino fra i Sunniti, Shiiti e Kurdi in
favore di un compromesso federale in modo da dare a ogni gruppo una certa autonomia. Non dobbiamo sotto
stimare le capacità degli irakeni di poter decidere
del loro futuro, una volta liberi da Saddam e
dall’occupazione USA.
Ma il primo passo è quello di appoggiare le nostre
truppe nel solo modo in cui l’appoggio ha un vero
significato, salvando le loro vite, i loro arti, le
loro menti. Riportandoli a casa.
Howard Zinn
Fonte:www.commondreams.org/views05/0122-01.htm
22.01.05
Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Vichi