DECIFRIAMO DAESH: COME MAI IL NUOVO NOME PER INDICARE L’ISIS E’ COSi’ DIFFICILE DA COMPRENDERE?

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DI ALICE GUTHRIE

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Alice Guthrie, traduttrice di arabo, indaga “Daesh”, il nome per indicare l’ISIS da poco adottato da diversi leader mondiali poiché delegittima le attività del gruppo. Ma in che modo una nuova denominazione può minacciare un’organizzazione terroristica? E perché i media anglofoni fanno tanta fatica a comprendere questa parola?

Nel corso degli ultimi mesi si è assistito a uno sforzo congiunto, da parte di svariati importanti politici mondiali, per dare un nuovo nome al gruppo noto come ISIS, Stato Islamico, IS o ISIL. Questo nuovo nome è Daesh. Se avete seguito i servizi giornalistici su questo tentativo di rovesciamento linguistico, avrete inteso che questo nuovo nome, sebbene sia semplicemente un acronimo arabo equivalente all’inglese ISIS, delegittima apertamente l’organizzazione mettendola alla berlina e spingendola così a minacciare violente ritorsioni su chiunque utilizzi il termine.

 

Ma com’è che questo acronimo ha questo potere, e cosa c’è in esso di così offensivo? Se il vostro accesso ai media è solo in inglese, potreste non cavare un ragno dal buco. Potreste aver avuto l’impressione da questi media che l’esatto significato e le connotazioni di questa parola non possano essere completamente comprese da nessuno, che questa parola sia uno spirito sfuggente impossibile da individuare. Fondamentalmente, sembrano implicare i media, questa espressione, come molte altre nel mondo arabo-islamico, è oscurata da un velo, e non c’è speranza alcuna che possa esserci spiegata in maniera cristallina. E’ una parola troppo orientale e misteriosa per un simile destino.

Bene, io sono una traduttrice di arabo, per cui il mio lavoro ruota intorno all’individuare e chiarire parole arabe spiegandole in inglese e sono qui per farvi sapere che non c’è nulla di misterioso in questo nuovo acronimo: magari viene da una lingua piuttosto diversa dall’inglese, e orientale rispetto a quest’ultima, ma fidatevi, si può spiegare.

Ultimamente mi sono imbattuta in sproloqui estremamente inaccurati sul significato e il valore della parola: anche se non sapeste l’arabo potreste essere rimasti sorpresi di leggere nei principali giornali liberali che sebbene questo nuovo nome sia una traslitterazione dell’acronimo arabo equivalente a ISIS, ci sono “diverse scuole di pensiero” rispetto al significato della parola. Potreste anche essere rimasti sorpresi che vi venga offerta un’analisi basata su una “traduzione approssimativa” delle parole presenti nell’acronimo. Se siete particolarmente attenti, potreste esservi domandati in che modo una delle parole nell’acronimo arabo di “Stato Islamico in Iraq e Siria” possa anche significare “schiacciare e calpestare” (come ha fedelmente “spiegato” una delle principali testate britanniche poco tempo fa), magari riflettendo, mentre facevate colazione, su quale sia la parola con il doppio significato: “stato” o “Islamico”, “Iraq, o “Siria”? E magari vi siete anche chiesti come mai non avevate mai sentito di un simile fenomeno prima d’ora? Se siete dei linguisti, avrete riso come matti ai ripetuti riferimenti ad una parola il cui status sembra oscillare fra quello di sostantivo e quello di verbo “in base alla maniera in cui è coniugato”, compiendo curiosi salti semiotici strada facendo. Forse, avendo l’impressione, sulla base di tutto ciò, che l’arabo sia un territorio tanto inesplorato, potreste addirittura essere stati ispirati ad apprenderlo, rimanendo bloccati sul fronte di scavo nella decodificazione Oriente-Occidente. Tutto ciò sta facendo alzare le antenne a qualche orientalista? Ma non è per niente così complicato, e di certo non si tratta di un territorio inesplorato.

I principali equivoci che attualmente circolano nei media sulla parola in questione si possono ridurre al seguente elenco:

  • che Daesh sia una parola araba autonoma, piuttosto che un acronimo, indicante “un gruppo di fanatici che impongono la propria volontà agli altri”
  • che possa essere “coniugato in modi diversi” per significare sia la frase precedente che “schiacciare e calpestare”
  • che una delle parole dell’acronimo significhi anche “schiacciare e calpestare”
  • che sia, di per sé, un insulto o un’imprecazione
  • che abbia significati differenti al plurale.

Date un’occhiata in giro, guardando diversi giornali americani e britannici e noterete presto la stessa disinformazione che viene ripresa quasi parola per parola: le pubblicazioni o si citano l’un l’altra come fonti ritenute affidabili sulla questione, con i riconoscimenti del caso, o semplicemente riportano le parole dell’altra senza citarla esplicitamente. Nella maggior parte dei casi, la spiegazione non solo è sbagliata, ma proprio non ha senso. Ma perché tutta questa speculazione? Da dove viene tutto questo mistero? Perché vengono usate espressioni come “traduzione approssimativa” e “forse è legato a questa parola”, rendendo questa storia sfuggente e contestata come molti degli sviluppi politici in Siria? È evidente che nessuno di questi giornalisti o i loro staff abbiano dato un’occhiata a un dizionario inglese-arabo (e online ne esistono molti di libero accesso), né abbiano, più semplicemente, contattato un arabofono, per verificare questi fatti basilari.

Quindi, cosa vuol dire davvero DAESH? Beh, D.A.E.SH. è una traslitterazione, nel nostro alfabeto, dell’acronimo arabo formato dalle stesse parole che costituiscono I.S.I.S. In Inglese: Islamic State in Iraq and Sirya o “’لدولة الإسلامية في العراق والشام’ (‘al-dowla al-islaamiyya fii-il-i’raaq wa-ash-shaam’). È questo il nome completo scelto dall’organizzazione e, quando usato per intero, è esattamente il modo in cui questi signori vogliono essere chiamati. In arabo, proprio come in inglese, questa espressione è costituita da sei parole, quattro delle quali costituiscono l’acronimo (“in” e “and” sono omesse): ‘دولة dowla’ (state) + ‘إسلاميةislaamiyya’ (Islamic) + ‘عراق i’raaq’ (Iraq) + ‘شام shaam’. Quest’ultima parola, “shaam” è usata in maniera variabile in arabo per indicare Damasco (nel dialetto siriano), la Siria o “la Grande Siria/il Levante”, da cui la versione preferita dagli americani ISIL, dove la L sta per Levante. In arabo esiste una singola lettera per il suono “sh”, e questo spiega perché la nostra traslitterazione dell’acronimo ha cinque lettere e non quattro. E la vocale con la quale inizia la parola “islaamiyya” suona come una “a” quando è posizionata diversamente in una parola, per questo l’acronimo, quando è scritto in arabo, viene pronunciato “da’ish” e la “a” compare nella nostra traslitterazione. Evidentemente la meravigliosa lettera araba ع, che è all’inizio della parola per “Iraq”, risulta difficile da pronunciare ad un anglofono e non può essere scritta in caratteri latini, da cui l’utilizzo di una “e” (e a volte “’e”) nella traslitterazione.

Siete ancora lì? Non c’è niente di misterioso in tutto questo, e nulla che chi parli arabo non sarebbe in grado di spiegare. Non è una parola già esistente in arabo. Eppure adesso significa proprio “fondamentalisti tirannici, despotici e assassini che affermano di essere islamici e di essere uno stato”, ma solo come risultato di come suona (ci arriverò tra un attimo) e come risultato delle associazioni che rapidamente si collegano ai neologismi, nella stessa maniera in cui si sono collegate alla parola ISIS. Per cui questa parola no, non è basata su nessun preesistente, misterioso o para-mistico significato orientale.

E allora, se essenzialmente la parola significa ISIS in arabo, perché le persone che descrive sono così furiose in proposito? Perché la sentono, e giustamente, come una sfida alla loro legittimità: un rifiuto delle loro aspirazioni a definire la pratica Islamica, ad essere “uno Stato per tutti i Musulmani” e, cosa fondamentale, un rifiuto e riconoscerli e rivolgersi a loro come tali. Queste persone vogliono che ci si rivolga a loro esattamente per quello che dichiarano di essere, e che questo avvenga da parte di persone in tale soggezione da utilizzare il lungo, pomposo e delirante nome creato dal gruppo e non una qualche buffa parola inventata. E qui c’è il punto chiave, che sebbene estremamente semplice, è sfuggito a tutta i media anglofoni che ho visto: in arabo gli acronimi non sono neanche lontanamente comuni quanto in inglese, per cui gli arabofoni non sono così abituati a sentirli usare. Perciò, la creazione e l’uso di un titolo che spicca come un assurdo neologismo per indicare un’organizzazione di questo stampo è intrinsecamente buffo, irriverente, ed è, in ultima analisi, una minaccia allo status dell’organizzazione. Khaled al-Haj Salih, l’attivista siriano che ha coniato il termine nel 2013, afferma che all’inizio anche molti dei suoi compagni attivisti, che resistevano a Daesh insieme a lui, rimasero scioccati dall’idea di un acronimo arabo, e lui dovette giustificarlo facendo riferimento alla tradizione di acronimi utilizzati come nomi dalle organizzazioni palestinesi (come Fatah). Siamo così saturi di acronimi in inglese che facciamo fatica ad immaginarlo, ma è tutto vero.

Tutto ciò significa che il nome si presta bene alla satira e, per gli arabofoni che cercano di resistere a Daesh, l’umorismo e la satira sono armi essenziali nella loro terribile lotta. Ma il valore satirico di questa parola, brandita come un’arma dalle mani degli attivisti siriani che l’hanno intagliata nella roccia della loro drammatica realtà, non sta soltanto nell’inusualità degli acronimi. Oltre ad essere un acronimo, differisce di una sola lettera dalla parola “daes”, داعس’ , che indica qualcuno che schiaccia o calpesta. Di certo questo non significa, come affermato da molti articoli, che “daesh” sia “un’altra coniugazione” del verbo “schiacciare o calpestare”, né che sia “una traduzione approssimativa di una delle parole che costituiscono l’acronimo”, semplicemente differisce di una lettera da quest’altra parola. Immaginate che l’acronimo di “Islamic State in Iraq and Syria” suonasse “S.H.I.D.” in inglese: gli attivisti e gli oppositori di sicuro coglierebbero l’opportunità di riferirsi all’organizzazione come “shit”[1], ma ritengo corretto affermare che nessun organo di stampa straniero affermerebbe che “shit” sia un’altra coniugazione del verbo “shid”, né una sua traduzione approssimativa. Certo, questa analogia non è corretta, data la posizione di egemonia linguistica mondiale della lingua inglese, per non parlare dell’uso crescente di lessico scatologico: ma resta da sottolineare la tendenza dei media anglofoni a mollare prima ancora di cercare di comprendere le lingue non europee.

E ovviamente comprendere cose al di fuori dell’inglese e spiegarcele l’un l’altro attraverso la nostra coscienza collettiva mediatica (e social) è fondamentale su più livelli: nel senso più ampio, permette a noi di tentare di prendere il nostro posto di cittadini globali, e inoltre nutre il nostro senso di connessione con gli altri esseri umani sul pianeta terra. Purtroppo la storia della parola Daesh non è né l’unico né il peggior esempio di come i media anglofoni ci abbiano deluso a questo riguardo. Ma c’è qualcosa di specificamente importante in questa storia e che sta venendo sottovalutato a causa del pigro giornalismo che la circonda: l’utilizzo della parola è parte di uno sforzo vario e articolato da parte di Arabi e Musulmani di rifiutare la posa linguistica dei terroristi, il loro utilizzo dell’arabo pseudo-classico, le loro rivendicazione sull’autorità coranica e un assoluto basarsi sulle scritture sacre, come è evidente dal loro nome pomposo. Questa ridicola pretesa è stata ovviamente decostruita con maestria e passione sul piano islamico, ma sul piano secolare la satira è un’arma fondamentale contro questi fanatici; esiste una ricca tradizione satirica in Siria non solo come forma di sfida ma come strategia di resistenza e che è stata quasi ignorata. Nei media satirici arabi (e nel parlato) diversi diminutivi della parola sono diventati virali, sminuendo elegantemente il loro referente, screditandolo, riuscendo in un colpo a trattarlo con condiscendenza e a relegarlo in una zona situata ben oltre ogni nome formale.

Che la parola Daesh sia offensiva verso il suo referente perché suona ridicola o perché effettivamente suona sinistra, dipende un po’ dalla persona a cui lo si domanda. Alcuni Siriani con i quali ho parlato ritengono la parola estremamente satirica; per altri, come al-Haj Salih stesso, comunque, il principale valore della parola non sta nello humour ma in altri due punti sottolineati da lui come da altri. Il primo è che sia la forma della parola che la combinazione di lettere in essa sono evocativi di parole dalla jahaliyya, il medioevo pre-islamico o “età dell’ignoranza” che, sebbene sia stato un periodo ricco di poesia e patrimonio narrativo, ha profonde connotazioni di oscura barbarie nell’immaginario popolare, essendo il regno di genii, mostri, spiriti del male e predoni. Anche questo aspetto è stato sorvolato nei media anglofoni o è stato confuso con l’idea che la parola possedesse un precedente spettro di significati di per sé: come ora sappiamo, non è così. Ma date le connotazioni di questo tipo di parola, appare chiaro (a molte orecchie arabofone) come debba denotare un qualche folle spettro assetato di sangue che viene rivomitato fuori dalle viscere della storia. Come al-Haj Salih mi comunica al telefono molto gentilmente e fermamente quando lo intervisto per questo articolo: <> Il secondo aspetto, di eguale importanza, che al-Haj Salih ha voluto farmi notare è un altro punto di vista sul perché un neologismo sia offensivo: è evidentemente un nome fittizio, per un concetto evidentemente fittizio. Ancora una volta: la pretesa del movimento di legittimarsi come stato e quella di governare vengono rifiutate come insensatezza, la quale si riflette in un nome insensato.

Per cui l’offesa incarnata da Daesh non sta solo nel fatto che il nome ritrae questi personaggi come piccoli, idioti e impotenti, ma anche nel fatto che implica che siano dei mostri e che siano costruiti.

Per tutti questi motivi alcuni attivisti siriani ritengono così importante che l’uso della parola Daesh si diffonda, e hanno operato in modo tale che ciò accadesse, e l’hanno fatto in maniera così efficace che, come si è visto, la parola è stata accolta da diversi leader mondiali e i rispettivi media, che però hanno una comprensione limitata delle particolarità di questa parola. Inizialmente lanciata dalla città di Raqqa, attuale quartier generale siriano di Daesh, al-Haj Salih afferma che il suo principale obiettivo nell’inventare un nuovo nome per Daesh era quello di evitare che la gente si abituasse a riferirsi a un movimento tirannico e despotico chiamandolo “stato”. Sebbene si sia pentito dei suoi sforzi quando il termine fu usato da Assad e sebbene sia stato vittima di minacce di morte e attentati a Raqqa (al momento si trova altrove), nel complesso è stato soddisfatto nel vedere la parola ampiamente utilizzata dai media Arabi a partire dall’estate del 2013. A proposito del suo utilizzo da parte dei capi di stato mondiali e dei media, ritiene che sia giusto e naturale dal momento che “Dovrebbe essere la gente che più soffre per mano di Daesh a decidere come questo debba essere chiamato”.

Esiste sicuramente un interessante parallelo tra il rifiuto di utilizzare il nome che Daesh vorrebbe per sé e l’interpretazione erronea della parola stessa da parte dei nostri media anglofoni: ogni articolo che ricicla le stesse confuse nozioni sulla parola nega così l’autentico significato dell’arabo, che viene così relegato al dominio fluido e mutevole di una lingua considerata per natura incomprensibile.

Nella stampa araba è stato notato come il Segretario di Stato spagnolo per la sicurezza, Francisco Martinez, ha illustrato correttamente il collegamento tra le parole “Daesh” e “daes” a Novembre, quando ha tenuto il suo discorso con il quale chiedeva ai media spagnoli di utilizzare il nuovo termine ed è piuttosto facile trovare questa spiegazione nella stampa spagnola dominante. Sebbene la stampa francese non sia completamente scevra di confusioni su origini e significato del termine, con alcuni articoli chiaramente basati sulle stesse interpretazioni erronee delle controparti inglesi, o con l’aggiunta di nuove curiose prospettive, come quella che vorrebbe “Daesh”come peggiorativo “in Libano”, la differenza cruciale sta nel fatto che una rapida ricerca porta ad articoli dei principali quotidiani francesi che spiegano il termine senza errori. Se altre lingue europee dominanti riescono a farlo correttamente attraverso i propri media, per quale motivo i media anglofoni non riescono a gestire questa piccola operazione di ricerca linguistica? Siamo davvero tanto all’altezza del nostro stereotipo di grettezza monolingue, persino quando si parla di verifica dei fatti da parte dei principali giornali?

Sembrerebbe che possa davvero esserci una riluttanza sistemica a spiegare, da parte dei media anglofoni dominanti o, nel migliore dei casi, una supposizione che queste questioni non siano spiegabili. Come altro si potrebbe spiegare la totale indifferenza che è stata messa in luce verso le semplici direzioni di ricerca che sono a disposizione di chiunque decida di indagare la storia di un nome? Nel mondo anglofono c’è una vasta comunità di arabofoni bilingue molto facile da reperire e contattare, per non parlare neanche di tutti gli accademici e di quelli che come me che hanno acquisito una buona padronanza dell’arabo. E se anche ciò si rivelasse per qualche motivo troppo difficile, che dire di tutti i giovani ricercatori smanettoni, capaci di, beh, fare copia e incolla in un dizionario online? In maniera ancor più preoccupante, questa questione non può non sollevare domande sull’attitudine al “loro” che tutta la questione mette in luce: c’è qualcosa di particolarmente arduo per i nostri media rispetto ad Arabi e Musulmani?Accetteremmo questa specie di nebbia linguistica, per esempio, sulla Grecia? Avete mai sentito dire che “Syriza” è una “traduzione approssimativa” di un verbo greco che significa “strappar via il potere da un complotto economico mondiale di stampo neoliberista fatto di clientelismo elitario e disuguaglianza sociale e iniziare un programma di ridistribuzione radicale delle risorse e di giustizia sociale, mentre ci si domanda se si verrà presto rimossi da un colpo di stato finanziato dalla CIA?” Beh, fidatevi di me, lo è.

Alice Guthrie è una traduttrice letteraria e di media freelance, scrittrice, redattrice e ricercatrice, ed ex traduttrice in residence di Free Word.

Fonte: www.freewordcentre.com

Link: https://www.freewordcentre.com/blog/2015/02/daesh-isis-media-alice-guthrie/

19/2/2015

Traduzione dall’inglese di Wearing Purple

[1] “Merda” in inglese.

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