Un lento morire in vano ascolto

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Introduzione di Verdiana Siddi per ComeDonChisciotte.org

 

Vittorio Arrigoni (Besana in Brianza, 4 febbraio 1975 – Gaza, 15 aprile 2011) è stato un giornalista italiano, scrittore, pacifista ed attivista per i diritti umani.

La sua attività in Palestina ha inizio nel 2002. Nel 2004 con l’apertura del suo blog GuerrillaRadio, comincia l’attività giornalistica nell’ambito della quale sarà di enorme rilievo la grande opera di divulgazione delle cruente azioni di Israele ai danni dei civili palestinesi, di cui si farà testimone in prima persona.

Insieme alle sue azioni di aiuto pratico in zone depredate, abusate, ridotte a miseria dalle imposizioni arbitrarie degli occupanti israeliani, sappiamo – dalle testimonianze raccolte ed anche dall’intervista che sua madre, Egidia Beretta Arrigoni, ha voluto rilasciare a CDC lo scorso anno – che era solito infondere nelle persone che incontrava un senso di coraggio e di dignità, che esortava gli animi degli oppressi palestinesi ad alzare la testa e a contrastare limiti e divieti imposti da uno stato colonizzatore e despota, quale quello di Israele.

Ma Israele non fa sconti, quando si tratta di perpetrare violenza, e così anche una dimostrazione pacifica e disarmata di umili pescatori, convinti ad oltrepassare un futile limite marittimo impostogli per lavorare (in casa propria), si trasformava velocemente in una sparatoria.

Dopo ripetuti pestaggi, intimidazioni ed espulsioni subite nell’arco degli anni, nel 2011 Vittorio Arrigoni venne fatto prigioniero ed ucciso barbaramente da una “cellula salafita”, un gruppo non meglio identificato, di cui non si conoscono eventuali mandanti. In Italia, ritornò alla famiglia il suo corpo senza vita. Lasciando i suoi cari nel dolore inenarrabile della perdita e i suoi numerosi lettori e sostenitori nello sgomento attonito dell’ingiustizia.

Questa è l’estrema sintesi di una vita valorosa, eroica, e brutalmente stroncata.

Una vita per gli altri e dedita alla causa di un Paese bagnato dallo stesso mare che noi italiani chiamiamo “nostrum”, i cui abitanti vivono nell’umiliazione, nella carneficina, nel terrore, da decenni, nel silenzio assordante di un intero continente “del diritto”.

Quello che segue è un articolo di Vittorio Arrigoni del 2008, pubblicato per la prima volta sul suo blog di allora, scritto direttamente da Gaza, nel pieno dell’azione di violenza di Israele contro il popolo palestinese denominata “Operazione Piombo Fuso”.

Noi non dimentichiamo.

Lo schema criminale di attacco, contro i civili della Palestina da parte dello stato di Israele è sempre lo stesso e continua a ripetersi, sotto gli occhi del mondo intero.

Ringraziamo Egidia Beretta Arrigoni per aver espresso il suo diretto consenso a questa ripubblicazione.

UN LENTO MORIRE IN VANO ASCOLTO

Di Vittorio Arrigoni

Nell’aria acre odore di zolfo, lampi spezzano il cielo inframezzando fragorosi boati.

Ormai le mie orecchie sono sorde dalle esplosioni e i miei occhi aridi di lacrime dinnanzi ai cadaveri.

Mi trovo davanti all’ospedale di Al Shifa, il principale di Gaza, ed è appena giunta la terribile minaccia che Israele avrebbe deciso di bombardare la nuova ala in costruzione.

Non sarebbe una novità, ieri è stato bombardato l’ospedale Wea’m. Insieme ad un deposito di medicinali a Rafah, l’università islamica (distrutta), e diverse moschee sparse per tutta la Striscia. Oltre a decine di infrastrutture civili.

Pare che non trovando più obbiettivi “sensibili”, l’aviazione e la marina militare si dilettino nel bersagliare luoghi sacri, scuole e ospedali.

E’ un 11 settembre ad ogni ora, ogni minuto, da queste parti, e il domani è sempre un nuovo oggi di lutto, di disperazione sempre eguale. Si avvertono gli elicotteri e gli aerei costantemente in volo, quando vedi il lampo sei già spacciato, è troppo tardi per mettersi in salvo.

Non esistono bunker anti-bombe lungo tutta la Striscia, nessun posto è sicuro.

Non riesco a contattare più amici a Rafah, neanche quelli che abitano a Nord di Gaza City,

spero perché le linee sono intasate.

Ci spero.

Sono 60 ore che non chiudo occhio, e come me, tutti i gazawi.

Ieri con altri 3 compagni dell’ISM abbiamo trascorso la nottata all’ospedale di al Awda del campo profughi di Jabalia. Ci siamo andati perché temevamo la tanto paventata incursione di terra che poi non si è verificata.

Ma i carri armati israeliani stazionano pronti lungo tutto il confine della Striscia,

il loro cingoli pare si metteranno in funerea marcia questa notte.

Verso le 23:30 una bomba è precipitata a circa 800 metri dall’ospedale, l’onda d’urto ha mandato in frantumi alcune finestre, aggravando le condizioni dei pazienti già feriti.

Un’ambulanza si è recata sul posto, hanno tirato giù una moschea, fortunatamente vuota a quell’ora. Sfortunatamente, anche se non di sfortuna si tratta ma di volontà criminale e terroristica di Israele nel compiere stragi di civili, l’esplosione ha travolto anche l’edificio adiacente alla moschea, distruggendolo.

Abbiamo visto tirare fuori dalle macerie i corpi di sei sorelline;

5 sono morte, una è gravissima.

Hanno adagiato le bambine sull’asfalto carbonizzato, e sembravano bamboline rotte, buttate via perché inservibili.

Non è un errore, è volontario cinico orrore.

Siamo a quota 320 morti, più di un migliaio i feriti, secondo un medico di Shifa il 60% è destinato a morire nelle prossime ore, nei prossimi giorni di una lunga agonia.

Decine sono i dispersi, negli ospedali donne disperate cercano i mariti o i figli da due giorni, spesso invano. E’ uno spettacolo macabro all’obitorio.

Un infermiere mi ha raccontato di una donna palestinese che, dopo ore di ricerca fra i pezzi di cadaveri conservati nelle celle frigorifere, ha riconosciuto suo marito da una mano amputata.

Tutto quello che di suo marito è rimasto, è la fede ancora al dito dell’amore eterno che si erano ripromessi.

Di una casa abitata da due famiglie rasa al suolo, è rimasto ben poco: dei corpi umani seppelliti sotto.

Ai parenti hanno mostrato un mezzo busto, e tre gambe.

Proprio in questo momento una delle nostre barche del Free Gaza Movement sta lasciando il porto di Larnaca a Cipro. Ho parlato coi miei amici a bordo. Eroici, hanno ammassato medicinali un po’ dappertutto sull’imbarcazione.

Dovrebbe approdare al porto di Gaza domani verso le otto. Sempre che il porto esista ancora dopo quest’altra notte bombardamenti continui.

Starò in contatto con loro tutto questo tempo.

Qualcuno fermi questo incubo.

Rimanere immobili in silenzio significa sostenere il genocidio in corso.

Urlate la vostra indignazione, in ogni capitale del mondo “civile”, in ogni città, in ogni piazza, sovrastate le nostre urla di dolore e terrore.

C’è una parte di umanità che sta morendo in pietoso ascolto.

Restiamo Umani

    Vittorio Vik Arrigoni, 29 dicembre 2008

UN LENTO MORIRE IN VANO ASCOLTO
Illustrazione di Carlos Latuff
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