TONY BLAIR AUTENTICO NEO-CONSERVATORE

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In politica estera e interna, è sempre stato avanti a Bush

DI BEN RAWLENCE

Alcuni sono rimasti sconvolti questa settimana quando due eminenti
pensatori
neo conservatori americani, Irwin Stelzer e William Kristol, hanno
definito
“neo-conservatore” il nostro primo ministro; ma non c’è da
sorprendersi. Il
pedigree di Tony Blair come neo-conservatore ha radici lontane.

Lunedi’ scorso, a Radio 4, Irwin Stelzer ha definito il pensiero
neo-conservatore. Sul fronte interno sostiene un libero mercato, pur
riconoscendo un ruolo al welfare di stato. E’ socialista liberale.
Blair,
dunque, e’ un neo-conservatore in casa.

La polemica verte, tuttavia, sul ruolo giocato dal governo sul
palcoscenico
mondiale. Le democrazie non lottano una contro l’altra, si dibatte, e
se le
grandi potenze sono in grado di aumentare il numero dei regimi
democratici
nel mondo, allora che lo facciano.Fino all’11/9 Blair criticava la politica estera U.S.A particolarmente
per
lo scarso impegno. Nel 1999, davanti all’ ambiguo atteggiamento di Bill
Clinton riguardo le milizie di terra da inviare nel Kosovo, Blair
lamentava
che “Gli americani sono fin troppo pronti a non farsi coinvolgere nelle
questioni che interessano il resto del mondo”.

George Bush non condivideva il programma neo-conservatore all’epoca del
suo
insediamento. Sulla scia della recente campagna elettorale proclamava
che
con lui “l’America non si sarebbe messa ad erigere nazioni” Dopo
l’11/9 le
cose sono andate diversamente. Nel suo primo grande discorso
sull’accaduto,
a West Point nel 2002, Bush dichiaro’: “Agli affari interni e’ stata
sempre
data piu’ importanza che alla difesa della nostra patria”.

Usando praticamente gli stessi toni di Bush a West Point, gia’ nel 1997
Blair parlava dei valori che la Gran Bretagna donava al mondo. Nel suo
discorso alla cena di gala del Sindaco di Londra disse: “in fondo sono
semplicemente un patriota. Credo nella Gran Bretagna… perche’, al
meglio
di se’, si fa promotrice dei giusti valori e puo’ dare il suo
contributo al
mondo”.

E’ l’enfasi data al termine “valori” che lo accomuna ai nuovi
conservatori.
L’affermazione di Blair che, a partire dalla guerra fredda, “le nostre
azioni sono state guidate… dall’interesse comune e da una fermezza
morale
a difesa dei valori a cui teniamo. Valori ed interessi che alla fine
convergono” è di quelle che troverebbero pieno sostegno da parte dei
nuovi
conservatori.

La distinzione tra valori ed interessi e’ cruciale. Gli interessi sono
generalmente difesi, i valori vengono promossi. Gli interessi sono
concreti
e definibili, i valori sono difficili da inquadrare e non hanno
confini.
Prendiamo il piu’ volte ripetuto mantra del governo: “diffondere i
nostri
valori per meglio salvaguardare la nostra sicurezza”, ecco come la
politica
estera britannica si diffonde in un istante: le nostre priorita’ sono
ovunque e in nessun luogo.

Quali sono questi valori? E’ difficile non dare ragione a Blair quando
afferma che “Le nazioni libere, democratiche e beneficiarie del
progresso
economico tendono a diventare stabili e solidi partners
nell’avanzamento
della razza umana”. Il problema si pone allorche’ la sicurezza
britannica
viene a dipendere dalla diffusione di tali valori nel nome dei quali si
entra in guerra. L’interesse nazionale della Gran Bretagna risiede
esplicitamente negli affari interni di altri paesi, violando tradizioni
internazionali di non-ingerenza e destabilizzando i governi. Non
meraviglia
che i paesi del medio oriente siano nervosi.

Stavo studiando a Chicago quando, nel 1999, Blair discuteva della
“dottrina
della comunita’ internazionale” legittimando l’intervento umanitario in
determinate circostanze. Il discorso era stato ben accolto dai
sostenitori
dell’intervento umanitario appartenenti alla sinistra. Ma fu pure preso
come
un testo basilare dagli interventisti di destra all’Universita’ di
Chicago
come pure dai nuovi conservatori oggi.

Il discorso conteneva un’analisi sull’intervento sviluppata su cinque
punti.
Siamo certi sia il caso? Abbiamo esaurito tutte le risorse
diplomatiche?
L’opzione militare e’ attuabile? Siamo in grado di starci per un lungo
periodo? Sono coinvolti interessi nazionali? Fu visto allora come
difensivo
nei confronti dell’intervento umanitario davanti ai precedenti del
Kosovo.
Tuttavia quando persino la seconda guerra in Iraq diventa in
retrospettiva
giustificabile perchè “umanitaria”, esso appare più come tesi
legittimativa
dell’uso della forza finalizzato a rendere il mondo un “posto
migliore”,
ovunque politicamente e finanziariamente possibile.

Scopo dell’ambizione di Blair è partire dall’interventismo liberale per
congiungersi ai nuovi conservatori. L’interesse umanitario nell’azione
militare cessa di esistere una volta raggiunto l’obiettivo prefissato,
sia
che si tratti di fermare un genocidio in Serbia che di rimuovere
Saddam. Il
programma di Blair e’ ben piu’ ampio, addirittura imperiale nel suo
fine
ultimo. L’uso della forza viene utilizzato per dare il buon esempio.

Parlando del Kossovo nel discorso di Chicago, aveva detto: “Una delle
ragioni che rendono adesso cosi’ importante vincere il conflitto e’
quella
di garantire che in futuro non venga più commesso lo stesso errore…
dobbiamo impostare un nuovo sistema.” Ecco la filosofia del neo
conservatore
nella sua forma piu’ pura: la guerra intesa come estremo puntello su
cui far
leva per operare il cambiamento. L’uso della forza impiegato per
attestare
la supremazia dei propri valori. Lo stesso vale per la guerra in Iraq.
Come
mi disse un ex ambasciatore U.S.A.: “Siamo andati in guerra in Iraq
perchè
una guerra ci voleva”. Anche il primo ministro e’ della stessa
opinione.

Secondo lo stesso Blair, quella cominciata come una guerra unilaterale
per
il rafforzamento delle risoluzioni ONU e il disarmo di Saddam dalle
armi di
distruzione di massa si e’ trasformata piano piano in una “battaglia di
fondamentale importanza per gli inizi del ventunesimo secolo”. Secondo
Blair
tale importanza e’ data dal fatto che questo conflitto “definira’ i
rapporti
tra il mondo musulmano e quello occidentale”.

Blair afferma che i terroristi in Iraq concordano con lui circa
l’importanza
di questa battaglia. Una vittoria della coalizione comporterebbe “la
morte
del deleterio mostro di propaganda anti americana… Una volta persa la
battaglia in Iraq per loro sfumerebbe l’occasione di far passare il
popolo
musulmano come vittima e loro stessi come suoi paladini”. Se perdere
significherà lasciare che i terroristi prendano il sopravvento nella
battaglia per i cuori e le menti del mondo musulmano, allora questa
guerra
e’ stata davvero, come posto dalla Strategia per la Sicurezza Nazionale
U.S.A., uno scontro “all’interno di una civiltà: una battaglia per il
futuro
del mondo musulmano”.

La tesi dei nuovi conservatori ha sempre sostenuto che la guerra in
Iraq
faceva parte di una strategia del terrore, che l’Afganistan non
costituiva
uno shock forte abbastanza da minare la baldanza di stati inclini alla
disobbedienza nei confronti dell’occidente. Se crediamo ai discorsi di
Blair
seguiti al conflitto, il cambiamento sulla base della dimostrazione
pratica
ha da sempre fatto parte del piano. Più chiaramente, l’azione militare
divienta strumento di politica estera e non più sua ultima risorsa.

Lo scivolone verso i “valori” come determinante della politica estera
accomuna senz’ombra di dubbio la Gran Bretagna agli Stati Uniti. Nel
2002 il
primo ministro si riferisce al prezzo da pagare in cambio dell’impegno
U.S.A. nel mondo quando afferma che “noi non ci tireremo indietro
davanti
alle nostre responsabilità. Ogni qualvolta l’America si troverà in
lotta per
questi valori, allora anche noi, sebbene arduo, lotteremo al suo
fianco”.

Con una politica britannica del genere Blair avrebbe inviato truppe
pure in
Vietnam. Con simili premesse, la decisione circa un coinvolgimento
della
Gran Bretagna in un conflitto contro la Siria o l’Iran spetterebbe alla
Casa
Bianca.

E’ in fin dei conti una questione di punti di vista definire se tutto
cio’
sia un bene oppure un male per la Gran Bretagna. A detta dello stesso
Blair:
“alla fine, uno è libero di credere o meno ai propri capi politici;
l’importante è averne almeno compreso il pensiero.

Blair è l’autentico nuovo conservatore.

Ben Rawlence
ex-consigliere di politica estera per il partito
dei
Liberali Democratici tra il 2002 e il 2004. Sta scrivendo un libro
sulla
politica estera di Tony Blair.

Fonte:www.guardian.co.uk
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,1334210,00.html
23.10.04

Traduzione per Comedonchisciotte a cura di KOLDER

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