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SPIGOLATURE POST-ELETTORALI

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A cura di Redazione CDC
Il 5 Ottobre 2022
7039 Views

Di Michele Rallo

Alcune riflessioni al volo sui primi risultati elettorali.

IL FATTORE REDDITO DI CITTADINANZA”

Come previsto, il centro-destra ha vinto sul centro-sinistra con larghissimo distacco. E – anche qui come previsto – all’interno del centro-destra Fratelli d’Italia ha fatto la parte del leone: il 26% contro il 9% della Lega, l’8% di Forza Italia, e lo zero virgola di tutti i “Noi Moderati” messi insieme (Toti, Brugnaro, Lupi e chi piú ne ha piú ne metta).

Risultato che avrebbe potuto essere ancóra piú clamoroso (almeno un 30% tondo) senza lo scivolone della Meloni sul reddito di cittadinanza; scivolone che ha penalizzato fortemente FdI al sud, offrendo – di converso – una insperata ciambella di salvataggio ad un Movimento Cinque Stelle che sembrava serenamente incamminato sul viale del tramonto.

Ora, in una Italia dove il 9,4% della popolazione é in stato di “povertá assoluta” e l’11,1% in stato di “povertá relativa” (dati ISTAT del 2021) avrebbe dovuto esser chiaro che non era (e non é) possibile teorizzare lo smantellamento del reddito di cittadinanza. Se ne puó certamente ipotizzare una revisione radicale, in modo da eliminare le tante storture che vi fanno corona e da evitare che diventi un comodo marchingegno per percepire un reddito senza lavorare. Certo, la Meloni ha ragione quando dice che lo Stato deve dare lavoro e non assistenza. Ma é anche vero che, fino a quando non riesce a dare il lavoro, lo Stato ha il dovere di dare almeno l’assistenza.

Certe ricette “conservatrici” vanno bene per i ricchi paesi anglosassoni, non per l’Italia, specie per l’Italia meridionale, dove di lavoro se ne trova davvero poco.

Spero che la Meloni non dimentichi la lezione di Giorgio Almirante: «Se parliamo di Dio-Patria-Famiglia, non c’é nessuno piú a destra di noi. Se parliamo di Stato Sociale, non c’é nessuno piú a sinistra di noi.»

POVERO LETTA: LA PREGIUDIZIALE ANTIFASCISTA NON FUNZIONA

Il tracollo del PD era giá scritto. Anzi é arrivato con molto ritardo. L’elettorato italiano di sinistra ha faticato non poco a capire che di sinistra nel PD c’é rimasto ben poco, ma alla fine qualcuno se ne é reso conto.

Adesso il PD é tutto Agenda Draghi, Spending review di Cottarelli e Ius Soli di George Soros. Ovvero, largo ai miliardari, alle banche americane e ai teorizzatori del rigorismo reazionario. Con tanti saluti al popolo, ai lavoratori e a tutte le parole d’ordine dei bei tempi andati

Letta, poverino, ha fatto quel che ha potuto per affossare un po’ di piú il povero PD. Patetico il suo appello all’antifascismo, quando il fascismo non c’é piú da quasi ottant’anni. Non c’é piú non soltanto in Italia, come regime; ma non c’é piú nel mondo, perché é finita la sua “epoca”, il momento storico – cioé – in cui le sue teorie, le sue realizzazioni, le sue proposte potevano trovare attuazione. Uno che insegna all’Istituto di Scienze Politiche di Parigi dovrebbe capirlo. In ogni caso, lo hanno capito gli elettori: e non solo quanti non hanno avuto difficoltá a votare il simbolo della Fiamma almirantinana (un italiano su quattro), ma probabilmente anche molti altri fra coloro che hanno fatto scelte elettorali diverse.

Ne prendano atto i nostalgici del 1945.

POVERA URSULA: É FINITA LA PACCHIA

A lutto, a lutto stretto anche la nomenklatura dell’Unione Europea, dalla donnetta di Bruxelles all’ultimo Gentiloni. La Meloni non avrá verso l’Unione Europea i riguardi che – purtroppo – riserverá alla NATO. Il fatto é che gli amici della Giorgia (in primo luogo gli americani e gli inglesi) non amano affatto questa UE paravento di una Germania che, oggi come ieri, fa paura agli anglosassoni. La guerra americana contro la Russia (travestita da guerra in Ukraina) é stata anche una guerra mossa contro la Germania e contro l’Europa a guida tedesca; anche se la Germania e l’Europa non l’hanno capito. Gli USA hanno voluto impedire che potesse nascere un monolite economico euroasiatico che faceva loro paura.

Ma torniamo ai fatti di casa nostra. La Meloni sará molto decisa nel difendere gli interessi italiani in sede europea («é finita la pacchia» ha minacciato). E questa é certamente una buona notizia. Speriamo che ci prenda gusto, e che riesca poi a fare qualcosa di simile in sede atlantica.

LE PENE DI SALVINI: AFFONDATO DA GIORGETTI

Tra i grandi sconfitti del 25 settembre c’é anche Matteo Salvini. Anche questo era fatale. Gli hanno smantellato la Lega barricadera e populista (che prendeva i voti), costringendolo a benedire il nuovo corso draghista di Giorgetti e compagni (che voti non ne prende). E questo é il risultato inevitabile. Lo avevo detto e ridetto da queste stesse colonne, e sono stato facile profeta.

Spero che il leader leghista si liberi della palla al piede giorgettiana e torni sulla ruspa. E spero che torni a fare quello che sa fare molto bene: il Ministro degli Interni.

IL “TERZO POLO” ARRIVA SESTO

Il terzo polo é arrivato sesto. Lo sapevano tutti che sarebbe finita cosí, ma giornali e televisioni hanno fatto a gara nel pompare l’artefatto calendiano, lasciando passare il messaggio subliminale di una forza che avrebbe potuto essere “terza” fra centro-destra e centro-sinistra.

Invece é stata sesta. E grazie, soltanto, all’apporto del “nemico” Renzi. Se Calenda fosse andato da solo, il risultato sarebbe stato ben piú misero.

Spero che Renzi gli presenti il conto.

DI MAIO TORNA AL SAN PAOLO

E, adesso, spazio alla goduria. Di Maio ha fatto la fine che meritava, degno coronamento di una serie infinita di giri di valzer, salti della quaglia e complottini da marciapiede. Ha pagato tutto in un sol colpo, ed ha pagato soprattutto il ruolo di mansueto esecutore d’ordini di Mario Draghi.

Un giorno, forse, si fará la storia delle ultime elezioni presidenziali, della congiura per sbarrare la strada ad una donna con le palle, come la Belloni, e per mantenere al suo posto Sergio Mattarella. E, forse, troverá riscontro quello che oggi si sussurra a mezza bocca nei palazzi romani. E cioé che la manovra – chiamiamola cosí – avrebbe avuto quattro protagonisti. Unico del quartetto a venire allo scoperto sarebbe stato Matteo Renzi, ma ce ne sarebbero stati altri tre piú defilati: Mario Draghi, il mattarelliano di ferro Ministro della Difesa e, per l’appunto, Giggino ‘O Guaglione. Cosí, almeno, si sussurra. E questo, un paio di giorni fa, si é lasciato scappare in diretta un notissimo giornalista televisivo.

Secondo questa versione, Draghi sarebbe stato il dante causa – diciamo cosí – di Giggino durante la tornata del bis mattarelliano. E, secondo analoghe voci di corridoio, sarebbe stato sempre lui – il superbanchiere – l’ispiratore di Giggino nell’operazione che ha portato alla scissione dal Movimento Cinque Stelle.

Voci, soltanto voci…

ITALEXIT SCALDA I MOTORI

Italexit non ce l’ha fatta a superare la soglia di sbarramento. Peccato, peccato davvero, perché avrebbe svolto un ruolo assai importante nelle nuove Camere.

Ma Paragone non demorde, ed é giá al lavoro per le elezioni regionali in Lazio e in Lombardia. Elezioni che dovrebbero svolgersi, se non vado errato, fra sei mesi circa. Allora – e spero con tutto il cuore di sbagliarmi – la situazione sará ben piú complessa rispetto a quella di oggi, e Italexit sará un punto di riferimento essenziale nel panorama politico italiano.

Di Michele Rallo

Michele Rallo è storico e saggista, ex parlamentare della Repubblica Italiana

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