Silvia Romano riscattata: Conte peggio di Berlusconi

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DI NICOLO GEBBIA

themisemetis.com

Siamo l’unico paese in cui la polizia ha pagato il riscatto per liberare i ricchi sequestati dai banditi sardi e funzionò così bene, senza nessuna indignazione da parte dell’opinione pubblica, che divenne sistematico, nel senso che i sardi non fecero più indagini circa la liquidità di chi andavano a rapire, tanto sapevano che a pagare sarebbe stato lo Stato.

Un po’ come il meccanismo illustrato da Antonino Di Matteo circa l’effetto che ebbero su Cosa Nostra le profferte di intesa di Mori e De Donno, cioè quello di moltiplicare le sue efferatezze, a riprova della potenza che essa aveva sul territorio nazionale ed alzare proporzionalmente il prezzo.
Ed allora perché non applicare lo stesso sistema ai cittadini italiani sequestrati in giro per il mondo dai terroristi? Si cominciò con tre agenti del SISMI sequestrati in Iraq nel periodo del nostro intervento militare.

Io c’ero sul territorio e sapevo bene che Berlusconi aveva già pagato il riscatto.
Ma i tre furono liberati non per i soldi usciti dalle nostre tasche. Il luogo dove erano tenuti prigionieri fu scoperto dalla intelligence dell’esercito polacco, perché era all’interno dell’area da loro controllata. Lo comunicarono agli americani, e questi ultimi liberarono i tre, uccidendo un non meglio precisato numero di sequestratori.Poi indissero una conferenza stampa a Bagdad, tenuta da un generale statunitense .
In mia presenza, dopo che egli ebbe illustrato quanto fossero stati bravi polacchi e yankee , un giornalista gli fece questa espressa domanda: “Gli italiani hanno avuto qualche ruolo nella liberazione dei loro connazionali?”.

La risposta fu di una chiarezza degna di Tito Livio: “Assolutamente nessuno!”.

Berlusconi, che i nostri soldi li aveva già sborsati e che non era stato preventivamente informato del blitz statunitense, fu pertanto clamorosamente smentito nelle affermazioni che aveva fatto alle agenzie di stampa, riprese solo dalle sue televisioni e dalla RAI, circa la “geometrica potenza dispiegata da Italia, Stati Uniti e Polonia per giungere alla liberazione manu militari”.

Ricevemmo l’ordine che a qualsiasi domanda fattaci dai giornalisti avremmo dovuto rispondere: “No comment“. Fu così che quando venne sequestrata Giuliana Sgrena, ed un maggiore dei carabinieri del SISMI gesti’ il pagamento del riscatto di cinque milioni di euro, Berlusconi tentò di fare arrivare la giornalista in Italia di nascosto, prima che lo venissero a sapere i nostri padroni americani ed incaricò il suo compagnuccio di merende Nicolò Pollari di inviare in Iraq un funzionario di assoluta riservatezza, che esfiltrasse la giornalista fino all’aeroporto nell’Urbe, a bordo di un Executive nella disponibilità del servizio. Calipari era certamente riservato, e fra l’altro anche onesto, cosa rara dentro il SISMI.
Dalla polizia di stato era transitato grazie alle parentele della moglie con alcuni capataz del servizio.

Il fatto che non sapesse parlare nemmeno una parola di inglese fu giudicato irrilevante, perché il suo ruolo era quello di prelevare il pacco che gli sarebbe stato consegnato da un altro italiano, quel maggiore dei carabinieri che ho già detto, e che conosco, al quale James Bond fa un baffo.
Lui guidava la macchina e sul sedile posteriore c’erano la Sgrena e Calipari.

Il soldato americano (tra l’altro di origini italiane) di servizio al posto di blocco si attenne alle consegne che aveva ricevuto, e contro quella automobile civile il cui arrivo non era stato preannunziato aprì subito il fuoco.
Avrei fatto lo stesso anch’io, visto che l’eventualità più probabile era che si trattasse di un’autobomba suicida.

Quando il proiettile mortale attraversò il parabrezza, passò sopra il sedile anteriore destro e colpì Calipari, questi casco’ con la testa in grembo alla Sgrena, il maggiore tirò i freni ed uscì dalla macchina con le mani alzate.
Il resto è tutta cosmetica berlusconiana, per la quale i decorati di medaglia d’oro al valor militare, maturata per un atto di eroismo compiuto coscientemente, si rigirano nella tomba ancor oggi.

Quanto sia stato pagato di riscatto per la liberazione di Silvia Romano non lo so e non ci è stato comunicato.
Conte, comunque, per evitare che gli capitassero gli infortuni di Berlusconi che ho appena narrato, prima ancora di informarne i genitori ha fatto sapere a tutti, con un tweet, che l’AISE guidata da Luciano Carta, con la mediazione degli agenti integralisti islamici del sultano Erdoğan, aveva pagato un imprecisato riscatto agli integralisti islamici somali di Al Shabab, ed in conseguenza di questa mediazione commerciale, la donna, tornata libera, si stava godendo una pizza margherita dentro l’ambasciata italiana di Mogadiscio. Il fatto che Al Shabab, con i milioni di euro usciti dalle nostre tasche, probabilmente si doterà addirittura di un’aviazione, è irrilevante.

Il generale Carta, in ogni caso, tra breve andrà ad occupare il posto che fu anche di Gianni De Gennaro (oggi al Quirinale, dove distribuisce medagliette della prima comunione) a capo della Finmeccanica, la quinta fabbrica d’armi del pianeta. Personalmente è da quando pagammo il riscatto per liberare Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, che penso alla opportunità di fare firmare a queste anime belle una liberatoria prima che lascino il territorio nazionale, con la quale esonerano tutti noi loro concittadini dall’occuparci dei cazzi loro quando sono intente a fare del bene in giro per il mondo.

Ma è una pia illusione, perché sono certo che se Gesù Cristo fosse stato italiano avremmo riscattato anche lui ed i due ladroni, impedendo la loro crocefissione.

Ed in questo abbiamo un primato assoluto: siamo gli unici al mondo che lo fanno.

 

Nicolo Gebbia

Fonte: www.themisemetis.com

Link: https://www.themisemetis.com/comunicazione/silvia-romano-riscattata-conte-berlusconi/5004/

10.05.2020

 

 

L’ombra di Erdogan dietro la liberazione di Silvia

La liberazione di Silvia Romano è un risultato fondamentale di tre fattori: lavoro di intelligence, opera di diplomazia e capacità operative sul campo in uno dei teatri più difficile del mondo, il Corno d’Africa. Un’operazione che si è svolta all’alba del nove maggio a trenta chilometri da Mogadiscio, in Somalia, e che è il completamente di un lavoro cominciato subito dopo le 19.30 del 20 novembre del 2018, quando la cooperante italiana venne rapita da una banda armata nel villaggio di Chakama in Kenya.

Le cose hanno subito una decisa accelerazione nel novembre dell’anno scorso, quando i servizi segreti italiani hanno avuto la certezza che Silvia Romano fosse viva. Una sicurezza che ha permesso al numero uno dell’Aise, Luciano Carta, di muovere le pedine definitive nelle scorse settimane, con l’invio dei suoi uomini a Nairobi, in Kenya. Il contatto era quello giusto, spiegano le fonti di Repubblica, tanto che in pochi giorni è arrivata la svolta per il negoziato. L’appuntamento viene fissato nella notte tra l’8 e il 9 maggio sotto la pioggia battente di Mogadiscio. E mentre nella capitale somala esplodevano colpi di mortaio, non lontano dalla sua periferia avveniva lo scambio per riavere Silvia.

Uno scambio che indica due elementi che hanno rappresentato da sempre i binari del lavorio degli 007 italiani. Da una parte la questione dei soldi: perché quello di Silvia Romano era stato da subito un sequestro a scopo di estorsione. Dall’altro lato, non va sottovalutato un fattore essenziale mai taciuto nemmeno dalle prime agenzie di stampa, ma anzi quasi volutamente ribadito dalle fonti dei servizi: l’apporto dell’intelligence turca.

Un elemento importante perché fa comprendere quanto profondo sia il radicamento della Turchia nel Corno d’Africa: un tempo territorio “di caccia” delle potenze europee, con l’Italia in prima linea grazie ai contatti ereditati dal fu impero coloniale, e che ora si trova al centro di una guerra che ha tutto il sapore mediorientale. Lo Stato africano è un complesso ginepraio di interessi strategici e di lotte per il controllo del territorio. I signori della guerra, i pirati, bandi di predoni, i terroristi di Al Shabaab e un governo fragile fanno da sfondo a una vera e propria sfida per il controllo delle aree del Paese. Gli Emirati Arabi Uniti hanno da tempo avviato una loro politica di penetrazione nella parte settentrionale, quella che si affaccia sul Golfo di Aden. Mentre più a Sud, nella capitale Mogadiscio, è con i turchi che bisogna trattare. E gli italiani lo sanno benissimo.

Recep Tayyip Erodgan è stato uno dei primi leader mediorientali e mondiali a intessere rapporti estremamente proficui con i governi somali. E ha saputo sfruttare la debolezza degli esecutivi per imporre la propria agenda. Il sogno neo ottomano del sultano si costruisce su solide basi storiche che non possono non tener conto che i contatti tra la Sublime Porta e il mondo africano arrivavano proprio fino al Corno d’Africa. Ed è così che tra aiuti economici, investimenti, basi militari e contatti con il mondo islamico locale (non estraneo anche alla Fratellanza musulmana), Erdogan ha di fatto reso la Somalia un avamposto della strategia turca. E ancora una volta l’Italia ha dovuto avere a che fare con gli agenti di Ankara: come nel Mediterraneo orientale e a Tripoli, dove ormai sembra impossibile non coinvolgere anche gli uomini del Sultano. La tattica sembra non troppo diversa da quella adottata in Libia: si lascia che la guerra faccia il suo corso, si penetra fra le macerie ripercorrendo i confini dell’antico impero ottomano, si utilizzano le vie della cooperazione, dello sfruttamento energetico e del retroterra culturale, e infine arrivano i militari. Una presenza, quella turca, che ha scatenato da tempo i terroristi di Al Shabaab, che hanno più volte preso di mira lavoratori e unità inviate da Ankara per inviare un segnale a Mogadiscio ma soprattutto al governo turco.

Il lieto fine del rapimento di Silvia Romano è il segnale eloquente di questa realtà. Come in Libia così in Somalia, quelle che erano colonie italiane – e con cui Roma aveva necessariamente rapporti eccellenti anche una volta diventate indipendenti – ora sono territorio in cui è l’influenza turca a prevalere. Ed è a tutti gli effetti una vittoria di Erdogan: l’unico leader a sapere mantenere e rafforzare i rapporti del proprio Paese nel mondo africano confermandosi nella sua strategia neo-ottomana e grazie a un sapiente gioco di diplomazia, strategia militare e alleanze. E per l’Italia c’è poco da sorridere, a eccezione della vittoria di riavere a casa la nostra ragazza. Tanto è vero  che già qualcuno inizia a temere che il favore ricevuto dagli 007 turchi in Somalia possa avere importanti ripercussioni sull’altro teatro dove Ankara e Roma si trovano a dover convivere: Tripoli. E lì un lasciapassare italiano agli interessi turchi potrebbe cambiare radicalmente i piani del nostro Paese in tutto il Mediterraneo allargato.

 

Lorenzo Vita

Fonte: https://it.insideover.com

Link: https://it.insideover.com/politica/erdogan-africa-somalia-silvia-romano.html

10.05.2020

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