DI MARCELLO FOA
I ripetuti annunci americani favorevoli a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle hanno suscitato diverse reazioni di comprensibile stupore e talvolta di sconcerto, sia a destra che a sinistra. Che sta succedendo? Perché gli Usa tendono la mano a Grillo?
Una risposta politicamente corretta è la seguente: l’America paladina della democrazia vede con favore lo sviluppo di un movimento popolare come quello dele Cinque stelle. Corretta e in parte plausibile ma, ne converrete, non del tutto convincente. Washington è abituata a calibrare con attenzione le proprie mosse di politica estera e l’idealismo non rappresenta certo la bussola strategica degli strateghi americani che, semmai, come più volte detto dai presidenti Usa sia democratici che repubblicani, badano soprattutto all’interesse nazionale.
E attraverso questo filtro bisogna interpretare le mosse statunitensi.
In teoria, Beppe Grillo dovrebbe essere additato come un nemico degli Usa, alla stregua almeno un Lula. Quando alza il tiro e commenta vicende di politica estera, il comico genovese è irrefrenabile: appoggia l’Iran, critica Israele, stronca le guerre americane, denuncia il Bilderberg e lo strapotere delle banche. Eppure Washington appare serafica, lascia correre; anzi moltiplica gli attestati pubblici di stima, lasciando tutti interdetti.
Ingenui? Sprovveduti? Macché! Gli Usa sono molto pragmatici. Se vedono emergere un nuovo movimento politico, che non hanno possibilità di condizionare, tentano, in prima battuta, di capire e, in seconda, di farselo amico. Questa fase “conoscitiva” è venuta alla luce solo ora, in realtà è in atto da almeno 3-4 anni e il referente non è Grillo, ma Casaleggio. E’ lui, secondo quanto emerso in questi giorni, l’”Americano” del movimento. Per quale ragione nessuno lo sa, forse nemmeno lo stesso Grillo, che è un libro aperto, mentre dell’enigmatico Casaleggio si sa ben poco, se non che è un autentico fuoriclasse della Comunicazione online e questo potrebbe anche bastare a renderlo un referente interessante per gli Usa.
Di certo l’America vuole tenere aperto il dialogo con tutti i protagonisti della politica italiana, senza timore di apparire incoerente, allo scopo di continuare ad influenzare l’Italia, come avvenuto dal Dopoguerra ad oggi indipendentemente dal colore politico del governo in carica. Dunque, se un giorno Grillo dovesse andare al potere, Washington – grazie alle buone relazioni costruite finora – potrebbe perlomeno sperare di non vedere compromesso questo suo privilegio. Vogliamo chiamarla diplomazia preventiva?
Ma c’è anche una seconda ragione, a mio giudizio ancora più interessante. Analizzando bene la politica estera statunitense – dunque senza l’ingenuità tipica di molti commentatori filo o antiamericani – emerge come il comportamento nei confronti degli alleati non sia sempre lineare nè riconoscente e tantomeno idelogico, bensì caratterizzato da ribaltamenti di posizione talvolta repentini o brutali, sebbene, condotti con grande maestria comunicativa al fine di non turbare le percezioni dell’opinione pubblica.
L’esempio più recente riguarda la cosiddetta Primavera araba, che non fu affatto spontanea: l’America non ha esitato a mollare alleati storici come Mubarak e Ben Ali, preferendo sostenere un movimento integralista sunnita, quello dei Fratelli Musulmami, che per tre decenni aveva considerato pericoloso o comunque impresentabile. Dopo l’11 settembre i fondamentalisti sunniti erano i nemici, ora invece sono diventati i principali alleati di Washington, che infatti li sostiene anche in Siria. Il paradigma è cambiato in modo spettacolare eppure pochi sembrano essersene accorti e pertanto nessuno ne chiede conto a Washington.
Anche in Italia certi rivolgimenti sono stati clamorosi: a inizio degli anni Novanta a Washington non dispiacque certo veder uscire di scena la Dc, il Psi, i Craxi, gli Andreotti; insomma quel Pentapartito che per quasi 50 anni si era opposto all’onda comunista. Negli anni successivi proprio certi esponenti di chiara formazione Pci, risultarono quasi più graditi di molti politici di centrodestra, sebbene questi fossero, visceralmente e da sempre filoamericani.
L’America, come ogni grande potenza, si muove con lucidità e talvolta estremo cinismo, secondo parametri e interessi (economici e geostrategici) sovente non dichiarati e che non sono facilmente interpretabili da giornalisti che solitamente brillano per superficialità.
Ecco perchè sbaglia chi, a destra come a sinistra, commenta con smarrimento le aperture statunitensi a Grillo; e verosimilmente sbagliano Grillo e Casaleggio se pensano di avere in tasca il placet americano. Oggi forse, ma domani?
Domani proprio i grillini potrebbero essere additati, come estremisti o addirittura come dei novelli, pericolosi Chavez. Per ragioni, ovviamente, imperscrutabili.
Occhio, grillini…
Marcello Foa
Fonte: http://blog.ilgiornale.it
Link: http://blog.ilgiornale.it/foa/2013/03/15/sicuri-che-lamerica-sia-grillina/
15.03.2013