RICHARD OXMAN: ''L'OSCAR AI TEMPI DI GUERRA''

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DI BIANCA CERRI

Sta per iniziare la battaglia per aggiudicarsi gli Oscar del cinema, che verranno consegnati questa notte, a cavallo tra il 27 ed il 28 febbraio. Per l’occasione, ci siamo avventurati in un’analisi sull’industria di Hollywood, attraverso un’intervista esclusiva che Richard Oxman ha concesso a Reporter Associati. Oxman, cattedra di storia della cinematografia alla Reugers University, è una delle persone più qualificate a guidarci nei meandri della nobile arte.

Mr. Oxman: per quale motivo, persino in un’epoca come quella attuale, in cui la decenza è ormai un lontano ricordo, un produttore spende miliardi di dollari per fare un film su uno squinternato come Howard Hughes, trasformandolo oltretutto in un eroe e con la pretesa di mitizzarne la vita, senza contare che il film, molto probabilmente sarà premiato?blank

Non solo: il film toglie a quel triste personaggio che fu Hughes un bel pò di responsabilità, facendolo apparire come un uomo vittima delle proprie pulsioni. Se nessuno trova nulla da ridire è perchè questo è il paese che ha il pubblico più smielato del mondo, capace persino di invaghirsi dell’individualismo straccione di Hughes. Si ricordi, per quanto riguarda i premi, che gente come Brando e George C. Scott li rifiutarono pur di mettere in risalto alcune faccende molto complesse. Solo che parliamo di giorni ormai lontani.

E’ vero che non è tanto facile per un afro americano ottenere una nomination?

In un certo senso sì… Dipende ma a volte succede. Berry ha avuto un Oscar e credo che potrebbe forse averlo il film “Ray”. Come Berry lo ha avuto Denzel Washington, perchè il razzismo è piuttosto contenuto ad Hollywood. Sempre che una nera accetti di farsela con un bianco, come nel film per il quale è stata premiata Berry, o un nero faccia la parte di un militare.

Ha una definizione a portata di mano per l’industria di Hollywood? Se ho inteso bene, lei ha detto che è l’altra faccia dell’America.

Hollywood è un mondo di fantasia, dove la fantasia è assai più importante della realtà e questo altera le percezioni di chi ci vive. Le faccio un esempio: se uno muore a Hollywood, è come se non fosse mai esistito. Questo vale anche per la gente che vive a Hollywood ma non appartiene al mondo del cinema, che riesce a fare soldi solo confermando i pregiudizi più stucchevoli.

Ci sono attori che hanno interesse per il sociale o che non abbiano esitato a condannare la guerra, o per loro tutto è uguale purchè le case di produzione li scorrazzino in limousine?

Ci sono attori o registi che amano passare per impegnati, ma non ci sono attori o registi contrari alla guerra in modo totale. Lei sa che Tim Robbins, osannato dalla sinistra, è stato un sostenitore dell’intervento in Afghanistan. Non conosco nessuno realmente anti-militarista a Hollywood e credo sia un traguardo ancora lontano. Non ci sono persone come Ken Loach o Mike Leigh, che sono avanti di mille anni rispetto ai registi americani.

Mr. Oxman: lei mi ha preceduta perché stavo proprio per parlare di Robbins, e, già che ci siamo, le parlerò comunque di Robbins, chiedendole quale impatto abbia avuto il suo sostegno alla guerra in Afghanistan?

Poco, se non quello di confermare l’ignoranza imperante, ma lo status quo di Robbins non ne ha sofferto.

Io mi trovo d’accordo con quello che lei ha dichiarato su un vecchio film di Visconti, “Rocco e i Suoi Fratelli” e le chiedo: se facessero oggi un remake di questo film, che ha cambiato sia la sua che la mia vita come quella di molti altri, lei crede che la gente andrebbe a vederlo per imparare cosa significhi la solitudine più assoluta?

Credo che la cosa più opportuna sarebbe restaurare quello vecchio, per non falsare il messaggio che il film contiene.

Lasciamo da parte il cinema solo per un momento, per passare al movimento americano contro la guerra e all’informazione alternativa nel suo paese.
Io concordo con tutto ciò che dice Paul de Roiij (direttore dell’Istituto per la Trasparenza dell’Informazione – n.d.r.): la gente si lava un po’ troppo la coscienza facendo la carità o delegando Amnesty International.

Ho una grande stima di de Roiij, mi piacerebbe solo che uscisse ogni tanto da parametri leggermente rigidi. Il suo punto ha un valore, ma bisogna lavorare di più. Vede, in America, gli schiavi sono stati sostituiti dai detenuti e dalla classe operaia. Questo sta bene alla maggior parte dei liberals, perchè, in fondo, non riguarda il loro mondo. Howard Dean, considerato un progressista, non si batte per queste categorie, né lui né i suoi seguaci. E ha la sua parte di colpa nel mantenimento della pena di morte e nel peggioramento delle condizioni carcerarie in America.

Molta gente di sinistra non fa, non farebbe e non farà mai veramente nulla per gli oppressi per paura di perdere i propri privilegi. Le faccio un esempio: Ward Churchill combatte ogni giorno, s’impegna, investe se stesso per impedire che avvenga un bagno di sangue. I cosiddetti “progressisti” lo hanno addirittura attaccato, non credo occorra dire altro. Ward sfida il sistema ogni giorno con le sue denunce. Eppure, la sinistra ha preso le distanze da lui, parlo di gente come Michael Albert, l’editore di Z.

La sinistra americana è molto invaghita di se stessa. E’ un eunuco nel suo dorato esilio. Ormai, l’attivismo è un ricordo del passato. Per questo mi sarei aspettato di più da de Rooij. Quello che dovremmo fare è mettere in ballo le nostre sicurezze, se realmente vogliamo evitare guerre e tragedie. Dobbiamo rimetterci in discussione. Ho paura che molti siano divenuti ciechi e sordi… Ma io li ho avvertiti: a parole vuote, seguiranno tempi vuoti.

La ringrazio molto Mr. Oxman per l’intervista e per il suo invito all’azione…

Bianca Cerri
[email protected]
Fonte:www.reporterassociati.org
27.02.05

 

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